Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 novembre 2013, n. 5571

Massima:
Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 novembre 2013, n. 5571
Il rispetto del divieto di edificazione di cui all’art. 338, t.u. leggi sanitarie 27.07.1934 n. 1265, va calcolato con riferimento ad una fascia di rispetto di 200 metri, misurata dal muro di cinta del cimitero, ed entro tale fascia è da escludersi qualsiasi intervento edificatorio, anche se realizzabile in attuazione di atti di natura urbanistica.
Non può considerarsi edificabile un suolo rientrante nella zona di rispetto cimiteriale, ed assoggettato al relativo vincolo, trattandosi di limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene e non suscettibile di deroghe di fatto, siccome riconducibile a previsione generale, concernente tutti i cittadini, in quanto proprietari di beni che si trovino in una determinata situazione, e perciò individuabili “a priori”.
La fascia di rispetto cimiteriale prevista dall’art. 338 t.u. leggi sanitarie 27.07.1934 n. 1265, misurata a partire dal muro di cinta del cimitero, costituisce un vincolo assoluto d’inedificabilità, tale da imporsi anche a contrastanti previsioni di piano regolatore generale, che non consente in alcun modo l’allocazione sia di edifici che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che sono da individuarsi in esigenze di natura igienico-sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all’inumazione e alla sepoltura, nel mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale; segue da ciò che non esiste ragione alcuna per ritenere tale vincolo applicabile solo ai centri abitati e non ai fabbricati sparsi, così come, ai fini dell’applicazione del vincolo, appare ininfluente che, a distanza inferiore ai 200 metri, vi sia una strada, atteso che essa non interrompe la continuità del vincolo.

Testo completo:
Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 novembre 2013, n. 5571
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4011 del 2012, proposto da:
Comune di Teverola, rappresentato e difeso dall’avv. Egidio Lamberti, con domicilio eletto presso Massimiliano Marsili in Roma, via Belsiana, 100;
contro
Italo Coppola, rappresentato e difeso dagli avv. Antonio Romano, Fata Musto, con domicilio eletto presso Ennio Luponio in Roma, via Michele Mercati, 51; Fausta Coppola, rappresentata e difesa dagli avv. Fata Musto, Antonio Romano, con domicilio eletto presso Ennio Luponio in Roma, via Michele Mercati, 51;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE V n. 00821/2012, resa tra le parti, concernente acquisizione beni immobili al patrimonio comunale
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Italo Coppola e di Fausta Coppola;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 luglio 2013 il Cons. Raffaele Potenza e uditi per le parti gli avvocati Egidio Lamberti, Fata Musto e Antonio Romano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso al TAR della Campania, i signori Italo e Fausta Coppola, proprietari di un suolo situato nel Comune di Teverola (prov. di Caserta) e contraddistinto a catasto al Foglio n. 06, p.lle n.3 e 254, per una superficie di mq 6805, esponevano che detta area era stata interessata da un procedura di espropriazione da parte del predetto Comune, definitasi nel 2002, al fine di reperire il sito per il mercato settimanale-fiera della cittadina.
La occupazione , tuttavia, si era protratta oltre il termine di legge, sicchè i proprietari avevano in precedenza adito il TAR Campania per ivi sentire condannare il Comune espropriante al risarcimento del danno da illegittima occupazione.
Tale pronunzia di condanna (sent. sez.V, n.5889/2008) era emessa dal Tribunale ex art. 33 decreto n.80/1998, senza quantificazione della misura del risarcimento e veniva dal Comune appellata innanzi al Consiglio di Stato, che la confermava (sent. sez. IV, n. 1757/2011), con l unica precisazione in ordine alla decorrenza del risarcimento (individuata nel 28 settembre 2004) . Nella suddetta decisione si stabiliva altresì che, in mancanza di accordo fra le parti sulla misura del risarcimento entro sessanta giorni dalla comunicazione e/o notificazione della stessa accordo in base al quale la proprietà sarebbe passata al Comune ed ai ricorrenti sarebbe stata corrisposta la somma concordata – nei successivi sessanta giorni, il Comune, in presenza delle condizioni previste dall art. 43 del T.U. n. 327/2001, avrebbe potuto emettere formale e motivato decreto per l acquisizione con conseguente risarcimento del danno per equivalente.
Successivamente non si perveniva ad alcun accordo sicché:
– in data 2.10.2008, il responsabile del procedimento del Comune, dava avvio ed avviso relativamente all iter volto all acquisizione dei suoli al patrimonio comunale ex art. 43 del d.p.r.;
– i proprietari adivano il TAR Campania con un secondo ricorso domandando l annullamento:
— del decreto dirigenziale dell Area Tecnica del Comune di Teverola n. 26 del 13.2.2009, prot. n. 1821, con il quale è stata disposta l acquisizione al patrimonio indisponibile del Comune dei beni di proprietà dei ricorrenti, come sopra contraddistinti in Catasto;
— della deliberazione consiliare n. 36 del 18.11.2008 e decreto dirigenziale inerente stima del valore venale dell area;
— del provvedimento dirigenziale, di data e numero ignoti, di relazione della stima del valore venale dei suoli di proprietà Coppola, unicamente nella parte in cui era stata ivi determinata la somma di euro 118.800,00 (ritenuta non corrispondente al valore venale del bene a titolo di risarcimento del danno per la disposta acquisizione) .
1.1. I ricorrenti domandavano altresì l esecuzione della citata sentenza del T.A.R. Campania, Napoli, V Sezione, n. 5889 del 13.6.2008 (confermata come sopra in appello) , in ordine al risarcimento del danno suddetto ed in misura pari al valore venale dei suoli illegittimamente appresi, con la conseguente condanna al pagamento risarcitorio nella misura richiesta ovvero, comunque, in quella nella misura dal Tribunale ritenuta di giustizia.
1.2. Il Tribunale, al fine di determinare il risarcimento dovuto, disponeva CTU che concludeva indicando i seguenti importi per le rispettive le seguenti causali:
– valore di mercato dell area alla data di scadenza dell occupazione legittima (determinato in Euro 613,719);
– indennità di occupazione (Euro 40.596);
– interessi legali (Euro 6.501,00);
— valore dei manufatti preesistenti (Euro 6.000).
— risarcimento del danno da occupazione illecita (Euro 98.310);
1.3- Infine, con la sentenza epigrafata , il Tar adito, respinte le eccezioni preliminari svolte dal Comune (di difetto di giurisdizione sulla controversia e sulla domanda risarcitoria di improcedibilità della domanda di esecuzione della condanna generica) , ha:
– respinto la domanda di annullamento del decreto di acquisizione;
– dichiarato il difetto di giurisdizione, limitatamente all indennità di occupazione legittima;
– accolto la domanda di risarcimento per occupazione sine titulo , nella misura determinata dalla CTU effettuata in corso di causa, e ha condannato il Comune di Teverola al pagamento della complessiva somma di Euro 765.117.
2. Il Comune di Teverola ha tuttavia impugnato la sentenza del TAR, sul punto della determinazione del risarcimento del danno, chiedendone l annullamento alla stregua di mezzi ed argomentazioni riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente pronunzia.
2.1. Si sono costituiti nel giudizio i signori Coppola, resistendo al gravame ed esponendo nella contestuale memoria (22.6.2012) le proprie argomentazioni difensive, a supporto della sentenza gravata e che si intendono qui per riportate. L appellante amministrazione ha ribadito le proprie tesi nelle memorie 13.10.2012 ed 11.6.2013 e nelle brevi note del 26.6.2013; gli appellanti hanno invece replicato con le memorie 28.6.2012 e 18.6.2013.
2.2. Con ordinanza collegiale (n.6255/2012) questo Consiglio ha chiesto al Ministero delle Infrastrutture una verificazione ai sensi dell art. 66 del c.p.a, sul valore venale dei beni acquisiti dal Comune ed in particolare previo accertamento, al momento iniziale della occupazione illegittima:
a) dell esistenza, dell effettiva estensione ed incidenza del vincolo di rispetto cimiteriale;
b) della destinazione impressa alle aree dagli strumenti urbanistici vigenti.
L incombente è stato adempiuto (previa proroga del termine inizialmente assegnato) con relazione in data 9 maggio 2013, depositata in atti il giorno successivo.
2.3- Anche gli appellati hanno depositato in atti relazione di tecnico di propria fiducia.
2.4. Alla pubblica udienza del 12 luglio 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
La controversia sottoposta alla Sezione, in forza dell appello in esame, verte sulla determinazione del risarcimento del danno (riconosciuto agli appellati da sentenza passata in giudicato) in relazione a procedura espropriativa, terminata con provvedimento di acquisizione reso ai sensi dell art. 43 del dpr n. 327/2001. Il ricorso contrasta la sentenza impugnata relativamente alla determinazione della somma riconosciuta agli appellati a titolo di risarcimento del danno (costituente una delle voci riconosciute dalla sentenza) e che la consulenza tecnica svoltasi in primo grado ha quantificato in un valore di mercato di Euro 613,719.
1. Il primo ordine di censure denunzia a carico della sentenza la violazione dell art. 43 (ora 42 bis) del t.u. n. 327/2001, nonché difetto di giurisdizione ed error in iudicando .
1.1. Va premesso che, nonostante la questione di giurisdizione sia presente nella rubrica dei motivi in esame, il Collegio non reperisce poi nello sviluppo delle censure alcun preciso riferimento che possa dimostrare l errata affermazione della giurisdizione amministrativa da parte del primo giudice. In ogni caso, anche ove si dovesse ritenere dedotto , il motivo non avrebbe alcun fondamento . Sul punto il Comune appellante aveva eccepito e sostenuto che la pretesa azionata riguardasse la quantificazione delle somme da corrispondere per indennità d esproprio e che pertanto la questione era da devolvere alla giudice ordinario. Il primo giudice ha invece ritenuto la giurisdizione amministrativa, osservando che nel caso di specie, non è all esame del Collegio la quantificazione della somma da corrispondere a titolo di indennità di esproprio (per la quale sussisterebbe la giurisdizione del giudice ordinario), ma unicamente un provvedimento di acquisizione coattiva in funzione sanante ex art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, in relazione al quale la somma corrispondente al valore venale del bene a titolo di risarcimento del danno per l acquisizione, costituisce unicamente un presupposto di legittimità dell impugnato decreto implicante, quindi il permanente carattere illecito dell occupazione . L orientamento accolto dal TAR deve essere condiviso, alla luce anche della più recente giurisprudenza amministrativa (CGA, n.181/2011, in g.a., 2011,I,p.485; cfr. anche Cass. n. 16093/2009 e n.16043/2010); non viene quindi in rilevo l art. 133 lett g, del nuovo codice del processo amministrativo richiamato dall appellante che conferma infatti la giurisdizione esclusiva in materia solo per le controversie effettivamente afferenti alla determinazione delle indennità. La controversia in esame investe un ambito più ampio, dovendosi tenere conto che l illegittimo protrarsi dell occupazione oltre la scadenza di legge e seguita da acquisizione sanante determina il sorgere di una pretesa del diritto al risarcimento del danno da espropriazione legittima che non si vede come non possa appartenere alla giurisdizione del giudice amministrativo . Di ciò non tiene conto la posizione del Comune ove insiste nell opposta tesi di ridurre il contenzioso proposto ai soli aspetti relativi alla determinazione dell indennità d esproprio.
È anche da osservare che l azione proposta dai signori Coppola tende all attuazione, sotto il profilo del quantum , di un diritto al risarcimento già genericamente affermato da un giudicato espressosi sull an della pretesa (Tar Campania, n.5889/2008, confermata da Cons. di Stato, sez. IV, n. 1757/2011); sicché sotto questo profilo la sussistenza della giurisdizione emerge anche dal correlato disposto degli artt. 30 e 112 del c.p.a..
1.2. Argomenta poi l appellante che la decisione di primo grado ha trascurato che le pronunzie da essa richiamate, a supporto dell accoglimento del ricorso, sono sentenze di condanna generica e, come anche il provvedimento di acquisizione successivamente disposto, non precludevano né quest ultima né la restituzione del suolo occupato, inclusa la facoltà prevista dal comma 3 dell art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001 per la quale: << Qualora sia impugnato uno dei provvedimenti indicati nei commi 1 e 2 ovvero sia esercitata un azione volta alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l amministrazione che vi abbia interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo >>. Anche queste argomentazioni non possono essere accolte.
Va sul punto premesso che i rilievi in esame non chiariscono per quale ragione, nella sequenza procedimentale sub-iudice, risulterebbe da essi inficiata una sentenza che ha riconosciuto e determinato il risarcimento per equivalente in conseguenza di una acquisizione sanante (delib. n.26/2009) riconosciuta legittima e verso la quale è stato respinto il ricorso di primo grado. Al contrario osserva il Collegio che una restituzione dei beni acquisiti, nello stato anteriore allo spoglio, e quindi con effetto risarcitorio limitato al solo mancato godimento dei beni medesimi, deve ritenersi giuridicamente preclusa proprio dall intervento dell acquisizione sanante, e ciò emerge ad una piana lettura del citato art. 43. Al riguardo il TAR ha correttamente precisato che l inciso senza limiti di tempo , in linea con la ratio della norma (che è quella di consentire alle Autorità esproprianti di sanare occupazioni abusive in alternativa al risarcimento del danno, anche in forma specifica), contrariamente a quanto ritenuto dal resistente Comune, deve interpretarsi nel senso che è la condanna al risarcimento, ovviamente in conseguenza dell acquisizione del bene che può intervenire senza limiti di tempo e non la restituzione, che resta, quindi, preclusa qualora l Autorità espropriante ne abbia disposto l acquisizione coattiva.
Occorre inoltre tenere presente che l emanazione di un legittimo provvedimento di acquisizione sanante ai sensi dell art. 43, nel testo all epoca vigente, presuppone espressamente il riconoscimento del risarcimento del danno (determinando in tal modo il superamento definitivo della possibilità di addivenire alla restituzione del bene), ma ne è al tempo stesso conseguenza non più rimuovibile dall espropriato con la richiesta dell opposto provvedimento restitutorio.
2. Il secondo gruppo di doglianze si rivolge specificamente alla modalità con cui è stato determinato il risarcimento.
Si argomenta che il TAR, erroneamente ed acriticamente aderendo alla CTU:
– ha individuato il valore dell area in Euro 90/mq , poiché tale indicazione, come già rilevato dagli appellanti in primo grado, si porrebbe in contrasto con una giurisprudenza granitica, non avendo conto che l area era soggetta ad inedificabilità assoluta in ragione della distanza di rispetto di 200 ml dal vicino cimitero;
– conseguentemente, compreso nella somma risarcitoria le costruzioni realizzate nel predetto raggio di 200 ml e ancor meno, in ragione di ciò, valutare come edificabile l area in parola, nonostante il suo (limitato) regime edificatorio;
– in ogni caso ha utilizzato parametri per il riconoscimento del valore di Euro 90 per mq con riferimento ad aree prevalentemente agricole o destinate a zona A satura.
Illegittimamente quindi secondo il Comune appellante, la sentenza sarebbe pervenuta alla determinazione del risarcimento sulla base di perizie che hanno affermato:
– il terreno è attualmente agricolo e con gli indici di fabbricabilità attuali e con la superficie di cui è costituito si potrebbe realizzare una superficie residenziale di circa 75,00 mq. con altezza media di 2,70 ed una superficie non residenziale ad uso annessi agricoli di circa 300 mq. con altezza media di 4,50 m.; inoltre l area di proprietà dei germani Coppola presenta una superficie superiore al minimo richiesto dal vigente strumento urbanistico (mq. 5.000). Infine l area è dotata di opere di urbanizzazione primaria (&&). D altronde la preesistenza di opere di urbanizzazione eseguite dallo stesso espropriante, assicurando la immediata utilizzazione dell area, deve assumere rilevanza in sede di individuazione del valore di mercato dell area stessa .
A questo il primo giudice ha aggiunto che le cennate caratteristiche devono essere prese in esame ai fini della valutazione finale del bene in quanto l area si trova a ridosso sia di una sona destinata a P.I.P. e satura (ad est) sia di una zona residenziale (a sud) dotata sia di opere di urbanizzazione primarie – realizzate dai privati proprietari – che secondarie. Inoltre, a meno di un chilometro in linea aerea , si trova l insediamento del nucleo industriale di Aversa – nord che, nella parte prospiciente la S.S. 7 bis ospita insediamenti commerciali di media e grande distribuzione (&&.) . 2.1- Al riguardo il Collegio osserva quanto segue.
Sotto il profilo processuale va premesso che la sentenza amministrativa che abbia recepito integralmente all esito della CTU, non può per ciò solo considerarsi viziata per adesione acritica all atto istruttorio, ben potendo il giudice amministrativo aderire alle sue risultanze in considerazione allorché la peculiarità tecnica della questione affidata alla consulenza non permette al giudice di risolverla sulla base delle proprie conoscenze giuridiche.
Per contro, ciò non toglie che il giudice d appello possa sindacare tale esito allorquando l approfondimento istruttorio possa risultare difforme da principi o norme di diritto, o da situazioni di fatto, che il gravame assume violati od erroneamente apprezzate . È appunto il caso delle censure in esame, le quali non si limitano a contestare alla sentenza il recepimento della CTU, ma sostengono che il valore venale attribuito all area acquisita dall amministrazione non tiene conto di elementi giuridici, quali la distanza di rispetto e della destinazione urbanistica che gravano sul bene medesimo.
2.2. Nel merito delle questioni sostanziali, ed entrando nel tema centrale della controversia, le doglianze dell appellante Comune sono meritevoli di accoglimento.
Sul piano dei principi, va anzitutto ribadito l orientamento già affermato dalla Sezione per cui nel valore venale da corrispondere a base del risarcimento non possono essere considerate sia la preesistenza di costruzioni pur realizzate (con o senza permesso) in zona di inedificabilità assoluta per distanza di rispetto cimiteriale, sia la sussistenza per dette zone di previsioni edificatorie, seppur limitate, emergenti in forza delle norme urbanistiche di zona; in particolare è del tutto evidente che queste subiscono deroga per quelle zone e in quei limiti da parte di vincoli inedificabilità . Ed invero: il rispetto del divieto di edificazione di cui all’art. 338, t.u. leggi sanitarie 27 luglio 1934 n. 1265, va calcolato con riferimento ad una fascia di rispetto di 200 metri, misurata dal muro di cinta del cimitero, ed entro tale fascia è da escludersi qualsiasi intervento edificatorio, anche se realizzabile in attuazione di atti di natura urbanistica (Consiglio di Stato, sez.IV, n. 1645 del 2011; meno recentemente ma nello stesso senso, v. Consiglio di Stato, sez. IV, n. 4403 del 2011).
Analogamente la giurisprudenza civile ha ritenuto, in tema di determinazione di indennità espropriativa, che Non può considerarsi edificabile un suolo rientrante nella zona di rispetto cimiteriale, ed assoggettato al relativo vincolo, trattandosi di limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene e non suscettibile di deroghe di fatto, siccome riconducibile a previsione generale, concernente tutti i cittadini, in quanto proprietari di beni che si trovino in una determinata situazione, e perciò individuabili “a priori” &. (Cass. civ. sez.I, n. 25364/2006 ).
Né appare potersi derogare a detti principi considerando che tra il muro del cimitero e l area degli appellati esiste nella fattispecie una grande strada comunale; la ratio del vincolo non risiede nella sola tutela delle prospettive di ampliamento ma anche in ragioni di igiene che suggeriscono di tenere le abitazioni sufficientemente distanti dai luoghi cimiteriali. Del resto, con specifico riferimento all esistenza di una strada pubblica che interseca l area di rispetto, la giurisprudenza della Sezione ha già affermato che: La fascia di rispetto cimiteriale prevista dall’art. 338 t.u. leggi sanitarie 27 luglio 1934 n. 1265, misurata a partire dal muro di cinta del cimitero, costituisce un vincolo assoluto d’inedificabilità, tale da imporsi anche a contrastanti previsioni di piano regolatore generale, che non consente in alcun modo l’allocazione sia di edifici che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che sono da individuarsi in esigenze di natura igienico-sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all’inumazione e alla sepoltura, nel mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale; segue da ciò che non esiste ragione alcuna per ritenere tale vincolo applicabile solo ai centri abitati e non ai fabbricati sparsi, così come, ai fini dell’applicazione del vincolo, appare ininfluente che, a distanza inferiore ai 200 metri, vi sia una strada, atteso che essa non interrompe la continuità del vincolo (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 4403 del 2011).
Ragionando in senso opposto ai surrichiamati orientamenti , e quindi sostenendo l irrilevanza del vincolo de quo ai fini valutativi del risarcimento, l omessa vigilanza del Comune sul rispetto delle norme urbanistiche in tema di fascia di rispetto, come l omesso esercizio dello ius penitendi in caso di permessi rilasciati in loro violazione, finirebbero per tradursi a favore del provati nella monetizzazione di condotte edilizie assolutamente non conformi alla legge.
2.3- Quanto sin qui osservato non permette di aderire al parere tecnico depositato dagli appellati (arch. A. Coppola) che sostiene come l organo verificatore nominato da questo Consigli abbia eluso i riferimenti indicatigli, pervenendo ad erronee conclusioni sia con riferimento all estensione della fascia di rispetto che con riguardo al valore dell area , largamente inferiore a quella risultante dal mercato immobiliare.
In primo luogo è da ritenere superfluo il riferimento alla necessità che il risarcimento corrisponda al valore di mercato. La questione era del tutto pacifica, discutendosi invece dei parametri per calcolare tale valore quali, principalmente, eventuali pesi o limitazioni gravanti sul bene, la destinazione urbanistica e conseguentemente il grado di attitudine edificatoria, il livello di urbanizzazione .
La perizia di parte appellata, si limita poi a ribadire le conclusioni della CTU sul valore di 90 Euro per mq., al quale andrebbero aggiunte altre voci, peraltro o non spettanti (quali il danno non patrimoniale) o già riconosciute dalla sentenza di primo grado e non contestate dall appello.
2.4. Pertanto ritiene il Collegio che la determinazione del valore venale debba correttamente avvenire all esito della verifica disposta in questa sede, ove essa ha chiarito che: – trattandosi di area inedificabile, il valore deve essere determinato mediante ricerche di mercato che tengano presente che il terreno pur presentando giuridicamente dei connotati a destinazione agricola &&&.. presenta una vocazione commerciale visti il confine con la vicinanza urbana ed il centro industriale tenendo presente anche le aree limitrofe;
– considerato quanto sopra, dalle ricerche eseguite presso l agenzia del territorio competente, il valore può essere determinato in Euro 25 per m.q., dando luogo ad un valore dell area, all anno 2005, di Euro 170.500,00.
– In definitiva la sentenza deve essere riformata relativamente alla voce: determinazione del risarcimento da acquisizione dell area , per cui l importo complessivamente riconosciuto dal TAR con la sentenza impugnata deve essere ridotto della differenza tra il valore risarcitorio riconosciuto in primo grado (Euro 613,719) ed il valore riconosciuto in questa sede (170.500), riducendo corrispondentemente la conseguente condanna al risarcimento del danno a carico del Comune di Teverola.
3. Conclusivamente l appello deve essere accolto nei termini sopra indicati.
4. Sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese di entrambi gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, accoglie in parte l appello e per l effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei termini di cui in motivazione.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2013 con l’intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore
Francesca Quadri, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 22/11/2013

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