Consiglio di giustizia amministrativa, Sicilia, 4 febbraio 2010, n. 110

Riferimenti: Cass., 29/09/2000, n. 12957; Cass., 30/05/1997, n. 4830

Massima:
Consiglio di giustizia amministrativa, Sicilia, 4 febbraio 2010, n. 110
Per distinguere lo “jus sepulchri iure sanguinis” da quello “iure successionis”, occorre interpretare la volontà del fondatore del sepolcro al momento della fondazione, essendo indifferenti le successive vicende della proprietà dell’edificio nella sua materialità e, in difetto di disposizione contraria, ritenere la volontà di destinazione del sepolcro “sibi familiaeque suae”. Accertato dal giudice di merito il carattere di “jus sepulchri iure sanguinis” della concessione cimiteriale, il familiare acquista, “iure proprio”, il diritto al sepolcro, imprescrittibile ed irrinunciabile, fin dal momento della nascita e non può trasmetterlo né per atto “inter vivos”, né “mortis causa”.
Tra i contitolari dello “jus sepulchri iure sanguinis” si costituisce una particolare forma di comunione, destinata a durare sino al venir meno degli aventi diritto, dopo di che lo “jus sepulchri” si trasforma da familiare in ereditario.
Mentre nel sepolcro cosiddetto “familiare” (destinato dal fondatore “sibi familiaeque suae”) l’appartenenza alla famiglia è presupposto indispensabile per l’acquisto del diritto alla sepoltura, sempre che il fondatore non abbia diversamente disposto, nel sepolcro ereditario quest’ultimo si limita a compiere una mera destinazione del diritto di sepoltura ai propri eredi (“sibi haeredibusque suis”) in considerazione di tale loro qualità, con la conseguenza che ciascuno di essi (subentrandogli “iure haereditatis”) è legittimato alla tumulazione di salme estranee alla famiglia di origine, entro i limiti della propria quota ereditaria.
«Come correttamente evidenziato dai primi giudici, da un punto di vista civilistico, «per distinguere lo “jus sepulchri iure sanguinis” da quello “iure successionis”, occorre interpretare la volontà del fondatore del sepolcro al momento della fondazione, essendo indifferenti le successive vicende della proprietà dell’edificio nella sua materialità e, in difetto di disposizione contraria, ritenere la volontà di destinazione del sepolcro “sibi familiaeque suae”. Accertato dal giudice di merito questo carattere, il familiare acquista, “iure proprio”, il diritto al sepolcro, imprescrittibile ed irrinunciabile, fin dal momento della nascita e non può trasmetterlo né per atto “inter vivos”, né “mortis causa”. Quindi si costituisce tra i contitolari una particolare forma di comunione, destinata a durare sino al venir meno degli aventi diritto, dopo di che lo “jus sepulchri” si trasforma da familiare in ereditario» (in tal senso è anche la giurisprudenza della Cassazione; cfr. Cass. 29 settembre 2000, n. 12957. Sul punto, si è poi precisato in giurisprudenza che, «mentre nel sepolcro cosiddetto “familiare” (destinato dal fondatore “sibi familiaeque suae”) l’appartenenza alla famiglia è presupposto indispensabile per l’acquisto del diritto alla sepoltura, sempre che il fondatore non abbia diversamente disposto, nel sepolcro ereditario quest’ultimo si limita a compiere una mera destinazione del diritto di sepoltura ai propri eredi (“sibi haeredibusque suis”) in considerazione di tale loro qualità, con la conseguenza che ciascuno di essi (subentrandogli “iure haereditatis”) è legittimato alla tumulazione di salme estranee alla famiglia di origine…, entro i limiti della propria quota ereditaria» (Cass, 30 maggio 1997, n. 4830).»

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