Cassazione penale, Sez. III, 24 maggio 1996

Norme correlate:
Art 338 Regio Decreto n. 1265/1934
Capo10 di Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990

Massma:
Cassazione penale, Sez. III, 24 maggio 1996
L’art. 338 R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 (t.u. leggi sanitarie) prescrive che i cimiteri debbono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dai centri abitati e tale disposizione opera indipendentemente dagli strumenti urbanistici ed eventualmente anche in contrasto con gli stessi. In detta fascia di rispetto cimiteriale è vietato sia costruire nuovi edifici sia intervenire su manufatti preesistenti con opere che comportino un’alterazione dei volumi o delle superfici. (Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio di sentenza di n.d.p. per intervenuta concessione in sanatoria, la suprema Corte ha osservato, fra l’altro, che è irrilevante il riferimento alla circostanza che il cimitero in questione avrebbe “caratteristiche di servizio a frazione” (circostanza in base alla quale era stata considerata sufficiente una fascia di rispetto di 50 metri).

Testo completo:
Cassazione penale, Sez. III, 24 maggio 1996
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Luigi MONTORO Presidente
Dott. Pietro GIAMMANCO Consigliere
Dott. Giuseppe SAVIGNANO Consigliere
Dott. Nicola QUITADAMO Consigliere
Dott. Aldo FIALE Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Genova
avverso la sentenza 18-4-1995 pronunciata dal Pretore di Genova nei confronti di:
1 – <B. M.>, n. a Genova il 16-12-1966
2 – <B. S.>, n. a Palermo l’1-1-1957
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo FIALE
Udito il Pubblico Ministero in persona del dr. Carmine DI ZENZO che
ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Uditi difensori
FATTO
Con sentenza 18-4-1995 il Pretore di Genova dichiarava non doversi procedere nei confronti di <B. M.> e <B. S.> in ordine alle imputazioni di cui:
– all’art. 20, lett. c), legge n. 47-1985, per avere (la prima quale proprietaria committente ed il secondo quale esecutore dei lavori) eseguito opere edilizie senza la prescritta concessione, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed a vincolo cimiteriale;
– agli artt. 2 e 13 legge n. 1086-1971;
– agli artt. 4 e 14 legge n. 1086-1971;
trattandosi di reati estinti per intervenuta concessione in sanatoria.
Avverso tale sentenza a proposto ricorso “per saltum” il Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Genova, eccependo l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 13 e 22 della legge 28-2-1985, n. 47:
a) per essere stato attribuito l’effetto estintivo del reato di cui all’art. 20 lett. c), della stessa legge n. 47-1985 ad un atipico provvedimento di sanatoria parziale e condizionata, che comportava invece la rimozione di gran parte delle opere abusivamente realizzate;
b) per essere stato ritenuto sanabile un intervento edilizio effettuato in zona di inedificabilità assoluta per l’esistenza del vincolo cimiteriale di cui all’art. 338 T.U. delle leggi sanitarie;
c) per essere stata estesa l’efficacia estintiva della presunta sanatoria alle violazioni della legge n 1086-1971 (disciplinante l’esecuzione di manufatti in conglomerato cementizio armato) che non costituiscono reati “urbanistici” in senso stretto.
DIRITTO
Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
Deve premettersi, in punto di fatto, per una esatta ricostruzione della vicenda, che – nella fattispecie in esame – la contestazione risulta riferita all’esecuzione, senza la necessaria concessione edilizia ed in violazione di prescrizioni della legge n. 1086-1971, della ristrutturazione di un edificio preesistente (mediante demolizione e ricostruzione della copertura e di parte dei muri perimetrali, modifiche varie di sagome e prospetti, nonché sopraelevazione ed incremento delle volumetrie) in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi della legge n. 1497-1939 ed a vincolo di rispetto cimiteriale ai sensi dell’art. 338 del T.U. n. 1265-1934 (trattasi , invero, di un manufatto sito ad 80 metri di distanza dal cimitero di Crevari del Comune di Genova).
In relazione all’intervento abusivo dianzi descritto l’assessore al territorio, urbanistica ed edilizia del Comune di Genova ha rilasciato a <B. M.> in data 16-1-1995, “concessione, parzialmente in sanatoria, a mantenere e completare opere edilizie” ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47-1985, ed a tale provvedimento è stato altresì conferito “valore di nulla osta ai fini dell’art. 7 della legge n. 1497-1939”.
Nella motivazione dell’atto concessorio risulta condiviso e recepito il parere espresso dalla Commissione edilizia (integrata ai sensi della legge n. 15-1980 della Regione Liguria) secondo cui:
– prendendosi atto “che l’edificio è posto in linea d’aria a circa 80 metri a monte del cimitero, il quale ha caratteristiche di servizio a frazione”, viene considerata comunque sufficiente, nel caso specifico, una fascia di rispetto di 50 metri;
– viene ritenuto sanabile il solo “ampliamento di perimetro” dell’edificio ristrutturato, in quanto finalizzato esclusivamente a permettere l’adeguamento igienico-tecnologico ai sensi della legge regionale n. 25-1993;
– viene esclusa, invece, la sanabilità dell’effettuato “ampliamento in altezza”.
Sulla base di tali presupposti, quindi, la <B.> viene autorizzata “a mantenere le opere già eseguite ed a completare le restanti” ma contestualmente obbligata “ad eliminare l’ampliamento in altezza, che non risulta sanabile, mediante riduzione in pristino; tale demolizione (che verrà opportunamente verificata) dovrà precedere l’esecuzione del completamento delle parti sanabili”.
Precisate così le circostanze di fatto della vicenda, deve ricordarsi che – secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema – gli artt. 22 e13 della legge n. 47-1985 vanno interpretati in stretta connessione ai fini della declaratoria di estinzione dei “reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti” e che il giudice penale, pertanto, ha il potere-dovere di verificare la legittimità della concessione edilizia rilasciata “in sanatoria” e di accertare che l’opera realizzata sia conforme alla normativa urbanistica.
In mancanza di tale conformità, infatti, la concessione non estingue i reati ed il mancato effetto estintivo non si ricollega ad una valutazione di illegittimità del provvedimento della P.A. cui consegua la disapplicazione dello stesso ex art. 5 della legge 20-3-1865, n. 2248, all. E, bensì alla effettuata verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo incidente sulla fattispecie tipica penale.
Ai fini del corretto esercizio di tale controllo deve ricordarsi, dunque, che si pone quale presupposto indispensabile per il rilascio della concessione in sanatoria, ex art. 13 della legge n. 47-1985, la necessità che l’opera abusiva sia “conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda”. L’intervento da sanare dovrà essere altresì ricompreso nel programma pluriennale in corso di attuazione al momento del rilascio del provvedimento sanante (tranne che non si tratti di intervento ammissibile anche al di fuori del programma medesimo).
Il Pretore, nella stringatissima sentenza impugnata, ha omesso del tutto di verificare la sussistenza dei presupposti dianzi enunciati, pur emergendo con immediata evidenza, dal testo della concessione sanante, che la P.A. aveva valutato (e giustificato) l’eseguito “ampliamento di perimetro” alla luce di una disciplina non ancora vigente al momento dell’esecuzione delle opere, con conseguente violazione dell’essenziale condizione della doppia conformità dell’opera abusiva alla normativa urbanistica in vigore sia al momento della realizzazione di essa sia a quello della presentazione della domanda di sanatoria.
Vi è un ulteriore circostanza, poi, che il Pretore ha omesso di valutare.
Il provvedimento concessorio si pone espressamente come “sanatoria parziale” ed impone la demolizione di tutte le opere di sopraelevazione dell’edificio preesistente.
L’effetto estintivo previsto dall’art. 22, 3 comma, della legge n. 47-1985 mai potrebbe ricollegarsi, dunque, all’edificazione abusiva considerata non sanabile.
Quanto al vincolo cimiteriale, poi, il Pretore si è limitato a prendere atto delle determinazioni assunte dall’Amministrazione comunale nel provvedimento sanante ed in base alle stesse ha ritenuto di non ravvisare alcuna violazione della relativa disciplina.
Non ha effettuato, pertanto, il doveroso controllo delle determinazioni in questione e non ha percepito il contrasto delle stesse con la normativa vigente in materia.
L’art. 338 del T.U. 27-7-1934, n. 1265 (T.U. delle leggi sanitarie) prescrive, in proposito, che i cimiteri debbono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dai centri abitati e tali disposizione opera indipendentemente dagli strumenti urbanistici ed eventualmente anche in contrasto con gli stessi. In detta fascia di rispetto cimiteriale è vietato sia costruire nuovi edifici sia intervenire su manufatti preesistenti con opere che comportino un’alterazione dei volumi o delle superfici.
Soltanto il Prefetto, quando sussistono gravi e giustificati motivi e non vi si oppongono ragioni igieniche, può ridurre la zona di rispetto (anche con profondità diseguale) su motivata richiesta del Consiglio comunale, deliberata a maggioranza assoluta. Anche in questi casi, però, non possono essere superate le distanze minime di isolamento dall’abitato, fissate in 100 metri nei Comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti ed in 50 metri negli altri Comuni (disposizioni richiamate e ribadite dall’art. 57 del Regolamento di polizia mortuaria approvato con D.P.R. 10-90-1990, n. 285).
Nella fattispecie in esame, invece, sono state abusivamente eseguite opere edilizie, che hanno ampliato superfici e volumi di un edificio preesistente, a soli 80 metri di distanza da un cimitero del Comune di Genova (con popolazione superiore a 20.000 abitanti) ed è stata consentita una deroga alla fascia di rispetto cimiteriale con provvedimento di un assessore comunale che ha recepito un parere ed un auspicio della Commissione edilizia.
Irrilevante è il riferimento alla circostanza che il cimitero in questione avrebbe “caratteristiche di servizio a frazione” (ma il Pretore non ha controllato se “Crevari” sia effettivamente una frazione del Comune di Genova e ciò viene contestato dal P.M. ricorrente, secondo il quale tratterebbesi semplicemente di un’”unità urbanistica”, oggetto di particolare considerazione negli strumenti di pianificazione) perché – in ogni caso – la formulazione degli artt. 338 del T.U. n. 1265-1934 e 57 del D.P.R. n. 285-1990 non consente di ritenere che, ai fini del calcolo delle distanze degli edifici dalle aree cimiteriali, possa aversi riguardo alla popolazione delle frazioni al cui servizio siano eventualmente posti i cimiteri stessi invece che a quella dell’intero territorio comunale.
L’art. 338 del T.U. delle leggi sanitarie (come modificato ed integrato dalle leggi 4-12-1956, n. 1428 e 17-10-1957, n. 983), infatti, si riferisce testualmente ai “centri abitati”, nozione che comunemente identifica agglomerati di edifici continui e vicini destinati a dimora dell’uomo ed ad attività a questa connesse e complementari, ed in particolare il 4 comma dell’articolo in esame contrappone i “centri abitati” con popolazione superiore ai 20.000 abitanti agli “altri Comuni”, facendo in tal modo od evidenza ricorso alla dizione “centro abitato” come sinonimo di “Comune”.
E l’art. 57 del Regolamento di polizia mortuaria ribadisce la prescrizione di isolamento “dall’abitato”, richiamando il criterio di computo fissato appunto dal citato art. 338.
Un ulteriore violazione di legge si rinviene, infine, nell’impugnata sentenza, per avere il Pretore erroneamente ricollegato, al rilascio di concessione in sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47-1985, l’effetto estintivo (stabilito dal 3 comma dell’art. 22 della legge medesima) anche delle contravvenzioni alla legge n. 1086-1971.
L’effetto estintivo in questione, invece, secondo l’espressa previsione normativa, riguarda soltanto i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti e norme urbanistiche non possono considerarsi quelle poste dalla legge 5-11-1971, n. 1086, che hanno diversa obiettività giuridica in quanto disciplinano l’esecuzione delle opere in conglomerato cementizio, perseguendo la finalità di realizzare la sicurezza di costruzioni siffatte e di evitare possibili crolli ben diversa da quella rivolta a regolamentare l’assetto e lo sviluppo del territorio sotto il profilo urbanistico.
In base a tutte le considerazioni dianzi svolte l’impugnata sentenza deve essere annullata per violazione di legge con rinvio alla Corte di Appello di Genova ai sensi dell’art. 569, ult. Comma, c.p.p..
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 569, 615 e 623 c.p.p.,
annulla la sentenza impugnata per violazione di legge e rinvia alla Corte di Appello di Genova.
ROMA, 24-5-1996.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA, il 20/09/1996

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