Cassazione penale, Sez. V, 13 maggio 1998, n. 6871

Norme correlate:
Art 479 Regio Decreto n. 1398/1930

Massima:
Cassazione penale, Sez. V, 13 maggio 1998, n. 6871
Il certificato di morte rilasciato dal sanitario, in virtù del regolamento di polizia mortuaria, è un atto pubblico, perché è espressione della funzione attestatrice dell’accertamento diretto del sanitario ed ha, nel contempo, una funzione costitutiva, perché preordinata al rilascio dell’autorizzazione alla sepoltura, autorizzazione che è a sua volta subordinata non solo all’accertamento della morte ma anche alla verifica dell’inesistenza di condizioni che potrebbero giustificare interventi dell’autorità sanitaria ovvero di quella giudiziaria.

Testo completo:
Cassazione penale, Sez. V, 13 maggio 1998, n. 6871
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Giuseppe CONSOLI Presidente
Dott. Nicola MARVULLI Rel. Consigliere
Dott. Lucio TOTH Consigliere
Dott. Giuseppe SICA Consigliere
Dott. Mario ROTELLA Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da <G. V.> nato ad Ercolano il 28 ottobre 1948;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli in data 30 giugno 1997;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso,
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere dr. Nicola Marvulli;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. Scardaccione, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
<G. V.> è stato tratto a giudizio del Tribunale di Napoli per rispondere del reato previsto dall’art. 479 C.P., perché nell’esercizio delle funzioni di medico necroscopico, il 18 settembre 1991 rilasciava un certificato attestante, contrariamente al vero, di avere constatato il decesso di <G. R.> presso l’abitazione dello stesso.
Il Tribunale dichiarava l’imputato colpevole del reato a lui ascritto e, con il concorso delle attenuanti generiche, lo condannava ad un anno e sei mesi di reclusione, pena che la Corte di Appello di Napoli riduceva ad un anno di reclusione.
Avverso quest’ultima sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, formulando tre distinti rilievi:
a) con il primo ha evidenziato che in entrambe le sentenze dei giudici del merito si è fatto riferimento ad un certificato rilasciato in tempi diversi, sicché vi era incertezza sul fatto contestato, incertezza che aveva precluso l’esercizio del diritto di difesa;
b) con il secondo si è denunciata la mancata applicazione dell’art. 481 C.P., sostenendosi che quel certificato si riduceva ad un’autorizzazione al seppellimento della salma;
c) e, con il terzo, si è dedotto il difetto di motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione dell’elemento psicologico del reato.
DIRITTO
Osserva la Corte che nessuno dei rilievi dedotti è condivisibile. Nel capo d’imputazione, riprodotto nella sentenza impugnata, si faceva riferimento al certificato rilasciato dall’imputato il 18 settembre 1991, sicché l’erronea indicazione di altra data nelle due sentenze dei giudici del merito non era assolutamente idonea a creare incertezza sul “fatto-reato” contestato, perché ci si è sempre riferito al certificato di morte nel quale si era attestato, contrariamente al vero, che l’imputato aveva sottoposto a visita domiciliare la salma di <G. R.>, e tale attestazione era contenuta soltanto in quel certificato.
E d’altronde l’imputato da quell’accusa si era sempre difeso.
Nè dubbi possono sussistere sulla qualificazione giuridica del fatto, posto che in quel certificato era contenuta una specifica attestazione che l’imputato, nella sua qualità di medico necroscopico, aveva rilasciato all’Ufficiale dello Stato Civile, ai sensi dell’art. 4 del Regolamento di Polizia Mortuaria, e cioè che la salma di <G.> era stata da lui visitata presso il domicilio del defunto, e tale circostanza non era in alcun modo vera, perché il decesso e le cause dello stesso erano state ricavate dalla certificazione sanitaria rilasciata dal medico curante.
E come questa Corte ha avuto modo di affermare (cfr. sez. V 3 luglio 1989 ric Groppi, etc.), il certificato di morte rilasciato dal sanitario, in virtù del regolamento di polizia mortuaria, è un atto pubblico, perché è espressione della funzione attestatrice dell’accertamento diretto del sanitario, ed ha, nel contempo, una funzione costitutiva, perché preordinata al rilascio dell’autorizzazione alla sepoltura, perché preordinata al rilascio dell’autorizzazione alla sepoltura, autorizzazione che è a sua volta subordinata non solo all’accertamento della morte, ma anche alla verifica dell’inesistenza di condizioni che potrebbero giustificare interventi dell’Autorità Sanitaria ovvero di quella Giudiziaria.
Quanto, infine, alla valutazione dell’elemento psicologico del reato ascritto all’imputato, i rilievi del ricorrente oltre ad essere alquanto generici, perché non indicano quali risultanze probatorie sarebbero state trascurate dall’impugnata sentenza, sono privi di qualsiasi fondamento, perché del tutto irrilevante era la ricerca dello scopo che si poteva aver rappresentato l’autore di quella falsa attestazione, posto che il reato a lui attribuito è punibile a titolo di dolo generico, sicché sufficiente era che l’imputato, nella stesura di quel certificato, avesse la consapevole volontà di rappresentare una situazione di fatto diversa dalla realtà e tale consapevolezza è stata correttamente desunta dalla stessa ricostruzione storica del fatto.
Ne consegue che il ricorso va rigettato.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente, <G. V.>, alle spese del procedimento.
Roma, li 13 maggio 1998
DEPOSITATA IN CANCELLERIA, 9 GIU. 1998

Written by:

0 Posts

View All Posts
Follow Me :