Cassazione civile, Sez. I, 30 gennaio 1986, n. 596

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. I, 30 gennaio 1986, n. 596
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile
Composta dagli ILL.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Fernando SANTOSUOSSO Presidente
Alberto VIRGILIO Consigliere
Bruno IOFRIDA
Mario CORDA Rel.
Alfredo ROCCHI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COSENTINO GIUSEPPE, elett. dom. in Roma presso la Cancelleria della Corte, rapp. e difeso dall’avv. E. Grasso come da mandato a margine del ricorso.
Ricorrente contro
FALLIMENTO DI COSTANZO TERESA E COSENTINO ANTONINO, in persona del curatore FRAGALE VITTORIO.
Intimato avverso il provvedimento del Tribunale di Catania sez. Fallimentare in data 15.2.1983.
Sentita la rel. del cons. dott. Mario Corda;
Sentito il P. M. dott. Evandro Minetti che conclude per il rigetto del ricorso.
FATTO
Con ordinanza del 17 gennaio 1983 il Giudice delegato al fallimento di Teresa Costanzo e Antonio Cosentino disponeva la vendita all’incanto, in unico lotto, dei seguenti beni immobili appartenenti al Cosentino: 1) terreno in Zafferana Etnea, contrada Fortino; 2) la quota di 7-40 dell’immobile sito in Riposto, Corso Italia, n. 44 e 46 e Via Mongibello n. 90 e 92; 3) la quota di 24-378 dell’immobile sito in Riposto, Via Mongilio 80 e Corso Italia 41 e 43. Nel lotto erano ricompresi comunque, tutti i diritti di successione che il fallito Cosentino vanta sui beni del defunto padre Cosentino Nunzio fu Giuseppe e sui beni della defunta madre Zuccarello.
Contro tale ordinanza proponeva reclamo al Tribunale di Catania, ex art. 26 legge fallimentare, Giuseppe Cosentino che – assumendosi coerede con il fallito ed altri degli immobili sub 2) e sostenendo di avere proposto azione per lesione della quota riservata ai legittimari e di avere impugnato di falso l’atto pubblico di donazione del terreno sub 2), stipulato il 16 settembre 1966 tra l’odierno fallito e il padre Nunzio Cosentino – deduceva che l’ordinanza predetta lo pregiudicava nel suo diritto di prelazione ex art. 732 cod. civ., quantomeno per alcuni dei beni anzidetti, e che pertanto, aveva interesse a denunciarne la nullità e l’inopportunità, per i seguenti motivi:
a) non era motivata la determinazione del prezzo (lire 17.625.000), eccessiva rispetto allo scarso valore dei beni;
b) l’essere stata disposta la vendita in un unico lotto, anziché; in lotti distinti, gli impediva di esercitare il diritto di prelazione ex art. 732 cod. civ. (del quale diritto l’ordinanza non faceva neppure menzione).
Col provvedimento impugnato in questa sede, emesso il 15 febbraio 1983, il Tribunale rigettava il reclamo dopo aver osservato:
1) il prezzo di vendita era stato indicato da un tecnico appositamente nominato (e la sua congruità, del resto, risultava dal fatto che erano state avanzate offerte di acquisto);
2) la scelta in unico lotto era stata consigliata (al giudice delegato) da ragioni concrete e giustificata dal fatto che il compendio costituisce res litigiosa (tanto che lo stesso, era indicato nell’ordinanza come posto in vendita nello stato di fatto e di diritto in cui si trova, con assunzione da parte dell’aggiudicatario di ogni rischio connesso alle pendenti azioni giudiziarie per lesioni di legittima e di impugnazioni di falso di un atto di donazione e concerne parte di tale compendio);
3) la disciplina pubblicistica delle vendite fallimentari non consente deroghe al procedimento specificamente predisposto, di modo che non è compatibile con l’istituto del retratto successorio, anche perché le vendite fallimentari prevedono in ogni caso l’attribuzione al migliore offerente dei beni posti in vendita.
Contro tale provvedimento propone tempestiva impugnazione Giuseppe Cosentino (ex art. 111 Cost.) con ricorso notificato al Curatore del fallimento Quest’ultimo non si è costituito in questa sede.
DIRITTO
Con l’unico motivo di censura (denunciando, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 4 cod. proc. civ., la violazione degli articoli 196 stesso codice e 105 legge fallimentare, in relazione agli artt. 567 e seguenti del detto codice di rito) il ricorrente censura l’impugnato provvedimento nella parte in cui ha affermato che l’istituto della prelazione e del retratto successorio, disciplinato dall’art. 732 cod. civ. non può trovare applicazione nelle vendite fallimentari. Sostiene, in contrario, che detto istituto è applicabile, in generale, alle vendite forzate e, in particolare, alle vendite attuate per la liquidazione dell’attivo fallimentare, poiché la finalità della norma (evitare che nella comunione ereditaria entri un estraneo) merita di essere in ogni caso perseguita. Per confutare i singoli argomenti di motivazione espressi dal provvedimento impugnato, sostiene che il coerede che esercita correttamente il diritto di prelazione è di necessità il migliore offerente; e, altresì, che le norme regolanti il procedimento fallimentare non sono tali da incidere (sino a sopprimerlo) sul diritto soggettivo del terzo.
Il ricorso è infondato.
L’art. 732 cod. civ. attribuisce ai coeredi indivisi un solo diritto: quello di ricondurre a unità il patrimonio indiviso del de cuius, facendo rientrare in esso la quota che il partecipante alla comunione ereditaria abbia (onerosamente) alienato a un terzo. Tale diritto può essere esercitato in due modi: o sostituendosi all’acquirente (ius praelationis), ovvero, quando ciò non sia più possibile, riscattando dallo stesso la quota acquistata (ius retractionis).
La prelazione e il riscatto costituiscono, quindi, due differenti modi di esercizio dello stesso diritto: ed è importante notare che quando la prelazione non può essere esercitata, perché i coeredi non sono stati posti in grado di esercitarla, non deriva da ciò la nullità della vendita eseguita ma semplicemente sorge il potere dei coeredi di esercitare il loro diritto con la forma del riscatto. L’art. 732 citato, infatti, dopo avere posto a carico del coerede alienante l’obbligo di notificare agli altri coeredi la proposta di alienazione, perché possano esercitare la prelazione, stabilisce che è in mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall’acquirente.
È chiaro, allora, che se il coerede alienante abbia, in qualunque modo, precluso agli altri coeredi di esercitare la prelazione, costoro non hanno titolo per dolersi di ciò in sede giudiziale (proprio perché la vendita fatta al terzo non è affetta da nullità), ma possono ancora tutelare il loro diritto esercitandolo con la forma del riscatto.
Passando, ora, all’esame del caso di specie, deve rilevarsi che una situazione analoga si verifica nel caso in cui la vendita della quota indivisa del coerede fallito venga fatta dall’organo fallimentare. In questo caso è ben possibile che il detto organo, se lo ritiene utile per la procedura, consenta ai coeredi di esercitare la prelazione; ma se non lo consente (poiché, in ipotesi, ritiene che ne resterebbe sacrificato l’interesse del ceto creditorio alla rapidità e concentrazione delle operazioni liquidatore) appare evidente che i coeredi non possono di ciò dolersi (in sede giudiziale), poiché rimane impregiudicato il loro diritto sostanziale, il quale può, dopo eseguita la vendita, essere esercitato con la forma del riscatto, nei confronti dell’aggiudicatario.
Questa è, in definitiva, la conclusione cui è pervenuto il Tribunale fallimentare, della quale oggi il ricorrente (coerede indiviso) ingiustificatamente si duole.
Il Tribunale, infatti, non ha negato il diritto sostanziale del coerede (in quella sede reclamante) a ricostituire l’unità del patrimonio ereditario indiviso (tanto più che, nell’ordinanza di vendita, il Giudice delegato aveva avvertito i possibili aggiudicatari dei rischi cui restavano esposti nell’acquisto di una res litigiosa), ma ha semplicemente affermato che l’esercizio della prelazione era incompatibile con la procedura liquidatoria fallimentare. E se, da un lato, quest’ultima affermazione può essere rettificata con l’osservazione che all’organo fallimentare non è preclusa l’astratta possibilità di consentire al coerede indiviso di esercitare la prelazione (dovendosi pensare che in certi casi ciò potrebbe anche tornare utile per la liquidazione nell’attivo), nondimeno deve rilevarsi che la stessa non crea sostanziale pregiudizio per il coerede indiviso, non avendo pregiudicato il suo diritto di recuperare la quota mediante l’esercizio del riscatto.
Tale conclusione, peraltro, non muta neppure se, seguendo l’impostazione tradizionale, si ritiene che ai coeredi competono due distinti diritti, quello di prelazione e quello di riscatto. Invero, il sistema della legge sostanziale prevede non tanto che al fatto dell’aver reso impossibile l’esercizio del diritto di prelazione consegua la nullità della vendita effettuata, o il compimento di una ulteriore attività da parte dell’alienante, quanto, piuttosto, la semplice conversione del diritto di prelazione in diritto di riscatto. Neppure in questo caso, perciò può pensarsi all’esistenza di un diritto dei coeredi che possa essere fatto valere direttamente nei confronti del coerede alienante (o dell’organo esecutivo, individuale o concorsuale, che lo ha sostituito), per essere reintegrati nell’esercizio della prelazione.
Del come, poi, il riscatto possa essere esercitato quando la vendita della quota indivisa sia fatta, in sede fallimentare, con l’accorpamento di essa agli altri beni del fallito in unico lotto) – come nel caso concreto è avvenuto – è questione della quale questa Corte non deve occuparsi, con riferimento all’esaminato ricorso.
Conclusivamente, perciò, deve affermarsi che non è affetto da alcun vizio, di logica e di diritto, il provvedimento del Tribunale fallimentare che ha dichiarato legittima l’ordinanza (del giudice delegato) disponente la vendita all’asta della quota ereditaria indivisa di spettanza del fallito, la quale non abbia prescritto le notifiche al coerede, necessarie per l’esercizio della prelazione.
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
Nessuna pronunzia deve essere adottata in ordine alle spese, non essendosi l’intimato costituito in questa fase del giudizio.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso.

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