Cassazione civile, Sez. II, 29 settembre 2000, n. 12957 [1]

Norme correlate:
Capo 18 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990

Massima:
Cassazione civile, Sez. II, 29 settembre 2000, n. 12957
L’individuazione della natura di una cappella funeraria come sepolcro familiare o gentilizio oppure come sepolcro ereditario costituisce apprezzamento di mero fatto non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, qualora sorretto da sufficiente motivazione ed immune da vizi logico – giuridici.

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. II, 29 settembre 2000, n. 12957
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli III.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. Gaetano GAROFALO – Presidente
Dott. Francesco CRISTARELLA ORESTANO – Consigliere rel.
Dott. Antonio VELLA ”
Dott. Olindo SCHETTINO ”
Dott. Carlo CIOFFI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16611-98 R. G. proposto da AMADORI
Stefania ved. Comini, elettivamente domiciliata in Roma, Via Cola di
Rienzo n. 290, presso lo studio dell’Avv. Marco Spadaro che la
difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
ricorrente
contro
BERTA Giovanni e BERTA Matilde, elettivamente domiciliati in Roma,
Piazza Giovini Italia n. 7, presso lo studio dell’Avv. Anna Mania di
Roberto che li difende in virtù di procura speciale a margine del
controricorso,
controricorrenti
per la cassazione della sentenza 7 novembre – 22 dicembre 1997 n.
1878-97 della Corte d’appello di Firenze.
Udita la relazione della causa svolta, nella pubblica udienza del 7
marzo 2000, dal cons. Cristarella Orestano;
Sentito, per la ricorrente, l’avv. Mortelliti, con delega dell’Avv.
Spadaro, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sost. Proc. Gen. Dott.
Fulvio Uccella, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
Nel novembre del 1985 Giovanni Comini convenne in giudizio, avanti il Tribunale di Firenze, Giovanni e Matilde Berta, esponendo di aver appreso recentemente che costoro, nel 1970 e nel 1973, avevano fatto illegittimamente inumare la madre Margherita Gillo Tos ed il padre Francesco Berta in una cappella funeraria appartenente ad esso attore, posta nel Cimitero fiorentino delle Porte Sante.
Chiese, pertanto, la condanna dei convenuti a rimuovere da detta cappella le salme dei propri congiunti.
I Berta si costituirono, deducendo di aver agito secondo il proprio diritto poiché si trattava di sepolcro di famiglia, e non ereditario, ma l’adito Tribunale, con sentenza del 24.10.1994, accolse la domanda attorea, dichiarando il diritto di proprietà del Comino sulla cappella sepolcrale e rigettando le contrarie eccezioni dei convenuti perché totalmente sfornite di prova.
Proposto gravame dai soccombenti al quale resistette Stefania Amadori, vedova ed erede di Giovanni Comini, nel frattempo deceduto, la Corte d’appello di Firenze, con la sentenza precisata in epigrafe, in totale riforma di quella di primo grado, ha rigettato la domanda attorea, motivando come segue:
– Era pacifico in causa che fondatore della cappella in contestazione era stato Giovanni Berta, da cui erano nati due figli, Francesco e Luisa, il primo dei quali aveva generato gli appellanti (attuali resistenti) Giovanni e Matilde Berta, autori delle sepolture denunziate come illegittime;
– Attraverso i testamenti olografi, prodotti in causa, di Giovanni Berta (senior) e di sua figlia Luisa, era emerso che la proprietà della cappella era stata lasciata in eredità dal primo alla seconda e da quest’ultima a suo figlio Giovanni Comini marito defunto di Stefania Amadori;
– Ciò posto, andava osservato che lo ius sepulchri, quale diritto reale ad essere inumati o tumulati nel sepolcro gentilizio, si acquista per il solo fatto di trovarsi in un determinato rapporto di parentela, previsto nell’atto di fondazione, col fondatore e che tale diritto si trasmette iure sanguinis, e non iure successionis, ed è tutelabile con l’azione negatoria ex art. 949 cod. civ.;
– Occorreva aggiungere che, in assenza di specifiche determinazioni del fondatore, il sepolcro si presume avere carattere familiare e la sua fondazione conferisce, quindi, il diritto alla sepoltura al fondatore medesimo e a tutti i suoi discendenti, per cui salva sempre l’eventuale contraria volontà del predetto, tale diritto compete anche ai discendenti di sesso femminile, sia pure di cognome diverso;
– Pertanto, poiché nel caso di specie non risultava che il fondatore Giovanni Berta avesse mai espresso una diversa volontà in ordine alla trasmissione dello ius sepulchri, né una siffatta volontà poteva ravvisarsi nell’avere egli lasciato, con testamento, la piena proprietà della cappella alla sola figlia Luisa, non avendo tale diritto di proprietà alcuna incidenza sullo ius sepulchri, doveva ritenersi che il figlio Francesco e la di lui moglie avessero pienamente acquisito il diritto ad essere sepolti in quella cappella, e così i loro discendenti, maschi e femmine.
Ricorre per cassazione Stefania Amadori ved. Comini sulla base di un solo motivo articolato in varie censure.
Giovanni e Matilde Berta resistono con controricorso.
DIRITTO
Il motivo di ricorso è così enunciato: 1) Violazione ed erronea e-o falsa applicazione delle norme sullo ius sepulchri primario ed ereditario; 2) Omessa e-o contraddittoria motivazione circa il punto decisivo della controversia relativo al contenuto delle disposizioni testamentarie del fondatore Giovanni Berta, della figlia Luisa Berta e del figlio di costei Giovanni Comini; 3) Omessa valutazione di prove documentali decisive per la risoluzione della controversia, in particolare della certificazione del Comune di Firenze in data 9.12.1985.
Nell’illustrare queste censure la ricorrente mira innanzitutto a dimostrare, attraverso un excursus delle disposizioni testamentarie lasciate da Giovanni Berta senior e dalla di lui figlia Luisa Berta, il carattere ereditario, e non familiare o gentilizio, della cappella, ed il fatto che di ciò erano ben consapevoli le controparti, tanto che, come comprovato dalla menzionata certificazione del Comune di Firenze, Francesco Berta, per fare inumare la moglie, aveva falsamente dichiarato di essere proprietario della cappella e la figlia Matilde Berta, per fare inumare il padre, aveva dichiarato, altrettanto falsamente, di avere il consenso dei coeredi.
Si deduce, poi, che, anche a voler ammettere trattarsi di cappella familiare o gentilizia, difettava la prova di un possesso tutelabile in capo agli eredi attuali resistenti, “rimanendo ovviamente impregiudicata nel giudizio ordinario ogni questione circa la titolarità del diritto sulla tomba”.
Si addebita, quindi, alla Corte fiorentina di aver omesso di valutare che, come già detto, le due inumazioni erano avvenute con dichiarazioni contrarie al vero le quali comprovavano la piena consapevolezza, in chi le aveva rese, del carattere ereditario della tomba. Al riguardo si sostiene che il possesso del sepolcro, anche se è da escludersi che la sua unica manifestazione consista nell’ inferre mortuum, è solo quello tutelabile, e non quello ottenuto illegittimamente, come nella concreta fattispecie. Si vuol sostenere, cioè, che nell’ipotesi di sepolcro familiare, dal fatto che la titolarità di esso spetta ai parenti del fondatore iure sanguinis non può automaticamente inferirsi che al rapporto di consanguineità consegua per ciò solo la trasmissione del possesso della tomba in capo ai parenti una volta venuto meno il fondatore, perché, altrimenti, il diritto finirebbe coll’identificarsi nel possesso; né potrebbe valere la regola della successio possessionis prevista dall’art. 1146, 1 comma, cod. civ., attagliandosi tale regola soltanto al sepolcro ereditario, e non a quello familiare , con la conseguenza che sul parente (non erede) che invochi la tutela interdittale incombe l’ordinario onere di provare che ha esercitato un potere di fatto corrispondente al contenuto dello ius sepulchri, tale da concretare un possesso tutelabile con azione possessoria.
Segue una ulteriore lunga disquisizione nella quale, partendosi sempre dalla premessa che l’originario attore Giovanni Comini avesse esperito un’azione di spoglio per la reintegra nel possesso della cappella dove erano state immesse salme di persone non aventi diritto ad esservi inumate o tumulate, si sostiene che i giudici del merito avrebbero dovuto condannare i resistenti alla estumulazione, salvo poi il diritto di costoro ad esperire un’azione di accertamento sulla natura del sepolcro, dopo di che si passa a censurare la sentenza impugnata per aver omesso di applicare le norme su cui si fonda lo ius sepulchri primario e di valutare se nel caso di specie vi fosse o meno determinazione contraria nei testamenti e se, quindi, il sepolcro si dovesse presumere ereditario o familiare, continuandosi ad insistere sull’aspetto possessorio.
Si lamenta, ancora, che lo ius sepulchri sia stato riconosciuto anche a Margherita Gillo Tos, moglie di Francesco Berta, evidenziandosi l’estrema rigorosità del concetto di consanguineità richiesto, nel caso di sepolcro familiare, perché ad una persona spetti il diritto ad esservi sepolta.
Si deduce, infine, nessun compenso o indennizzo era stato mai offerto o richiesto a titolo di concorso nelle spese di costruzione e manutenzione della cappella.
Le su esposte censure sono tutte destituite di fondamento.
La Corte fiorentina, invero, dato atto della distinzione, risalente al diritto romano, tra sepolcro ereditario e sepolcro familiare o gentilizio – distinzione tuttora accolta senza sostanziali contrasti dalla dottrina e dalla giurisprudenza (v., per quest’ultima, sent. 27.6.1974 n. 1920, 5.7.1979 n. 3851, 16.2.1988 n. 1672, 29.5.1990 n. 5015, 19.5.1995 n. 5547, 30.5.1997 n. 4830, 22.5.1999 n. 5020) -, ha ritenuto che nel caso di specie si fosse in presenza, non di un sepolcro del primo tipo, in cui il diritto alla sepoltura dovesse ritenersi disciplinato dalle regole della successione mortis causa, bensì di un sepolcro familiare, cioè destinato dal suo fondatore Giovanni Berta senior a sè e alla propria famiglia e non a sè e ai propri eredi.
Tale convincimento costituisce giudizio di fatto non suscettibile di sindacato in sede di legittimità se sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizio logico – giuridici (v, sent. 18.2.1977 n. 727, 24.1.1979 n. 532), e sotto questo profilo la sentenza non presta il fianco a rilievi di sorta, avendo correttamente osservato il giudice d’appello, in conformità dell’orientamento più volte espresso da questa Corte regolatrice (v. sent. 16.2.1988 n. 1672, 15.6.1999 n. 5923), che, in difetto di una diversa espressa volontà del fondatore, nel caso di specie del tutto insussistente, il sepolcro doveva presumersi destinato sibi familiaeque suae, con la conseguenza che il diritto alla sepoltura andava ritenuto spettante, iure sanguinis, a tutti i di lui discendenti e ai rispettivi coniugi, indipendentemente dalla sorte che l’edificio sepolcrale potesse aver subito iure successionis.
Inutilmente, quindi, i ricorrenti si affannano ad evidenziare quali furono le disposizioni testamentarie di Giovanni Berta senior e poi di sua figlia Luisa Berta, nonché ad argomentare in base ad asserite menzogne cui avrebbero fatto ricorso Francesco Berta per fare inumare la moglie Margherita Gillo Tos nella cappella e sua figlia Matilde Berta per farvi inumare esso Francesco, poiché quel che conta, ai fini della segnalata distinzione, è la volontà manifestata dal fondatore all’atto della fondazione, per cui, una volta accertato che in tale momento fu impresso al sepolcro carattere familiare e non ereditario, le successive vicende della proprietà dell’edificio sepolcrale nella sua materialità diventano indifferenti, nel senso che la identificazione dei soggetti titolari del diritto primario di sepolcro, inteso nella sua accezione di diritto ad essere sepolti in quel determinato luogo, va comunque fatta in base alla volontà, espressa o presunta, del fondatore in stretto riferimento alla cerchia dei familiari presi in considerazione come destinatari, sicché il diritto del singolo deve ritenersi acquistato iure proprio sin dal momento della nascita e non può essere trasmesso né per atto tra vivi né per successione mortis causa, non si perde per prescrizione o rinuncia e, inoltre, dà luogo ad una particolare forma di comunione tra i contitolari (da non confondersi con la comunione di proprietà o di altro diritto reale sul bene) destinata a durare sino al venir meno della pluralità degli aventi diritto, solo dopo di che il sepolcro si trasforma da familiare in ereditario (v., in tal senso, la già citata sent. a 5015 del 1990).
Del pari irrilevante, ovviamente, ossia priva di qualsiasi carattere di decisività, una volta accertata la titolarità dello ius sepulchri in capo a Francesco Berta e a sua moglie quali appartenenti alla famiglia del fondatore, era la circostanza che i loro congiunti, nel chiederne l’inumazione nella cappella, avessero eventualmente reso delle dichiarazioni non veritiere all’amministrazione cimiteriale, vantando una qualità di eredi o di coeredi che non avevano.
Di scarsa intelligibilità, poi, è il discorso che i ricorrenti fanno in termini di possesso e di successione nel possesso ex art. 1146 cod. civ., visto che essi hanno univocamente agito sin dall’inizio in via petitoria (art. 949 cod. civ.), tanto è vero che ebbero a rivolgersi in prima istanza al tribunale, e non al pretore; e solo in chiave petitoria, quindi, la controversia è stata trattata e decisa dai giudici del merito.
È appena il caso di osservare, poi, che nessun rilievo poteva essere attribuito, ai fini della decisione sulla spettanza dello ius sepulchri, al fatto che chi aveva ricevuto in eredità la cappella funeraria di famiglia, avesse provveduto alla sua manutenzione senza chiedere od ottenere compensi ed indennizzi dagli attuali resistenti.
Va infine respinta la censura secondo cui, anche ammesso il carattere familiare di detta cappella, nessun diritto all’inumazione poteva essere riconosciuto in capo alla moglie di Francesco Berta, in quanto non legata da vincoli di sangue al fondatore Giovanni Berta senior.
Basti dire che al riguardo il giudice d’appello si è puntualmente uniformato all’insegnamento di questa Suprema Corte, dal quale non v’è ragione qui di discostarsi, secondo cui nella cerchia dei familiari del fondatore, aventi diritto alla sepoltura nella tomba di famiglia, devono farsi rientrare, stante il significato semantico della parola “famiglia”, purché non risulti una espressa contraria volontà del fondatore stesso, anche i soggetti legati da rapporto di coniugio con i discendenti di quest’ultimo (v., tra l’altro, sent. 30.5.1984 n. 3311, 29.5.1990 n. 5015, 19.5.1995 n. 5547).
Alla stregua delle osservazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M
LA CORTE Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del procedimento di cassazione a favore dei controricorrenti, liquidandole in L.125.900 ivi comprese L 3.000.000 (tre milioni) per onorario.
Così deciso in Roma il 7 marzo 2000.

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