Cassazione civile, Sez. II, 29 maggio 1990, n. 5015

Norme correlate:
Capo 18 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990

Massima:
Cassazione civile, Sez. II, 29 maggio 1990, n. 5015
Lo ius supulcri, che nel sepolcro ereditario si trasmette nei modi ordinari per atto inter vivos o mortis causa dall’originario titolare come qualsiasi altro bene, anche a persone non facenti parte della famiglia, invece, nel sepolcro gentilizio o familiare (carattere, quest’ultimo, da presumersi in caso di silenzio o anche se vi sono dubbi a riguardo) è attribuito in base alla volontà del testatore in stretto riferimento alla cerchia dei familiari presi in considerazione come destinatari del sepolcro stesso, acquistandosi dal singolo iure proprio sin dal momento della nascita, per il solo fatto di trovarsi con il fondatore in quel determinato rapporto previsto nell’atto di fondazione o desunto dalle regole consuetudinarie, in ogni caso iure sanguinis e non iure successionis, e dando luogo ad una particolare forma di comunione fra contitolari, senza poter essere trasmesso per atto tra vivi né per successione mortis causa, né perdendosi per prescrizione o rinuncia. Detto diritto si trasforma, da familiare in ereditario solo con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto per l’ulteriore trasferimento alle ordinarie regole della successione mortis causa.

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. II, 29 maggio 1990, n. 5015
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati
Dott. Gaetano CAROTENUTO Presidente
” Luigi COSTANZA Consigliere
” Filippo ANGLANI ”
” Giuseppe ROTUNNO Rel. ”
” Domenico GIAVEDONI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
IEZZI Fausta in proprio e quale procuratrice speciale della sorella
IEZZI Anna Grazia in forza di procura Notaio Filiberti in data
21.9.1981 registrato a Bologna il 30.9.1981 ivi residente via
Codivillo n. 2; elett.te dom.ta in Roma via dei Gracchi n. 303 presso
l’avv.to Manlio Franchi che la rappr. e difende insieme all’avvocato
Nicola Chirco per mandato a margine del ricorso.
Ricorrente
contro
MAYER Adelina ved. Buracchio, BURACCHIO Maria Clementina in
D’Ippolito, TARALLI Giuliana ved. Buracchio, BURACCHIO Michele,
BURACCHIO Francesca Romana, BURACCHIO Lorenzo, BURACCHIO Massimo
quali eredi del defunto avv. Nicola Buracchio; SORRENTINO Angela ved.
Buracchio in proprio nonché quale legale rappresentante del figlio
minore BURACCHIO Emanuele, BURACCHIO Adele e Andrea BURACCHIO quali
eredi del defunto avv. Renato BURACCHIO, tutti elett.te dom.ti in
Roma, Piazza Madonna del Cenacolo n. 14 presso l’avv.to Lucio V.
Moscarini che li rappresenta e difende per procura a margine del
controricorso.
Controricorrenti
e contro
IEZZI Virginio e FLORIO Dora
Intimati
per l’annullamento della sentenza della Corte di Appello De L’Aquila
del 21.5.1984-6.6.1984.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
27.9.1988 dal Cons. Dr. Giuseppe Rotunno.
Per il ricorrente è presente l’avv.to N. Chirico che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.
Per il controricorrente è comparso l’avv. L.V. Moscarini che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il Pubb. Min. in persona del Sost. Proc. Gen.le Dott. Fabrizio
Amirante che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
Gaetano Bassi eresse una cappella funeraria nel cimitero di Chieti e ivi trovò sepoltura, allorché nel 1899 decedette “ab intestato”, senza lasciare nè figli nè altri discendenti, ma soltanto la moglie Adele Recchia. Costei, ultima componente della famiglia del fondatore, alla sua morte trovò sepoltura nella stessa cappella.
Successivamente, con citazione 7 novembre 1977, Adelina Mayer, insieme con Nicola, Renato e Maria Clementina Buracchio, convenne davanti al Tribunale di Chieti Dora Florio, nonché Virginio, Fausta e Anna Grazia Iezzi, assumendo che il sepolcro, trasformatosi da familiare in ereditario alla morte della Recchia, era passato in proprietà esclusiva a Michele Buracchio, successore universale della medesima, poi ad essi attori, eredi del predetto, e contestando, quindi la pretesa di comproprietà affermata dai convenuti in forza della loro qualità di eredi di Clorinda Spadaccini, nipote ex sorore ed erede per 2-9 del Bassi. Gli attori chiesero pertanto dichiararsi la loro qualità di proprietari esclusivi della cappella e la illegittimità della tumulazione di Armando Iezzi, eseguitavi dai convenuti.
Costoro, fatta eccezione di Dora Florio non costituitasi, eccepirono che la dante causa degli attori, Adele Recchia, non aveva acquistato il diritto di sepolcro sulla cappella, non essendo discendente “iure sanguinis” ma moglie del fondatore, e che la stessa, alla morte del marito, era divenuta per successione comproprietaria dell’immobile in concorso con i parenti collaterali del defunto. Invocarono, perciò, il rigetto della domanda e proposero a loro volta domanda riconvenzionale per il riconoscimento del vantato diritto di comproprietà.
Con sentenza 2 giugno 1980 il Tribunale accolse la domanda riconvenzionale.
Proposto appello dagli originari attori, nel giudizio che ne seguì, a Nicola Buracchio e a Renato Buracchio, deceduti, subentrarono i rispettivi eredi.
Con la sentenza 6 giugno 1984 emessa dalla Corte di Appello de L’Aquila, in riforma della decisione dei primi giudici, gli originari attori (e coloro che erano subentrati ad alcuni di essi) furono dichiarati proprietari esclusivi della cappella e fu dichiarata illegittima l’operativa tumulazione di Armando Iezzi.
Secondo la Corte del merito, Adele Recchia, appartenendo alla cerchia dei familiari cui il fondatore suo marito aveva destinato la cappella, era stata titolare del diritto primario di sepolcro e il sepolcro, alla morte della stessa, ultima superstite di detta cerchia, si era trasformato da familiare in ereditario, vendendo trasferito all’unico suo erede, Michele Recchia, e indi da costui agli attori, da riconoscersi conseguenzialmente proprietari esclusivi.
Fausta Iezzi, anche quale procuratrice di Anna Grazia Iezzi, ha proposto ricorso per cassazione.
Adelina Mayer e gli altri originari attori o eredi di taluni di essi hanno risposto con controricorso.
Sia dalle ricorrenti sia dai controricorrenti è stata presentata memoria.
DIRITTO
Con un unico motivo di ricorso si denuncia, in riferimento all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., “violazione ed erronea applicazione dei principi consuetudinari nobiliari, che regolano la titolarità nobiliare su tomba gentilizia e la successione in detta titolarità, e dei principi relativi alla determinazione del momento in cui una tomba gentilizia si trasforma in tomba ereditaria”; nonché, “omessa, illogica contraddizione su ….. punto fondamentale della causa”.
Le ricorrenti deducono innanzitutto di non aver affatto contestato che Adele Recchia, in qualità di moglie del fondatore della cappella in questione (Gaetano Bassi), avesse il diritto di esservi tumulata e sottolineando che secondo le norme consuetudinarie (mobiliari) la titolarità su di una tomba gentilizia si trasmette unicamente in linea discendente legittima maschile in base al vincolo genetico col capostipite, mentre alle discendenti di sesso femminile, soltanto se nubili, spetta il solo diritto di esservi seppellite.
Sostengono quindi che il diritto alla vedova del fondatore, non certo da comprendersi tra i discendenti di sangue e di nome del marito, non possa che essere parificato al diritto delle figli femmine nubili, le quali, non potendo essere titolari dei diritti nobiliari che appartengono al casato, non hanno che un diritto proprio, intrasmissibile, di essere seppellite nella tomba del casato stesso.
Concludono perciò che la motivazione della sentenza impugnata, attraverso la quale si era attribuita ad Adele Recchia il diritto (nobiliare) di titolarità sulla tomba gentilizia, sia in contrasto “con i principi consuetudinari nobiliari” ed illogica, avendo trasformato la vedova, estranea al casato e legata soltanto da vincolo coniugale al fondatore, in una discendente di sangue e di nome.
Per risolvere il dibattuto problema giova muovere dalla distinzione tra sepolcro ereditario e sepolcro familiare.
Nel caso del sepolcro ereditario, la identificazione dei soggetti titolari del diritto primario di sepolcro o “ius sepulchri”, inteso nella sua accezione di diritto alla tumulazione in un determinato luogo (con la conseguenza che le salme ivi tumulate non possono esserne rimosse e che i congiunti più prossimi o gli eredi delle persone ivi sepolte possono accedere alla tomba – in forza del diritto secondario si sepolcro loro spettante – per compiervi gli atti di pietà consentiti dalla religione o dall’uso), va fatta in base alle norme che regolano la successione “mortis causa” o i trasferimenti in genere dall’originario titolare, trattandosi di un diritto che si trasferisce nei modi stessi di ogni altro bene, che può persino essere alienato in tutto o in parte e può essere lasciato, anche in legato, a persone non facenti parte dalla famiglia.
Invece, nel sepolcro gentilizio o familiare (carattere questo da presumersi nel caso di silenzio o anche di solo dubbio al riguardo), la identificazione è fatta in base alla volontà del fondatore in stretto riferimento alla cerchia dei familiari presi in considerazione come destinatari del sepolcro eretto: il diritto del singolo si acquisterà “iure proprio” sin dal momento della nascita, non potrà essere trasmesso né per atto tra vivi né per successione “mortis causa”, non si perde per prescrizione o rinunzia, e inoltre dà luogo a una particolare forma di comunione tra i contitolari, che non va confusa con la comunione di proprietà o di altro diritto reale del bene.
Mancando da parte del fondatore la indicazione dei destinatari del sepolcro familiare, in base a norme consuetudinarie di remota origine viene riconosciuto il diritto ad esservi seppelliti a tutti i discendenti maschi del fondatore per linea maschile e loro mogli, alle discendenti femmine per linea maschile rimaste nubili, con l’esclusione in ogni caso dei mariti delle discendenti femmine e dei collaterali, anche se fratelli del fondatore, a meno che, limitatamente però a questi ultimi, il fondatore sia morto senza figli o altri discendenti. Il diritto di esservi inumato o tumulato si acquista, in conclusione, per il solo fatto di trovarsi in quel determinato rapporto col fondatore, previsto nell’atto di fondazione o desunto dalle regole tradizionali sopra ricordate, in ogni caso “iure sanguinis” e non “iure successionis”. Ciò non impedisce di riconoscere il diritto in oggetto a favore della moglie del fondatore, la quale, ovviamente, non potrà trovarsi in una condizione deteriore rispetto alle mogli dei discendenti maschi del fondatore stesso.
Ma, se lo “ius sepulchri” si esaurisce e viene ad estinguersi per ciascun titolare nel momento stesso in cui il cadavere ne viene deposto in quel determinato sepolcro e se in ordine ad esso, nel caso di esistenza in vita di più contitolari, si ravvisa – come si è detto – quella particolare forma di comunione, differenziata dalla comunione di proprietà o di altro diritto reale sul bene, non può non riconoscersi la concentrazione dello stesso diritto nelle mani dell’ultimo superstite compreso nella cerchia dei familiari, qualunque si il suo vincolo col fondatore, sì che alla sua morte il diritto seguirà le sorti del trasferimento secondo le ordinarie regole della successione “mortis causa”.
Appunto a tale momento di estinzione della classe degli aventi diritto al sepolcro – momento che può verificarsi sia a breve distanza temporale dalla morte del fondatore sia a lunga distanza col decesso dell’ultimo dei suoi discendenti maschi o della vedova dell’ultimo discendente maschio – deve ricollegarsi il mutamento del carattere del sepolcro da familiare in ereditario. Mutamento questo, che sarebbe assurdo invece riportare nei suoi effetti indietro nel tempo – risalendo talvolta lungo tutta una serie interminabile di discendenti – alla morte del fondatore.
Perciò, non potendosi che aver riguardo all’ultimo superstite della cerchia degli aventi diritto, nelle mani del quale si sia concentrato lo “ius sepulchri”, questo, dalla morte e in riferimento all’apertura della successione di detto soggetto, diviene trasmissibile per via ereditaria.
Con tali principi giuridici è in linea la decisione della Corte abruzzese, con la quale, esattamente individuandosi il momento della trasformazione del sepolcro da familiare in ereditario in quello della morte della vedova del fondatore, si ritiene trasferito lo “ius sepulchri” per successione “mortis causa” all’unico erede di Adele Recchia, Michele Burracchio, a sua volta dante causa degli attori appellanti.
Il ricorso, di cui non può essere messa in dubbio l’ammissibilità essendo esso inteso in sostanza a far valere la violazione di norme di diritto (consuetudinario), si rivela, per le considerazioni svolte, infondato e deve pertanto essere respinto.
Ragioni di equità suggeriscono la compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra le parti.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Roma, 27 settembre 1988.

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