Cassazione civile, Sez. III, 23 dicembre 1998 n. 1283

Massima:
Cassazione civile, Sez. III, 23 dicembre 1998 n. 1283
1 I beni che fanno parte del Demanio pubblico non possono formare oggetto di diritti a favore dei terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. I negozi relativi all’utilizzazione di detti beni non possono, quindi, dar luogo se non ad atti di concessione in godimento temporaneo, come tali per loro natura revocabili e perciò incompatibili con la disciplina propria delle locazioni degli immobili urbani.

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. III, 23 dicembre 1998 n. 1283
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Enzo MERIGGIOLA Presidente
Dott. Ugo FAVARA Consigliere
Dott. Vincenzo SALUZZO Rel.
Consigliere
Dott. Michele LO PIANO Consigliere
Dott. Bruno DURANTE Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BOCCHERINI GINO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA MONTEVIDEO 21,
presso lo studio dell’avvocato VIRGILIO FARENGA, che lo difende,
giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore,
domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7359-96 del Tribunale di ROMA, emessa il
16-4-96 depositata il 14-05-96; RG.5314-95.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
29-09-98 dal Consigliere Dott. Vincenzo SALUZZO;
udito l’Avvocato FARANGA VIRGILIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Aurelio GOLIA che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
Con ricorso al Pretore di Roma Boccherini Gino chiedeva gli venisse riconosciuto, tra l’altro, il diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale in relazione all’attività di somministrazione di caffè, bevande ecc. da lui esercitata all’interno di Castel S. Angelo in un locale datogli in concessione dalla Amministrazione delle Finanze.
Premesso che, a seguito di reiterati rinnovi di detta concessione fino al 1987, era stato costretto successivamente a rilasciare il locale in quanto, essendosi proceduto con il metodo dell’asta pubblica alla aggiudicazione della concessione per il posto di ristoro, nella relativa gara era prevalsa l’offerta di altro partecipante, sosteneva sussistere i presupposti per il riconoscimento di tale indennità.
L’adito Pretore, con sentenza 6520-94, respingeva il ricorso compensando tra le parti le spese di lite.
Avverso detta sentenza il BOCCHERINI proponeva appello denunciando l’erroneità della decisione pretorile che aveva ritenuto non potersi applicare le disposizioni relative ai contratti di locazione ai beni del demanio dati in concessione.
Deduceva che l’art. 10 della legge n. 19 del 1963, nel prevedere la corresponsione dell’indennità per la perdita dell’avviamento anche con riguardo alle locazioni relative agli immobili di proprietà dello Stato non distingueva tra beni appartenenti al patrimonio disponibile o a quello indisponibile. Ed inoltre che il termine “concessione” veniva adoperato, per tradizione amministrativa, anche in quelle convenzioni costituenti veri e propri contratti regolati dal diritto civile.
Aggiungeva che si opererebbe un’ingiustificata discriminazione tra l’imprenditore che svolge la sua attività in un immobile di proprietà privata e quello cui l’immobile è stato dato in locazione dallo Stato ove si escludesse in quest’ultima ipotesi il diritto all’indennizzo per la perdita dell’avviamento commerciale attesa la indennità delle due situazioni.
Il Ministero delle Finanze contestava la proposta impugnazione chiedendone il rigetto.
Con sentenza 16.4-14.5.1996 il Tribunale di Roma rigettava l’appello e condannava il Boccherini al pagamento delle spese di lite.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Boccherini affidandone l’accoglimento a tre motivi.
Resiste con controricorso il Ministero delle Finanze.
DIRITTO
Con i vari motivi del ricorso, che essendo connessi vanno esaminati congiuntamente, il Boccherini denuncia “violazione dell’art. 10 L. 27.1.1963 n. 19” – “violazione degli artt. 1 e 3 della Corte Costituzionale e dell’art. 1362 cod. civ.” nonché “violazione degli artt. 2041-2042 cod. civ.”.
Deduce:
a) che erroneamente il Giudice del merito avrebbe disatteso l’art. 10 della L. 19-1963 in forza del quale le disposizioni che prevedono il diritto del conduttore al compenso per la perdita dell’avviamento commerciale troverebbero applicazione anche alle locazioni relative agli immobili di proprietà dello Stato e che tale norma non sarebbe stata revocata dalla successiva L. 392-78 regolatrice della materia.
Ed aggiunge che la massima richiamata nell’impugnata sentenza riguarderebbe ipotesi diversa relativa a revoca di concessione motivata da ragioni di pubblico interesse.
b) Che la pronuncia del Tribunale finirebbe col sottrarre gli immobili di proprietà dello Stato, dati in godimento ai privati con il regime delle concessioni, alle norme sulla locazione, ponendosi così in contrasto con i richiamati precetti costituzionali: ciò in considerazione della identità delle situazioni giuridiche ravvisabile sia in tali concessioni che nelle locazioni poste in essere tra privati.
E violerebbe inoltre l’art. 1362 cod. civ. sulla interpretazione dei contratti ed il principio in esso affermato secondo cui la comune intenzione delle parti prevale sul senso letterale delle parole.
c) Che, infine, essa consentirebbe un ingiustificato arricchimento dell’Amministrazione in violazione del preciso disposto degli artt. 2041-2042 c.c., delle norme sull’indennità di avviamento e dei principi al riguardo affermati dalla Corte Costituzionale.
Tutte le esposte censure sono destituite di fondamento.
La prima opera, in misura ancora più marcata delle altre, un accostamento tra la concessione di beni demaniali e la locazione di immobili urbani, considerandoli quasi dei sinonimi. E muovendo da tali premesse denuncia la violazione delle disposizioni che prevedono il diritto del conduttore al compenso per la perdita dell’avviamento commerciale.
A tale specifico riguardo va rilevato che il Tribunale, nel richiamare l’art. 10 L. 19-63 e l’art. 69 L. 392-78, ha correttamente osservato che tali norme limitano il diritto per la perdita dell’avviamento commerciale al solo caso di cessazione di contratti di locazione e ne ha giustamente escluso l’applicabilità alla fattispecie in esame relativa all’attribuzione in godimento di immobile demaniale effettuata con provvedimento amministrativo di concessione.
Nè le due discipline sono assimilabili.
Come questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato (cfr. oltre alla richiamata Cass. 15.12.1982 n. 6916; Cass. SS.UU. 24.7.1964 n. 2030; Cass. 9.1.1973 n. 8 e Cass. 8.4.1976 n. 1225) “I beni che fanno parte del demanio pubblico non possono formare oggetto di diritti a favore dei terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. I negozi relativi alla utilizzazione di detti beni non possono, quindi, dar luogo che ad atti di concessione in godimento temporaneo, atti revocabili e come tali incompatibili con la disciplina legale propria delle locazioni degli immobili urbani”.
E a nulla sicuramente rileva in senso contrario il fatto che la massima richiamata nell’impugnata sentenza sia relativa ad ipotesi nella quale la revoca della concessione sia stata motivata da ragioni di pubblico interesse diverse da quelle (comunque presenti) del caso in esame non incidendo minimamente tale circostanza sulla validità del principio affermato.
Quanto alla denunciata violazione di norme costituzionali per l’asserita diversità di trattamento che si finirebbe diversamente per ammettere occorre osservare che la concessione di beni del demanio non da vita, come sostenuto dal ricorrente, ad un rapporto assimilabile a quello di locazione concluso tra privati dal quale si discosterebbe solo per il diverso nome attribuito dalla P.A. all’atto di manifestazione della propria volontà. Con tale atto la P.A. esplica la propria scelta in ordine alla tutela dell’interesse pubblico determinando di attribuire il bene a terzi anziché provvedere essa stessa alla sua utilizzazione.
Ma la concessione, come esattamente osservato dai giudici del merito, non da luogo ad un mero rapporto di scambio, come nel contratto di locazione in cui, a fronte del godimento dato ad altri del proprio bene, viene in considerazione l’utilità economica rappresentata dal corrispettivo, in quanto essa, ben diversamente, è sempre presente e preminente l’interesse pubblico (che ne legittima anche la revoca prima della scadenza).
Trattasi di ben distinti rapporti che non si distinguono solo per il diverso nome, che soggiacciano ad una diversa disciplina, che non sono tra loro assimilabili e che non possono quindi avere, nel caso di cessazione, il medesimo trattamento.
Sulla scorta dei superiori rilievi va disattesa la successiva censura che si richiama all’art. 1362 c.c. lamentandone la violazione.
Come è di tutta evidenza, infatti, nella specie non si è trattato di una diversa interpretazione della volontà delle parti ma di differenti rapporti contrattuali.
Insuscettibile di accoglimento, infine, è la terza censura con la quale viene prospettata questione assolutamente nuova in quanto mai dedotta nei precedenti gradi.
Il ricorso va pertanto rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in L. 15.000 oltre agli onorari che liquida in Lire duemilioni.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 29.9.1998.

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