Cassazione civile, Sez. I, 22 dicembre 1992, n. 13587

Norme correlate:
Art 2 Regio Decreto n. 639/1910

Massima:
Cassazione civile, Sez. I, 22 dicembre 1992, n. 13587
Lo speciale procedimento ingiunzionale disciplinato dal R.D. 14 aprile 1910 n. 639, applicabile non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, trovando il suo fondamento nel potere di autoaccertamento della p.a., esige come suo fondamentale presupposto che il credito in base al quale viene emesso l’ordine di pagare la somma dovuta sia certo, liquido ed esigibile, senza alcun potere di determinazione unilaterale dell’amministrazione, dovendo la sussistenza del credito, la sua determinazione quantitativa e le sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati e, rimanendo all’amministrazione un mero potere di accertamento dei detti elementi ai fini della formazione del titolo esecutivo (nella specie in base all’enunciato principio la C.S. ha cassato la sentenza del conciliatore che aveva ritenuto legittimo il ricorso allo speciale procedimento da parte del comune per il recupero di una parte delle spese da detto ente sostenute per lavori di riparazione e di rifacimento dei tetti e delle pluviali del cimitero, previa unilaterale determinazione delle quote facenti carico ai concessionari dei loculi, in mancanza di una specifica disciplina normativa ovvero di accettazione di detti interessati).

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. I, 22 dicembre 1992, n. 13587
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Giancarlo MONTANARI VISCO Presidente
” Vincenzo BALDASSARRE Consigliere
” Antonino RUGGIERO Rel. ”
” Rosario DE MUSIS ”
” M. Gabriella LUCCIOLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
NAGARI ROSA, residente a Cilavegna,(PV), elettivamente domiciliata in
Roma, Corso Trieste, 10, presso l’avvocato Benito Furci,
rappresentata e difesa dall’avvocato Cesare Pravosi, giusta delega a
margine del ricorso;
Ricorrente
contro
COMUNE DI CILAVEGNA (PV);
Intimato
Avverso la sentenza del Giudice Conciliatore di Cilavegna del
4.3.1987;
Il cons. dr. Ruggiero svolge la relazioone in data 8.3.1991;
Il P.M. nella persona del Sostituto Procuratore Generale dr. Ugo
Donnarumma conclude per l’accoglimento.
FATTO
Con atto di citazione del 15 ottobre 1986 Rosa Nagari propose opposizione davanti al Conciliatore di Cilavegna all’ingiunzione emessa dal sindaco del comune a norma del r.d. 14 aprile 1910 n. 639 per il pagamento della somma di L. 145.000, a titolo di contribuzione pro quota alle spese di rifacimento del tetto cimiteriale, che aveva interessato anche i loculi di proprietà dell’opponente. La Nagari dedusse l’illegittimità dell’ procedura ingiunzionale e l’infondatezza nel merito della pretesa del Comune.
Il conciliatore ha rigettato l’opposizione sul rilievo che la Nagari non aveva impugnato nei termini gli atti deliberativi del comune, divenuti quindi definitivi, attinenti all’approvazione del regolamento di polizia mortuaria ed all’impegno di spesa per l’esecuzione dei lavori di rifacimento dei tetti e pluviali dei loculi cimiteriali con finanziamento in parte a carico del comune stesso ed in parte a carico di tutti i concessionari interessati.
Contro la sentenza la Nagari ricorre per cassazione per due motivi. Il Comune non si è costituito.
DIRITTO
Con il primo motivo del ricorso, la Nagari, denunciando violazione e falsa applicazione del r.d. 14 aprile 1910 n. 639 in relazione all’articolo 23 Cost., deduce che erroneamente il conciliatore avrebbe ritenuto legittima, ai sensi del citato r.d. 639-1910, l’ingiunzione notificata dal comune per un credito che mancava dei requisiti indispensabili (corrispettività, periodicità, e soprattutto liquidità ed esigibilità) che consentirebbero alla pubblica amministrazione di far ricorso alla suddetta forma di autotutela, essendosi trattato nella specie di una pretesa sostanzialmente indennitaria o risarcitoria per il rimborso di una spesa di riparazione di un edificio comunale che il comune pretendeva di addossare in parte ai singoli concessionari in base a criteri e valutazioni del tutto unilaterali; aggiunge che in proposito ancora erroneamente il conciliatore avrebbe fatto riferimento alla mancata impugnazione della deliberazione del comune in ordine all’esecuzione dei lavori ed all’impegno di spesa in parte a carico del comune stesso ed in parte a carico dei singoli concessionari, senza considerare che si trattava di un atto interno all’amministrazione che, in mancanza di una norma di legge, non poteva essere vincolante per i privati.
Con il secondo motivo del ricorso la Nagari deduce che il conciliatore avrebbe erroneamente applicato l’articolo 63 del regolamento di polizia mortuaria approvato con d.p.r. 21 ottobre 1975 n. 803, riprodotto testualmente nel regolamento locale, che fa obbligo ai concessionari di mantenere a loro spese in solido e decoroso stato i manufatti ed i monumenti di loro proprietà, atteso che nella specie i lavori e la relativa spesa avevano interessato i tetti e le pluviali dei loculi cimiteriali, di proprietà demaniale.
Il ricorso denuncia, ai sensi dell’articolo 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di norme e principi di diritto, ed occorre anzitutto verificarne l’ammissibilità, in considerazione del fatto che, secondo l’attuale testo dell’articolo 113, comma 2, cod. proc. civ., introdotto dall’articolo 3 della legge 30 luglio 1984 n. 399, “il conciliatore decide secondo equità osservando i principi regolatori della materia”.
Come è stato precisato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr. per tutte Cass. Sez. un. 6794-91), la norma vuol significare che, con riguardo alla “materia” della controversia, vale a dire al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, il conciliatore non è vincolato ad osservare ed applicare le singole regole del diritto scritto, ma deve far ricorso all’equità per individuare in concreto la regola sostanziale da applicare all’oggetto della domanda, essendo però sempre tenuto al rispetto dei “principi regolatori della materia”, da intendersi come le linee essenziali della disciplina giuridica del tipo di rapporto dedotto in causa, e prima ancora, altresì, delle disposizioni della Costituzione e dei principio fondamentali dell’ordinamento.
Da ciò deriva che avverso la decisione del conciliatore il ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., è proponibile soltanto nei limiti in cui appunto denunci la violazione di norme costituzionali, dei principi fondamentali dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia come sopra intesi, mentre non può investire la regola equitativa in concreto applicata, neppure sotto il profilo dell’inosservanza di norme di legge esplicitamente o implicitamente ritenute conformi all’equità, atteso che il giudizio di equità è per sua natura di merito riferendosi al criterio regolatore del singolo fatto concreto, ed è come tale indispensabile per vizi in iudicando i quali postulano l’erronea interpretazione o applicazione di norme generali ed astratte.
Nella specie i motivi del ricorso sopra esposti si riferiscono a principi normativi generali e fondamentali, anche di livello costituzionale, che regolano l’autotutela della pubblica amministrazione in particolare per i propri diritti di credito, ed i limiti dei poteri della stessa pubblica amministrazione nei rapporti con i privati, e sono perciò senz’altro ammissibili.
Le censure, che vanno congiuntamente esaminate, sono anche fondate nel merito.
Per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato degli enti territoriali e di altri enti pubblici specificamente indicati, la legge appresta lo speciale procedimento ingiunzionale disciplinato dal r.d. 14 aprile 1910 n. 634, nel quale è la stessa pubblica amministrazione che, per la tutela e la realizzazione del proprio credito, predispone il titolo esecutivo ed intima di conseguenza il precetto, realizzando i presupposti per procedere all’esecuzione forzata, salva l’opposizione del debitore.
Atteso l’ampio e generico riferimento alle “entrate patrimoniali” dello Stato e degli enti pubblici ivi considerati, contenuto nell’articolo 1 del citato r.d. 634-1910, il suddetto procedimento ingiunzionale è applicabile non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, e non riguarda necessariamente redditi di carattere periodico, potendo riferirsi anche ad un’entrata una tantum. Tuttavia, proprio perché l’ingiunzione, che cumula in sè le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, trova il suo fondamento nel potere di autoaccertamento della pubblica amministrazione, essa esige come suo fondamentale presupposto che il credito in base al quale viene emesso l’ordine di pagare la somma dovuta sia certo, liquido ed esigibile, elementi questi che certamente sfuggono a qualunque potere di determinazione unilaterale dell’amministrazione, dovendo invece la sussistenza del credito, la sua determinazione quantitativa e le sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati, rimanendo all’amministrazione un mero potere di accertamento dei detti elementi ai fini della formazione del titolo esecutivo (cfr. Cass. 3902-82, 736-71, 2462-69, 1950-63).
Nella specie il credito fatto valere dal comune con la procedura ingiunzionale privilegiata corrispondeva alla pretesa di rimborso verso l’attuale ricorrente, proprietaria-concessionaria di un loculo cimiteriale, di una parte della spesa sostenuta dallo stesso comune per lavori di riparazione e di rifacimento dei tetti e delle pluviali del locale cimitero, e dalla quale, secondo il comune, erano tenuti a concorrere pro quota anche i singoli concessionari dei loculi.
In proposito il comune aveva deliberato di eseguire i lavori e di porre la relativa spesa in parte a carico proprio e in parte a carico di tutti i concessionari interessati, e sulla base di tale deliberazione aveva poi determinato la quota di spesa che faceva carico alla Nagari e notificato a questa l’ingiunzione a norma del r.d. 14 aprile 1910 n. 639. Ed il conciliatore ha ritenuto legittimo il ricorso dell’ente territoriale alla procedura monitoria e preclusa alla Nagari ogni possibilità di contestazione del suo obbligo, non avendo la stessa a suo tempi impugnato la predetta deliberazione del comune.
Ma, trattandosi nella specie di una pretesa di carattere squisitamente civilistico attinente al riparto di una spesa che si sostiene essere stata effettuata anche nell’interesse della controparte, il comune non aveva alcun potere di stabilire unilateralmente la sussistenza e l’ammontare dell’obbligo di contribuzione del privato, e la deliberazione suddetta rimaneva un atto meramente interno all’amministrazione, che non poteva avere alcuna efficacia vincolante per il privato che non vi avesse espressamente aderito, atteso che, secondo il fondamentale principio dettato dall’art. 23 Cost., nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta a chicchessia se non in base alla legge.
Nè l’obbligazione della Nagari poteva ritenersi fondata, come pure ha ritenuto il conciliatore, sull’articolo 63 del regolamento di polizia mortuaria approvato con d.p.r. 21 ottobre 1975 n. 803, e riprodotto testualmente con lo stesso numero nel regolamento locale.
La detta norma, invero, stabilisce l’obbligo per i concessionari di mantenere a loro spese in solido e decoroso stato i manufatti ed i monumenti di loro proprietà; ma, in primo luogo, in caso di inottemperanza la stessa norma concede al comune solo il potere di provvedere alla rimozione dei monumenti pericolanti, ed in secondo luogo è pacifico che nella specie l’intervento del comune ha riguardato non direttamente i loculi dei concessionari, ed in particolare della Nagari, ma i tetti e le pluviali che erano certamente di proprietà del comune e che solo indirettamente potevano avvantaggiare i concessionari dei singoli loculi.
Il credito del comune non era quindi né certo, né liquido, il titolo e gli elementi per la sua determinazione concreta non rinvenendo né direttamente in una norma di legge, né nell’accettazione dell’interessata, per cui erroneamente, in violazione dei principi regolatori della materia e di quelli generali e costituzionali in tema di rapporti tra pubblioca amministrazione e soggetti privati, il conciliatore ha ritenuto legittima l’ingiunzione del comune e preclusa ogni contestazione di merito dell’opponente.
Va anche precisato che il difetto delle condizioni di legittimità o di ammissibilità della procedura monitoria non impediva al giudice conciliatore di giudicare sulla fondatezza o infondatezza nel merito della pretesa creditoria del comune, (cfr. Cass. 3706-87), ma a tale accertamento doveva procedere autonomamente ricercando i principi e gli istituti civilistici in cui la detta pretesa poteva inquadrarsi, e nel rispetto di essi decidere secondo equità, ma non poteva limitarsi a rilevare la mancata impugnazione di un atto amministrativo che non poteva invece in alcun modo incidere sul rapporto dedotto in giudizio.
Siffatto accertamento rimane impregiudicato in sede di rinvio.
In conclusione, quindi, il ricorso deve essere accolto cassandosi la sentenza impugnata con rinvio al giudice conciliatore di Pavia, che deciderà la controversia alla stregua dei principi sopra esposti.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte di cassazione accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese, al giudice conciliatore di Pavia.
Così deciso in Roma l’8 marzo 1991.

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