Cassazione civile, Sez. II, 22 agosto 1998, n. 8337

Norme correlate:
Art 87 di Regio Decreto n. 262 del 19423
Art 338 di Regio Decreto n. 1265 del 1934
Art capo10 di Decreto Presidente Repubblica n. 285 del 90

Massima:
Cassazione civile, Sez. II, 22 agosto 1998, n. 8337
La costruzione in violazione della zona di rispetto cimiteriale, stabilita dall’art. 338 del R.D. 27 luglio 1934 n.1265, finché non sia abbattuta, non esclude l’operatività del principio della prevenzione, e quindi non legittima il vicino a costruire in violazione delle distanze legali stabilite dall’ art. 873 c.c.

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. II, 22 agosto 1998, n. 8337
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Francesco FAVARA Presidente
Dott. Vincenzo CALFAPIETRA Consigliere
Dott. Michele ANNUNZIATA Consigliere
Dott. Antonino ELEFANTE Consigliere
Dott. Ettore BUCCIANTE Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MALASPINA PROBO, MALASPINA LEOPOLDO, elettivamente domiciliati in
ROMA CIRCONVALLAZIONE CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato
PIETRO GRANDI, giusta delega in atti;
Ricorrenti
contro
CANEVARI FRANCO, CANEVARI GIAMPIETRO;
Intimati
e sul 2 ricorso n. 01705-96 proposto da:
CANEVARI FRANCO, CANEVARI GIAMPIETRO, elettivamente domiciliati in
ROMA VIALE DI VILLA GRAZIOLI 29, presso lo studio dell’avvocato
ANTONIO BAVARO, che li difende unitamente agli avvocati CARLO BANDINI
e GIORGIO ZANGHI, giusta delega in atti;
Controricorrenti e ricorrenti incidentali
contro
MALASPINA PROBO, MALASPINA LEOPOLDO, elettivamente domiciliati in
ROMA CIRCONVALLAZIONE CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato
PIETRO RICCI, che li difende unitamente all’avvocato FILIPPO GRANDI,
giusta delega in atti;
Controricorrenti al ricorso incidentale
avverso la sentenza n. 1424-94 della Corte d’Appello di BOLOGNA,
depositata il 17-11-94;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18-03-98 dal Consigliere Dott. Ettore BUCCIANTE;
udito l’Avvocato GRANDI FILIPPO difensore del ricorrente che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto di quello
incidentale,
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Vincenzo GAMBARDELLA che ha concluso per il rigetto di entrambi i
ricorsi.
FATTO
Franco Canevari e Giampiero Canevari, proprietari di un fondo nel comune di Ottone, confinante con un terreno appartenente a Leopoldo Malaspina e Probo Malaspina, citarono questi ultimi davanti al Tribunale di Piacenza, chiedendo che fossero condannati all’eliminazione di una scala e di due costruzioni realizzate, in parte, sull’appezzamento di loro attori, nonché alla ricostruzione di un muro di contenimento arbitrariamente demolito, oltre al risarcimento dei danni. I convenuti contestarono la fondatezza di tali domande, sostenendo di essere proprietari dell’area in questione per averla acquistata da Antonio Curti e di aver eretto la scala e demolito il muraglione su autorizzazione concessa a suo tempo dal padre dei Canevari; affermarono altresì che costoro avevano edificato un fabbricato a distanza irregolare e chiesero quindi, in via riconvenzionale, che fossero condannati ad arrestarlo.
Con sentenza del 21 aprile 1987 il Tribunale accolse sia le domande proposte dagli attori (salvo quella di risarcimento di danni) sia quella formulata dai convenuti.
Impugnata separatamente dagli uni e dagli altri, la decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte di appello di Bologna, che con sentenza del 17 novembre 1994, previa riunione dei giudizi, ha condannato i Malaspina al risarcimento dei danni nella misura di lire 1.000.000 e ha confermato nel resto la pronuncia di primo grado, ritenendo (per quanto ancora rileva in questa sede): – che esattamente il Tribunale aveva applicato il criterio della prevenzione in favore degli originari convenuti, i quali avevano costruito in una zona in cui all’epoca si poteva farlo senza licenza edilizia; che la mancanza di questa era comunque irrilevante ai fini dell’obbligo di osservanza delle distanze; che lo stesso valeva per la violazione della fascia di rispetto cimiteriale, commessa a suo tempo dai Malaspina; – che la porzione di terreno di cui i Canevari avevano lamentato l’invasione era effettivamente di loro proprietà; che infatti, con una scrittura privata registrata il 18 ottobre 1965, Antonio Curti aveva venduto il fondo a Giovanni Canevari, il quale con un atto pubblico del 23 ottobre 1971 lo aveva ceduto ai suoi figli Franco e Giampiero; che con un’altra scrittura senza data lo stesso Curti, poi deceduto il 9 novembre 1965, aveva venduto a Probo Malaspina circa 42 mq. dello stesso terreno; che la trascrizione del rogito notarile era rimasta isolata, per cui occorreva ricorrere al principio prior in tempore potior in iure; che la vendita ai Canevari aveva una data certa (quella della registrazione) anteriore all’altra, la quale non poteva farsi risalire a prima della morte del venditore; – che la presenza di una linea tratteggiata nella planimetria allegata a una richiesta di licenza edilizia dei Canevari non costituiva un elemento significativo, trattandosi di un progetto compilato da un tecnico a fini diversi dal riconoscimento o dal trasferimento del diritto di proprietà; – che la domanda dei Malaspina, di accertamento dell’avvenuta usucapione dell’area in contestazione, era stata proposta tardivamente soltanto all’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado; che comunque, anche a volerla esaminare sotto il profilo dell’eccezione riconvenzionale, andava rilevato che nella comparsa di risposta era stato indicato il 1957 come anno di costruzione del fabbricato dei convenuti, mentre senza alcuna spiegazione il consulente tecnico di ufficio aveva fatto riferimento al 1952-53; – che era mancata ogni prova in ordine alla concessione ad aedificandum che sarebbe stata accordata da Giovanni Canevari ai fini della costruzione della scala sul suo fondo; – che il godimento, da parte dei Malaspina, della porzione occupata di terreno altrui aveva provocato evidentemente un danno, liquidabile equitativamente nella misura di lire 1.000.000.
Contro questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Probo Malaspina e Leopoldo Malaspina, in base a sei motivi. Franco Canevari e Giampiero Canevari, nel resistere con controricorso, hanno formulato un motivo di impugnazione incidentale, cui i ricorrenti principali hanno opposto un loro controricorso. Ognuna delle parti ha depositato una propria memoria.
DIRITTO
In quanto proposti contro la stessa sentenza, i due ricorsi devono essere riuniti.
Con il primo dei motivi addotti a sostegno di quello principale, Probo Malaspina e Leopoldo Malaspina lamentano che la loro domanda riconvenzionale, diretta ad ottenere la dichiarazione dell’avvenuta usucapione dell’area in contestazione, è stata ritenuta inammissibile perché formulata per la prima volta all’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado, pur se in quella sede gli attori nulla avevano obiettato e si erano poi difesi nel merito, nel contesto della loro comparsa conclusionale.
La censura è fondata.
L’inosservanza del divieto di proporre domande nuove nel corso del giudizio, sancito dall’art. 184 c.p.c. nel testo vigente all’epoca, comportava di regola la loro inammissibilità, rilevabile anche di ufficio, salvo il caso in cui l’altra parte avesse espressamente o tacitamente dimostrato di non voler rifiutare il contraddittorio.
Ebbene, una simile accettazione, mentre non è ravvisabile nel mero silenzio (cfr. Cass. s.u. 22 maggio 199 n. 4712, che sul punto ha innovato la precedente giurisprudenza, la quale invece considerava significativa anche la semplice inerzia), lo è invece nell’esplicazione senza riserve di difese nel merito, che concreta un atteggiamento dell’interessato incompatibile con la volontà di avvalersi della preclusione di cui si tratta: ipotesi che appunto si è verificata nella specie, come risulta dall’esame degli atti di causa, che questa Corte può direttamente esaminare, stante la natura del vizio denunciato. Né rileva che si trattasse, come i controricorrenti hanno posto in rilievo, di una domanda riconvenzionale: i principi suesposti – sempre per i processi iniziati anteriormente all’entrata in vigore della riforma della procedura civile del 1990 – sono applicabili a tutte le domande “nuove”, comprese quelle formulate dalla parte convenuta oltre il limite stabilito dall’art. 167 c.p.c. nel testo originario (cfr., tra le altre, Cass. 12 aprile 1990 n. 3116).
Con il secondo motivo di ricorso i Malaspina contestano l’applicabilità del criterio prior in tempore potior in iure, utilizzato dalla Corte di appello per risolvere il conflitto conseguente all’esistenza delle due scritture private con cui Antonio Corti aveva venduto, rispettivamente a loro e al padre dei Canevari, l’appezzamento in questione.
La doglianza, formulata mediante argomentazioni non del tutto perspicue sotto il profilo della consequenzialità logico-giuridica, va respinta.
Non sussiste, innanzi tutto, la lamentata violazione dell’art. 2650 c.c. Il giudice di secondo grado, proprio in adesione alla tesi sostenuta anche in questa sede dai ricorrenti principali, ha esattamente escluso la possibilità di attribuire rilevanza alla trascrizione del rogito con cui Giovanni Canevari nel 1971 aveva ceduto il terreno di cui si tratta ai suoi figli, appunto perché il precedente suo atto di acquisto da Antonio Corti non era stato a sua volta trascritto. Difettando quindi il requisito della continuità, altrettanto esattamente la Corte di appello ha fatto ricorso al criterio della priorità, con riguardo (anziché alle trascrizioni) agli atti di acquisto, ineccepibilmente dando la prevalenza a quello con data certa anteriore: la scrittura privata registrata il 18 ottobre 1965, con cui il Corti aveva venduto l’area a Giovanni Canevari, dato che, come gli stessi ricorrenti ammettono, “la scrittura privata senza data intervenuta tra Malaspina e Corti Antonio è divenuta certa con la morte di quest’ultimo avvenuta il 1 novembre 1965″.
Con il terzo motivo del ricorso principale viene denunciata, in una prima parte, l’omessa o erronea valutazione, nella sentenza impugnata, di due elementi – desumibili dalla vendita del 1971 di Giovanni Canevari ai figli e da una domanda di licenza edilizia presentata da questi ultimi al Comune di Ottone – favorevoli, secondo i Malaspina, al loro assunto circa la mancata inclusione, nel trasferimento da Antonio Corti al padre degli originari attori, della porzione immobiliare contesa tra le parti.
Neppure questa censura può essere accolta.
Circa l’affermazione dei ricorrenti, relativa all’indicazione dei confini contenuta nell’”atto di provenienza” fatto valere dai Canevari, è sufficiente rilevare che essa introduce inammissibilmente, per la prima volta in questa sede, un tema che implica la necessità di indagini di merito e che non era stato prospettato al giudice a quo. Quanto poi alla tesi del “valore confessorio” da attribuire alla domanda di licenza edilizia, va rilevato che la Corte di appello l’ha vagliata e disattesa, compiendo un apprezzamento discrezionale tipicamente di merito (cfr. Cass. 7 dicembre 1991 n. 13201) e adeguatamente motivandolo, senza incorrere in vizi logici o errori di diritto, mediante l’osservazione che l’atto non era destinato, nonché al trasferimento, neppure al riconoscimento di alcun diritto sul bene.
In seguito all’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, restano assorbite le ulteriori doglianze formulate nel terzo, le quali attengono alla questione dell’usucapione, che il giudice di secondo grado avrebbe dovuto valutare come oggetto della (ammissibile) domanda riconvenzionale proposta dagli originari convenuti, mentre l’ha presa in considerazione – “anche a volerla esaminare” – solo per l’aspetto di una semplice eccezione.
Ugualmente sono assorbiti il quarto e il sesto motivo, che rispettivamente riguardano la condanna dei Malaspina al risarcimento dei danni conseguenti all’occupazione dell’area che sostengono di aver usucapito e al regolamento delle spese.
Con il quinto motivo viene contestata l’esattezza della pronuncia della Corte di appello riguardante la ritenuta illegittimità della costruzione della scala e della demolizione del muro eseguite dai Malaspina: opere che secondo i ricorrenti erano state consentite a suo tempo da Giovanni Canevari (come era risultato dalla prova testimoniale) mediante un atto che non richiedeva la forma scritta ad substantiam.
La censura deve essere disattesa, poiché non è pertinente alla ratio decidendi, sul punto, della sentenza impugnata: il giudice di secondo grado non ha affatto negato che una concessione ad aedificandum, con effetti solo obbligatori, possa essere validamente assentita in forma verbale (cfr., in tal senso, Cass. 10 luglio 1985 n. 4111). Ha invece escluso che la circostanza fosse stata provata dai Malaspina, testualmente trascrivendo la deposizione – del tutto negativa – del testimone sentito in proposito: valutazione che non è sindacabile da parte di questa Corte e alla quale i ricorrenti si sono limitati a opporne una propria, contraria.
Il ricorso incidentale di Franco Canevari e Giampiero Canevari si basa su un unico motivo, con il quale viene denunciato l’omesso esame di un punto decisivo, il difetto di motivazione e la violazione dell’art. 338 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, per avere la Corte di appello, relativamente alla distanza tra i due edifici, applicato il criterio della prevenzione in favore dei Malaspina, pur se il fabbricato di costoro versava in condizione di “illegittimità sostanziale”, essendo stato costruito nella fascia di rispetto del cimitero all’epoca esistente in loco.
La doglianza, che sotto il profilo del vizio di motivazione è inconferente, trattandosi di questione di diritto, va respinta.
Nella sentenza impugnata la circostanza in considerazione non è stata trascurata, ma esattamente è stata reputata irrilevante.
L’inosservanza del divieto di costruire a meno di 200 metri dai cimiteri, stabilito per ragioni di tutela dell’igiene pubblica e sanzionato, tra l’altro, con la demolizione coattiva ad opera dell’autorità competente, finché l’abbattimento non sia eseguito non abilita il proprietario confinante a fabbricare a sua volta, cumulando illegittimità a illegittimità, eventualmente entro la stessa fascia di rispetto e altresì in violazione a delle distanze legali fissate dall’art. 873 c.c. o dai regolamenti locali, quasi come in una sorta di “terra di nessuno” dove non vigano le norme regolatrici dei rapporti di vicinato: le esigenze, anch’esse di igiene, sottese alla prescrizione di distanze minime tra edifici, in una simile situazione non solo non vengono meno, ma semmai sono più impellenti, né quindi possono essere sacrificate a causa della “illegittimità sostanziale” di una o di entrambe le costruzioni. Ed infatti il criterio della prevenzione è stato costantemente ritenuto applicabile nell’analogo caso, pertinentemente assimilato dalla Corte di appello a quello in considerazione, di edificio realizzato dal primo costruttore in assenza di licenza (ora concessione) edilizia: v., per tutte, Cass. 2 agosto 1995 n. 8476.
Accolto pertanto il primo motivo del ricorso principale, dichiarati assorbiti il quarto e l sesto, respinti gli altri e rigettato altresì il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio della causa ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte di appello di Bologna, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti il quarto e il sesto motivo e rigetta gli altri motivi dello stesso ricorso, nonché il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Bologna, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Roma, 18 marzo 1998

Written by:

0 Posts

View All Posts
Follow Me :