Cassazione civile, Sez. Lavoro, 21 luglio 2001, n. 9955

Riferimenti: Orient. giur. lav. 2001, I, 658

Massima:
Cassazione civile, Sez. Lavoro, 21 luglio 2001, n. 9955
Ai sensi dell’art. 3 l. n. 443 del 1985 è artigiana non solo l’impresa che esercita, nei limiti dimensionali di cui alla legge medesima, un’attività di produzione di beni (anche semilavorati), ma anche quella che esercita “attività di prestazione di servizi”, escluse le attività agricole e commerciali. Al fine di stabilire se un’impresa che esercita un’attività di prestazione di servizi debba essere inquadrata nel settore artigianale o commerciale, la prestazione del servizio deve essere valutata nel suo complesso e non scissa nelle sue singole componenti, affidandosi, poi, ad un giudizio di prevalenza dell’una sulle altre. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva ritenuto che un’impresa di pompe funebri fosse da inquadrare nel settore commerciale, attribuendo rilievo preminente all’attività di fornitura della bara e considerando, invece, non rilevanti e accessorie tutte le incombenze connesse al decesso che vengono demandate all’impresa di pompe funebri).

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. Lavoro, 21 luglio 2001, n. 9955
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo TREZZA – Presidente –
Dott. Ettore MERCURIO – Consigliere –
Dott. Francesco Antonio MAIORANO – Rel. Consigliere –
Dott. Corrado GUGLIELMUCCI – Consigliere –
Dott. Alessandro DE RENZIS – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A.A. ADRIA DI MARCELLI V., ROSCIOLI L., MANCINI L., POMPEI M.R.
(già ADRIA s.n.c.) in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA PAOLO EMILIO 71, presso lo
studio dell’avvocato MARCHETTI ALESSANDRO, che lo rappresenta
e difende unitamente all’avvocato SIENA RENATO, giusta delega in
atti;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,
rappresentato e difeso dagli avocati CORETTI ANTONIETTA, FONZO FABIO,
CORRERA FABRIZIO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 213-98 del Tribunale di ASCOLI PICENO,
depositata il 11-05-98 R.G.N. 433-97;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
11-05-01 dal Consigliere Dott. Francesco Antonio MAIORANO;
udito l’Avvocato CORETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Renato FINOCCHI GHERSI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
Con ricorso al Pretore di Ascoli Piceno la Adria s.n.c. conveniva in giudizio l’INPS per la declaratoria di illegittimità dell’inquadramento della società nel settore commercio, invece che in quello artigianale, e quindi per la condanna dell’INPS alla restituzione di quanto pagato in più.
L’INPS contrastava la domanda, ma il Pretore la accoglieva, condannando l’Istituto alla restituzione della somma di L 51.021.060 a titolo di indebita contribuzione e della somma di L 1.167.050 per somme aggiuntive, oltre rivalutazione ed interessi.
Il Tribunale di Ascoli Piceno, investito in grado di appello ad istanza dell’INPS, con sentenza del 3-4 – 11-5-98, rigettava la domanda proposta dalla società, con condanna della stessa alla restituzione all’INPS della somma di L 102.688.134 nel frattempo pagate in esecuzione della sentenza del Pretore.
Precisava il giudice del riesame che, ferme restando le risultanze della prova per testi acquisita in primo grado, diverse erano le valutazioni e quindi le conseguenze: la fornitura di arredi funebri e l’assemblaggio delle bare acquistate da altra ditta non integravano gli estremi della “produzione propria” richiesta (ex art. 5 L. n. 443 del 8-8-85 – legge quadro sull’artigianato – ) per poter qualificare come artigiana l’attività di pompe funebri espletata dalla società ed escludere la natura commerciale dell’impresa. La prestazione principale era rappresentata dalla fornitura della bara e degli arredi funebri, nonché dall’affissione dei manifesti e trasporto della salma: tutti questi servizi non implicavano attività di produzione e trasformazione di sorta, perché le bare, arredi e mezzo di trasporto venivano acquistati ed i manifesti erano stampati da terzi; la eventuale composizione e vestizione della salma non costituiva certo “trasformazione” della materia (come sarebbe la imbalsamazione e cremazione) e quindi, pur sussistendo i requisiti dimensionali e personali, doveva escludersi il carattere artigianale dell’attività ed affermarsi, invece, il carattere commerciale della stessa.
Questa interpretazione era confermata dal disposto dell’art. 5, comma 6, della legge, in quanto l’imprenditore era esonerato dalle autorizzazioni commerciali solo nel caso in cui i beni dallo stesso forniti fossero di “produzione propria”, o “strettamente (occorrenti) all’esecuzione dell’opera o alla prestazione dei servizio commessi”; e l’unico bene veramente indispensabile per il servizio funebre era la bara, mentre gli altri erano accessori; in mancanza del requisito della produzione propria dei beni fomiti, doveva essere esclusa la natura artigianale dell’attività.
Avverso questa pronuncia propone ricorso per cassazione la Adria s.n.c., fondata su un solo motivo.
Resiste l’INPS con controricorso.
DIRITTO
Lamentando violazione e falsa applicazione degli art. 2083., 2222 e 2223 c.c., L. n. 860 del 1956, artt 2, 3 e 5 L. 443 del 1985 e 49 L. n. 88 del 1989, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360, n. 3 e 5, CPC), deduce il ricorrente che dalle deposizioni testimoniali era emerso che: “il lavoro prevale sul capitale, in quanto il reddito è prodotto dal lavoro dei soci e dipendenti… senz’altro l’attività della ricorrente è costituita per il 99% dalla prestazione di servizi; la rimanente attività è accessoria..”(teste Mazzocchi); “il lavoro svolto dai dipendenti e soci dell’impresa prevale sul capitale, essi infatti svolgono personalmente lavoro anche manuale nel processo produttivo” (teste Grassi); c’è un’attività di allestimento (delle bare) esiste una vasta attività manuale dei dipendenti e soci stessi dell’impresa, consistente in : vestizione salme… allestimento camere ardenti , ecc…(teste Martufi ); “a mio parere il lavoro aveva funzione fondamentale..la maggioranza dei soci svolgeva lavoro in prevalenza personale, anche manuale…la prestazione di servizi aveva scopo prevalente… (teste Sebastiani).
Il Tribunale, premesso che restavano “ferme le risultanze della prova espletata in primo grado” l’aveva poi contraddittoriamente disattesa, negando la sussistenza della.. “produzione propria” ed affermando che la prestazione principale era la fornitura della bara, arredi funebri, affissione manifesti e trasporto della salma, cose che non implicavano attività di produzione e trasformazione, con la conseguente classificazione della impresa come commerciale, malgrado la sussistenza di requisiti dimensionali e personali.
La realtà era completamente diversa da quella prospettata dal Tribunale, in quanto il decesso di una persona comportava una serie di incombenze burocratiche, amministrative, religiose, espletate dalla impresa, mentre l’acquisto della bara era solo un aspetto marginale e meno impegnativo. Era quindi errato non considerare l’attività in questione come prestazione di servizi (al pari dell’idraulico, che nell’esercizio della sua attività detiene e fornisce un serie di beni) rientrante nell’attività artigianale.
Peraltro l’INPS riscuoteva dai soci dell’Adria i contributi previdenziali previsti per gli artigiani. La sentenza quindi doveva essere cassata.
Il ricorso è fondato.
Ai sensi dell’art. 3 della legge – quadro per l’artigianato, n. 443 del 8-8-85, è artigiana non solo l’impresa che esercita, nei limiti dimensionali di cui alla legge medesima, un’attività di produzione di beni, anche semilavorati, ma anche quella che esercita “attività di prestazione di servizi”, escluse le attività agricole e commerciali.
La prestazione del servizio deve essere valutata nel suo complesso e non scissa nelle sue singole componenti, onde valutarne il peso economico e quindi decidere sull’inquadramento dell’impresa nel settore artigianale o commerciale. A prescindere dalla apoditticità della affermazione, secondo cui la “prestazione principale…è rappresentata dalla fornitura della bara….che è l’unico bene veramente indispensabile per il servizio funebre….essendo tutti gli altri, quali i manifesti e le onoranze, non indispensabili”, trascura il giudice di merito l’aspetto umanitario della vicenda tristissima della famiglia che ha il morto in casa ed è moralmente incapace di provvedere al trattamento del cadavere ed a tutte le incombenze non solo formali delle onoranze funebri, ma anche amministrative, connesse al decesso e che vengono demandate all’impresa funebre; ma trascura anche l’oggetto del contratto in relazione al servizio che viene commissionato e che è essenziale non solo per il morto che deve essere chiuso nella bara, trasportato ed inumato, ma anche per i parenti che sono una delle parti del rapporto convenzionale e non saprebbero fare da soli quanto necessario (e quindi non sono interessati al solo acquisto della bara) ed hanno l’interesse, diretto e personale, ad essere sollevati da tutte quelle incombenze (esplicitamente commesse con il contratto e per le quali viene pagato un prezzo non irrilevante) e che il Tribunale, invece, ha considerate accessorie e non rilevanti ai fini della classificazione del servizio prestato dall’Adria.
Ed a questo proposito va rilevato che dal testo delle deposizioni testimoniali riportate in ricorso emerge un chiaro sintomo d’ingiustizia della sentenza, laddove il giudice di merito ha valutato superficialmente i fatti emergenti da quelle dichiarazioni in ordine alla attività materiale compiuta dai quattro soci dell’Adria e dai tre dipendenti; i testi esprimono anche giudizi e valutazioni (di prevalenza di una attività sulle altre) inammissibili e che in nessun caso possono essere tenuti presenti dal giudice, ma indicano anche fatti e servizi resi (vedi in particolare i testi Martufi e Sebastiani), che in talune ipotesi potrebbero essere anche prevalenti dal punto di vista economico, in caso di scelta di una bara di basso costo o di trasporto a lunga distanza. In ogni caso, però, la soluzione del problema sulla natura commerciale o artigianale dell’impresa non può essere affidata ad un giudizio di prevalenza, o meno, di una prestazione sull’altra, ma il giudice di merito deve esprimere una valutazione globale del servizio. Ed è questa valutazione che viene demandata al giudice del rinvio, avendo il Tribunale già “preso atto dei requisiti dimensionali e persomi dimostrati dalla ditta appellata”.
In conclusione l’impresa, dopo la valutazione globale del servizio prestato, sarà qualificata come artigianale o commerciale, in relazione alla sussistenza, o meno, degli altri requisiti dimensionali e personali previsti dalla legge – quadro per l’artigianato.
II ricorso va quindi ascolto e la sentenza cassata, con remissione alla Corte di Appello di Ancona per nuova valutazione di merito, tenuto conto delle osservazioni che precedono; il giudice del rinvio provvederà anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M
LA CORTE Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Ancona Roma 11 maggio 2001

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