Cassazione civile, Sez. III, 21 gennaio 1987, n. 526

Norme correlate:
Capo 09 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990
Art 2051 Regio Decreto n. 262/1942

Riferimenti: Foro it.1987, I, 786

Massima:
Cassazione civile, Sez. III, 21 gennaio 1987, n. 526
Poiché la discrezionalità della pubblica amministrazione, nella vigilanza e nel controllo dei beni demaniali, è delimitata dal principio neminem laedere, è configurabile la responsabilità della p.a. a norma dell’art. 2051 c.c. per il danno cagionato al privato da un bene demaniale atteso che questo essendo nella custodia dell’amministrazione medesima, rientra nel suo potere di vigilanza e controllo, il cui mancato o negligente esercizio, presunto dall’art. 2051 c.c., segna il limite del potere discrezionale di essa. Tale presunta responsabilità della p.a. trova limite soltanto con riguardo ai beni demaniali sui quali è esercitato un uso ordinario generale e diretto da parte dei cittadini (demanio marittimo, fluviale, lacuale, strade, autostrade, strade ferrate), quando cioè l’estensione del bene stesso renda praticamente impossibile l’esercizio di un continuo ed efficace controllo che valga ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi, restando invece applicabile in relazione ai beni demaniali che, per la loro limitata estensione territoriale, consentono un’adeguata attività di vigilanza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici del merito che aveva riconosciuto al privato, proprietario di una cappella gentilizia danneggiata dal crollo di un grosso albero esistente nei pressi, il diritto nei confronti del comune – cui appartiene il bene demaniale cimitero con le sue accessioni, quali gli alberi ivi esistenti – al risarcimento del danno).

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. III, 21 gennaio 1987, n. 526
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati
Dott. Vittorio COLESANTI Presidente
” Giovanni MATTIELLO Consigliere
” Carmine LAUDATO ”
” Aldo SCHERMI Rel. ”
” Michele MAIELLA ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
Comune di Torre del Greco – in persona del Sindaco M. Auricchio –
elett. dom. in Roma, Via Dardanelli n. 15, presso lo studio dell’avv.
Giovanni Calvanese, rapp. e difeso dall’avv. Franco Gualtieri con
studio in Napoli (80129) – P.zza Vavitelli n. 24, per mandato a
margine del ricorso
– Ricorrente –
contro
MARRAZZO Antonio – res. in Torre del Greco, Via Sedivola n. 15 –
elett. dom. in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione,
rapp. e difeso dall’avv. Sabino Sarno e dall’avv. Pietro Renzo,
quest’ultimo con studio in Napoli (80121) – Via del Vasto a Chiaja n.
37 per mandato a margine del controricorso
Controricorrente
Visto il ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli
del 9.12.81-29.3.82 (R.G. 369-81);
Udito il Cons. Rel. dott. A. Schermi nella pubblica udienza del
4.4.1986;
Sentito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. dott. De Martini, che
ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
Con atto di citazione notificato il 12 gennaio 1977 Antonio Marazzo, proprietario di una cappella gentilizia nel cimitero comunale di Torre del Greco, premesso che nella notte fra il 30 ed il 31 dicembre 1974 un grosso albero dall’alto fusto sito nei pressi della cappella, già precedentemente in condizioni statiche precarie, era crollato sulla cappella medesima causando gravi danni, ed assumendole responsabilità del Comune di Torre del Greco, conveniva tale Comune davanti al Tribunale di Napoli chiedendone la condanna la risarcimento dei danni.
Il Comune di Torre del Greco, costituitosi, contestava la fondatezza della proposta domanda chiedendone il rigetto.
Venivano ammesse ed espletate prove testimoniali.
In sede di precisazione delle conclusioni l’attore limitava la sua domanda all’accertamento dell’an debeatur senza opposizione da parte del convenuto.
L’adito Tribunale, con sentenza 19 dicembre 1980, dichiarava il Comune di Torre del Greco responsabile del danno subito dal Marrazzo e dichiarava interamente compensate fra le parti le spese del giudizio.
Proposto appello dal Comune di Torre del Greco, la Corte di Appello di Napoli, con sentenza 29 marzo 1982, confermava l’impugnata pronuncia e condannava l’appellante a rimborsare all’appellato le spese del giudizio di secondo grado.
la Corte di Napoli riteneva che nella specie ricorresse l’ipotesi di danno causato da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., perché l’albero crollato rientrava nella sfera di custodia e vigilanza del comune di Torre del Greco. Osservava che tale, Ente aveva dimostrato, con la prova espletata, che in quella notte si era verificato un fortunale di notevoli dimensioni che aveva determinato il crollo dell’albero, ma non aveva offerto la prova liberatoria, cui era tenuto a norma dell’art. 2051 c.c., sulla circostanza che l’avvenimento imprevisto ed imprevedibile avrebbe superato i limiti della doverosa attività del custode e l’evento si sarebbe verificato nonostante tutte le cautele adottate da esso Comune per prevenire il danno: sarebbe stato necessario offrire la priva che l’albero era in condizioni statiche normali e non affetto da vetustà e corrosioni, che tale situazione era nota al custode per avere esercitato la doverosa sorveglianza e che nonostante ciò era avvenuto il crollo.
Avverso questa sentenza il Comune di Torre del Greco ha proposto ricorso per cassazione deducendo due motivi.
Il Marazzo resiste con controricorso e successiva memoria.
DIRITTO
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 2051, 824, 2697, 2698 e 2043 c.c. e della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.. Lamenta che la Corte di Napoli abbia applicato la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. in una situazione di bene demaniale (cimitero comunale) di notevole estensione territoriale, come tale soggetto ad un uso generalizzato e indiscriminato e non possibile di una idonea, diffusa custodia da parte dell’ente pubblico. Sostiene che la Corte di Napoli avrebbe, in ultima analisi, sotto lo schermo di un obbligo di custodia, presupposto ed affermato – sia pure indirettamente – un obbligo di manutenzione del bene demaniale (cimitero con i suoi alberi) come corrispondente ad un diritto soggettivo del cittadino, il quale ha invece un interesse legittimo, per cui la pubblica amministrazione risponde dei danni causati, per l’uso del bene demaniale, solamente in forza del principio del neminem laedere, senza presunzioni ed oneri di prova a suo carico. Lamenta che, avendo l’attore Marrazzo chiesto, all’udienza del 26 giugno 1979, di provare la circostanza che “l’albero crollato era già in precedenza in condizioni statiche precarie e che erano state vane tutte le segnalazioni rivolte alle autorità preposte”, assumendosi così (senza dichiarazione di voler invertire oneri di prova) l’onere della prova la Corte di Napoli abbia invece voluto attribuire tale prova ad esso Comune.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli art. 2056 e 1223 c.c. e dell’art. 41 c.p.. Lamenta che la Corte di Napoli, dopo avere affermato che esso Comune con la sua attività,probatoria aveva dimostrato che “in quella notte ebbe a verificarsi un fortunale di notevoli dimensioni che determinò il crollo di che trattasi”, abbia poi, contraddicendosi, attribuito tale crollo a colpa e responsabilità di esso ricorrente. Sostiene che la Corte di Napoli, una volta affermato che il crollo del cipresso fu determinato dal verificarsi di un fortunale di notevoli dimensioni, avrebbe dovuto esaminare se la causa sopravvenuta, costituita da tale violento fortunale, fosse stata di per sè sufficiente a determinare l’evento, così da escludere o no il rapporto di causalità con i supposti difetti apparenti del cipresso, se eventualmente “affetto da vetustà o corrosioni” non occulte, per negligente manutenzione o per mancanza di vigilanza sul patrimonio arboreo dell’esteso cimitero di esso Comune.
I due motivi sono infondati.
Nella giurisprudenza di questa Suprema Corte sono stati individuati gli elementi, le caratteristiche e la regolamentazione probatoria della responsabilità per danni cagionati da cosa in custodia prevista e disciplinata dall’art. 2051 c.c., specificazione, con caratteristiche e conseguenze sue proprie, della generale responsabilità per fatti illeciti tipizzata nell’art. 2043 c.c.. La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha base: a) nell’essersi il danno verificato nell’ambito del dinamismo connaturato alla cosa o dallo sviluppo di un agente dannoso sorto nella cosa, al quale potere fisico inerisce il dovere di custodire la cosa stessa, cioè di vigilarla e mantenerne il controllo, in modo da impedire che produca danni a terzi. In presenza di questi due elementi, la norma dell’art. 2051 c.c., pone a carico del custode una presunzione iuris tantum di colpa, che può essere vinta soltanto dalla prova che il danno è derivato esclusivamente da caso fortuito, inteso nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e della colpa del danneggiato: il fatto del terzo e la colpa del danneggiato escludono la presunzione di colpa del custode quando nel determinismo dell’evento dannoso si pongono come dotati di impulso causale autonomo e con carattere di inevitabilità nella sfera di azione del custode. Mentre incombe al danneggiato l’onere di provare i due elementi indicati sopra sui quali si basa la responsabilità, presunta iuris tantum, del custode, quest’ultimo, ai fini della prova liberatoria, ha l’onere di indicare e provare la causa del danno estranea alla sua sfera di azione (caso fortuito, fatto del terzo, colpa del danneggiato), rimanendo a suo carico la causa ignota (sent. 12 giugno 1973 n. 1698, 4 settembre 1974 n. 2412, 18 giugno 1975 n. 2435, 15 dicembre 1975 n. 4124 – ove si precisa che il custode ha il dovere di accertarsi se il bene, oggetto della sua vigilanza, si trovi in situazione tale, per il dinamismo ad esso connaturato o per lo sviluppo di un agente dannoso in esso insorto, da cagionare danni a terzi e, nel caso positivo, di adottare tempestivamente le cautele idonee ad evitare la degenerazione della situazione, da pericolosa a dannosa -, 22 maggio 1982 n. 3134).
Soggetta alla responsabilità per danni cagionati da cosa in custodia, nella disciplina di cui allo art. 2051 c.c. quale ora precisata, è anche la pubblica amministrazione; pur se il danno sia stato cagionato da cosa facente parte del demanio. Ciò per il principio che la discrezionalità della pubblica amministrazione, nel compimento e nella manutenzione di opere pubbliche, ed anche – per quanto interessa ai fini della presente causa – nella vigilanza e nel controllo dei beni demaniali, è delimitata dal principio del neminem laedere: la pubblica amministrazione è responsabile per il danno cagionato al privato, il quale è titolare del correlato diritto soggettivo al risarcimento, qualora, per negligenza od inosservanza di regole tecniche, il modo di compimento o di manutenzione dell’opera pubblica abbia creato una situazione di insidia o trabocchetto; ed ugualmente la pubblica amministrazione è responsabile per il danno cagionato al privato, il quale è titolare del correlato diritto soggettivo al risarcimento, da un bene demaniale, che ‘e nella custodia dell’amministrazione medesima, nel cui potere di vigilanza e controllo rientra. In tali ipotesi, il privato non ha un diritto soggettivo al compimento ed alla manutenzione dell’opera pubblica secondo criterio di diligenza e con l’osservanza di regole tecniche, od alla custodia, cioè all’esercizio del potere di vigilanza e di controllo, del bene demaniale da parte della pubblica amministrazione; ma. ove il danno si verifichi,ha il diritto soggettivo al suo risarcimento, se l’opera pubblica è stata compita o mantenuta con negligenza od inosservanza di regole tecniche,il che segna il limite alla discrezionalità della pubblica amministrazione, o se il danno è stato cagionato da un bene demaniale, che ‘e nella custodia della pubblica amministrazione, comportante in questa il potere di vigilanza e di controllo del bene, il cui mancato o negligente servizio, presunto dall’art. 2051 c.c., segna, anche qui, il limite del potere discrezionale della pubblica amministrazione.
Risulta evidente, allora, l’errore in cui cade il ricorrente allorché sostiene che la Corte di Napoli, sotto lo schermo di un obbligo di custodia, abbia presupposto un obbligo, della pubblica amministrazione, di manutenzione del bene demaniale (nella specie cimitero con i suoi alberi) come corrispondente ad un diritto soggettivo del privato, il quale ha invece un interesse legittimo. Il privato, proprietario della cappella gentilizia danneggiata dal crollo dell’albero d’alto fusto esistente nei pressi della cappella, ha diritto, nei confronti del comune a cui appartiene il bene demaniale cimitero (con le sue accessioni, quali gli alberi ivi esistenti), al risarcimento del danno causatogli dall’albero che era nella custodia del Comune, secondo la disciplina normativa di cui all’art. 2051 c.c., e quindi con la presunzione iuris tantum e con il conseguente onere di prova liberatoria a carico del comune (vedi Cass. s.u., 14 ottobre 1972 n. 3060 e Cass. 30 ottobre 1984 n. 5567).
La giurisprudenza di questa Suprema Corte ha posto un limite all’applicabilità, nei confronti della pubblica amministrazione, della presunzione di responsabilità ex art. 2051 c.c. per danni cagionati a terzi da beni demaniali: limite che sussiste, escludendosi la presunzione di responsabilità, quando si tratti di beni demaniali sui quali è esercitato un uso ordinario generale e diretto da parte dei cittadini – elencandosi espressamente al riguardo il demanio marittimo, fluviale, lacuale, le strade, le autostrade e le strade ferrate -, quando l’estensione del bene demaniale renda praticamente impossibile l’esercizio di un continuo ed efficace controllo che valga ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi; mentre la presunzione di responsabilità, nei confronti della pubblica amministrazione, sussiste in relazione ai beni demaniali che per la limitata loro estensione territoriale consentono un’adeguata attività di vigilanza (sent. 27 marzo 1972 n. 976, 13 febbraio 1978 n. 671, 7 febbraio 1982 n. 58).
Nella specie, in cui si tratta di cimitero comunale con la sua dotazione arborea, il Comune di Torre del Greco avrebbe dovuto dimostrare, essendo a suo carico l’onere probatorio, che il cimitero aveva un’estensione tale da rendere praticamente impossibile il controllo dello stato degli alberi ivi esistenti sì da impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi e per i loro beni;prova che non è stata offerta. A parte che, qualunque sia l’estensione dei cimiteri comunali, l’esercizio, da parte dell’ente pubblico territoriale, del controllo dello stato degli alberi non può dirsi impossibile, dipendendo dall’organizzazione della relativa attività predisposta dall’ente pubblico.
Ferma, dunque, la presunzione di responsabilità,del Comune di Torre del Greco, al quale incombeva l’onere di fornire la prova liberatoria, non valeva ad invertire tale onere probatorio l’offerta, da parte del danneggiato attore Marrazzo, di provare con testimoni la circostanza che “l’albero crollato era già in precedenza in condizioni statiche precarie che erano state vane tutte le segnalazioni rivolte all’autorità preposte”, poiché – come afferma lo stesso ricorrente – il Marrazzo non dichiarò di voler invertire l’onere probatorio (Cass. 28 giugno 1984 n. 3796); per cui esattamente i giudici del merito non tennero conto di tale offerta di prova.
Non sussiste, nella motivazione della sentenza impugnata, il vizio logico di contraddittorietà denunciato con il secondo motivo del ricorso. Invero, la Corte di Napoli ha rilevato, bensì, che il Comune di Torre del Greco aveva dimostrato , con la sua attività probatoria, “la circostanza che in quella notte ebbe a verificarsi un fortunale di notevoli dimensioni, che determinò il crollo di che trattasi”; ma ha pure osservato – esattamente – che il detto Comune, al fine di liberarsi della presunzione di responsabilità ex art. 2051 c.c., avrebbe dovuto offrire la prova che l’albero era in condizioni statiche normali, non affetto da vetustà o corrosioni, che tale situazione era nota al custode per avere esercitato la doverosa sorveglianza e che nonostante ciò era avvenuto il crollo. In definitiva, incombeva al Comune di Torre del Greco, sul quale ricadeva la presunzione di responsabilità ex art. 2051 c.c., l’onere di fornire la prova (liberatoria) che il fortunale verificatosi nella notte fra il 30 ed il 31 dicembre 1977 era stato (non soltanto “di notevoli dimensioni”, ma) tale da causare il crollo anche di un grosso albero d’alto fusto in condizioni statiche normali, per cui non rilevava che il cipresso crollato fosse eventualmente affetto da vetustà o corrosioni, in quanto, anche in condizioni statiche normali, il crollo si sarebbe verificato ugualmente.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di cassazione, che liquida il L. 28.300, oltre L. 700.000 per onorari.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della III sezione civile della Corte di Cassazione , il 4 aprile 1986.

Written by:

0 Posts

View All Posts
Follow Me :