Cassazione civile, Sez. Unite, 16 aprile 1997, n. 3287

Norme correlate:
Art 358 Regio Decreto n. 1265/1934
Art 3 Legge n. 1034/1971
Capo21 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990

Massima:
Cassazione civile, Sez. Unite, 16 aprile 1997, n. 3287
La domanda diretta ad accertare nei confronti del Comune il diritto dei comproprietari di una cappella gentilizia – che non si trovi nella situazione, in relazione alle proprietà circostanti, prevista dall’art. 105, secondo comma, del D.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803 e dall’art. 104, secondo comma, del D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 (norme regolamentari di Polizia mortuaria emesse in attuazione dell’art. 358 del T.U. delle leggi sanitarie, approvato con R.D. 27 luglio 1934 n. 1265) – di proseguire l’uso della stessa per le tumulazioni dei defunti, ancorché la cappella sia preesistente all’entrata in vigore del T.U. delle leggi sanitarie, introduce una controversia appartenente alla giurisdizione del giudice amministrativo, avendo la situazione giuridica del privato, che pretende di eseguire la tumulazione di un defunto nella cappella, la natura di interesse legittimo e non di diritto soggettivo.

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. Unite, 16 aprile 1997, n. 3287
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Aldo VESSIA Pres. di Sez.
ff. di Primo Presidente
” Romano PANZARANI Pres. di Sez.
” Antonio IANNOTTA Pres. di Sez.
” Francesco AMIRANTE Consigliere
” Gaetano GAROFALO ”
” Gaetano NICASTRO ”
” Giovanni OLLA ”
” Gian Carlo BIBOLINI Rel. ”
” Antonio VELLA ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
ROSSELLI DEL TURCO PIER FRANCESCO, residente in Firenze, con
domicilio eletto in Firenze, Borgo Santa Croce n. 7, presso e nello
studio degli avv.ti Paolo Pecchioli e Donatella Del Donno Pecchioli,
che lo rappresentano e difendono, sia congiuntamente che
disgiuntamente, per procura a margine del ricorso introduttivo;
Ricorrente
contro
COMUNE DI FIRENZE, in persona del Sindaco Prof. Mario
Primicerio, elettivamente domiciliato in Roma, via Dora n. 1, presso
l’Avv. M. Athena Lorizio che in unione all’Avv. Claudio Visciola lo
rappresenta e difende, anche disgiuntamente, come da mandato in calce
al controricorso;
Controricorrente
avverso la sentenza n. 942-94 pronunciata dalla Corte d’Appello di
Firenze in data 5 luglio 1994;
oggetto: questione di giurisdizione.
udita la relazione del consigliere Gian Carlo Bibolini;
sentito l’Avv. M.A. Lorizio il quale, per il Comune di
Firenze, ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito il P.M. Dott. Antonino Leo il quale ha chiesto il rigetto del
ricorso con correzione della motivazione;
FATTO
Con atto di citazione notificato il 4 dicembre 1987 i signori Pier Francesco Rosselli Del Turco e Lottieri Rosselli Del Turco convenivano davanti al Tribunale di Firenze il Comune della stessa città chiedendo accertarsi che essi, in quanto comproprietari della cappella gentilizia denominata S.S. Concezione posta in Firenze, avevano diritto di proseguire l’uso della medesima e, perciò, di eseguire le tumulazioni nei locali esistenti.
Il Comune, costituitosi, resisteva alla pretesa.
Il Tribunale adito, pronunciando con sentenza in data 24 luglio 1992, dichiarava il difetto di giurisdizione della A.G.O., rientrando le controversie relative al diritto di uso del sepolcro nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il Tribunale addiveniva a detta decisione sul presupposto che la cessione a favore di privati di suoli cimiteriali per la costruzione di sepolture di famiglia rientrassero nell’ambito delle concessioni amministrative.
Su appello degli attori originari e nel contraddittorio del Comune di Firenze, pronunciava la Corte d’Appello di Firenze che con sentenza n. 942-94 dava conferma a quella di primo grado, pur mutando la motivazione.
In particolare:
a) chiariva la Corte del merito che il regime concessorio in materia è previsto per l’utilizzazione del suolo del demanio comunale ai fini di sepoltura privata. Quando, invece, la sepoltura possa avvenire in cappelle private, come nel caso di specie, il regime applicabile non è quello della concessione (a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale) ma quello autorizzativo.
b) Rispetto alle cappelle private, la Corte del merito individuava tre situazioni giuridiche di rilievo, e cioè:
1) il diritto di proprietà sul manufatto;
2) il diritto di sepolcro primario, inteso come il diritto di seppellire i defunti nella cappella;
3) il diritto secondario di sepolcro, inteso come il diritto di mantenere le sepolture già esistenti.
Nella specie era in discussione il diritto di sepolcro primario.
c) La Corte del merito non riteneva accoglibile la tesi del Comune secondo cui, in virtù delle previsioni degli artt. 105 e 104 rispettivamente dei D.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803 e D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, si individuerebbe un’ipotesi di decadenza, e ciò sia perché la decadenza avrebbe un carattere ben più incisivo del divieto di nuove tumulazioni, sia perché non risulta essere intervenuto alcun provvedimento dichiarativo o costitutivo di decadenza, sia infine perché la decadenza ha un carattere di automaticità che si contrappone alla discrezionalità della revoca.
In caso di decadenza, inoltre, il potere di incidere sul diritto soggettivo comporterebbe la sussistenza della giurisdizione ordinaria, perché l’assenza dei presupposti per incidere, nell’esercizio di un potere vincolato, su un diritto soggettivo perfetto, si risolverebbe nella carenza di potere.
d) Nella specie gli attori originari non contestano che il diritto al sepolcro primario costituisca un diritto condizionato al nulla osta del sindaco a norma degli artt. 103 e 102 dei due D.P.R. citati; essi lamentano in sostanza il cattivo esercizio di tale potere, per avere l’autorità rifiutato di consentire l’autorizzazione alla tumulazione nella cappella gentilizia per l’assenza delle condizioni oggettive ed ambientali previste dal regolamento, ma a loro volta dipendenti da cattivo esercizio del potere regolamentare.
In base alla dicotomia “assenza di potere e dei suoi presupposti = giurisdizione ordinaria; cattivo esercizio del potere = giurisdizione amministrativa”, la Corte del merito ritiene sussista nella specie la giurisdizione amministrativa.
Avverso la decisione proponeva ricorso per cassazione il sig.
Pier Francesco Rosselli Del Turco, sulla base di un unico motivo, depositava controricorso il Comune di Firenze.
DIRITTO
Con l’unico mezzo di cassazione il ricorrente deduce la violazione dei principi e delle norme attributive della giurisdizione in materia di lesione di diritti soggettivi (art. 360 n. 1 c.p.c.).
La censura del sig. Pier Francesco Rosselli Del Turco trae spunto dal presupposto che il diritto di sepolcro primario costituisce un diritto soggettivo perfetto, sia che attenga al diritto di proprietà della cappella, sia che dipenda da un atto amministrativo di natura autorizzatoria. Nella specie tale diritto era stato acquisito nella sua pienezza, tanto da essere stato esercitato pacificamente dal 1865 al 1973.
Successivamente l’uso di tale diritto sarebbe stato di fatto impedito dall’autorità amministrativa e ciò con riferimento alle norme regolamentari del 1975 e del 1990 emesse in virtù dell’art. 358 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 (T.U. delle Leggi Sanitarie). È pacifico, infatti, che secondo il Comune l’uso della cappella gentilizia per ulteriori sepolture è impedito dalla disciplina regolamentare con cui si prevede che la sepoltura possa avvenire in luogo attorniato in un raggio di 200 metri da fondi di proprietà delle famiglie e sui quali esista vincolo di inalienabilità e di inedificabilità.
Poiché, peraltro, il diritto di sepoltura ordinaria era, in tesi, un diritto perfetto, le norme regolamentari, interpretate ed applicate secondo la posizione processuale assunta dal Comune di Firenze finirebbero per avere un effetto retroattivo, in quanto incidenti su un diritto preesistente di cui si impedisce l’esercizio successivo. Peraltro la legge base (il T.U. leggi sanitarie) non consente affatto l’effetto retroattivo, mentre non possono avere effetto retroattivo le norme regolamentari che debbono uniformarsi ai principi fondamentali dell’ordinamento, tra cui vi è quello generale, salvo espressa disposizione contraria, della irretroattività della legge.
In effetti detti regolamenti non potevano essere applicati, in tesi, ai diritti quesiti, per cui nessun potere amministrativo è stato attribuito alle autorità competenti in materia di autorizzazione ed uso delle cappelle private dall’art. 104 D.P.R. 285-1990 per le situazioni ad esso anteriori oppure, il che è lo stesso, le nuove norme regolamentari si applicano solo alle cappelle di nuova costruzione.
Tale essendo il tema dedotto in sede di legittimità, occorre rilevare preliminarmente, e per ragioni di ordine sistematico, che alcune situazioni essenziali sono incontroverse in fatto, e cioè:
A) è incontroverso che gli attori originari siano comproprietari della cappella gentilizia denominata “SS. CONCEZIONE”, sita in Firenze, località Trespiano, in prossimità di via dei Masoni;
B) che a detta proprietà accedeva storicamente il diritto di sepoltura nella cappella, diritto esercitato per lungo periodo storico;
C) che la cappella non si trovi nella situazione, in relazione alle proprietà circostanti, prevista dall’art. 105, 2 comma del D.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803 nonché dall’art. 104, 2 comma del D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 (sopravvenuto in corso di causa); norme regolamentari di polizia mortuaria emesse in attuazione dell’art. 358 del T.U. delle leggi sanitarie (R.D. 27 luglio 134 n. 1265). Prevede infatti il T.U. (art. 340, 2 comma) che i luoghi di sepoltura in terreni privati debbano avere una distanza dai centri abitati non minore di quella stabilità per i cimiteri, distanza che i due articoli di regolamento per le cappelle private hanno fissato in 200 metri. Nella specie è incontroverso che, rispetto alla strada pubblica ed alle proprietà abitative di terzi, la distanza fosse inferiore.
Ciò premesso in linea di fatto, si tratta di esaminare se la controversia, valutata secondo il criterio del petitum sostanziale, attenga a diritti soggettivi o ad interessi legittimi e, quindi, rientri nella giurisdizione del giudice ordinario ovvero in quella del giudice amministrativo.
Giova a tale fine ricordare che l’art. 340 del T.U. delle Leggi Sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 citato, si esprime in materia con un divieto di carattere generale e con una previsione di eccezioni al divieto condizionate a determinate situazioni di fatto (le distanze).
Il principio generale si esprime come segue: “È vietato seppellire un cadavere in luogo diverso dal cimitero”. L’eccezione (secondo comma dell’articolo in esame) concerne “la tumulazione di cadaveri nelle cappelle private e gentilizie… poste ad una distanza dai centri abitati non minore di quella stabilita per i cimiteri”.
La doglianza del ricorrente è tutta improntata sull’individuazione del proprio diritto originario (ancorché non ne venga precisato in modo inequivoco la fonte) e sul fatto che le norme limitative del vantato diritto sarebbero caratterizzate da efficacia retroattiva, inibita alla disciplina regolamentare e consentita alla normativa primaria purché espressamente o inequivocabilmente prevista.
Sotto il profilo prospettato dalla ricorrente, peraltro, non può non rilevarsi che sia il regime ordinario espresso nel generale divieto, sia quello eccezionale permissivo sotto condizione oggettiva, dispongono esclusivamente per il futuro (in quanto il divieto e l’eccezione riguardano il fatto della “tumulazione”) rispetto all’entrata in vigore della legge e, in caso di diritti preesistenti, incidono esclusivamente sul loro esercizio successivo.
Ciò è sufficiente per escludere che nelle richiamate norme della legge fondamentale possa individuarsi un effetto retroattivo, in quanto l’effetto non incide sulla titolarità del vantato diritto, ma sul suo esercizio futuro e coinvolge solo le successive tumulazioni, non la conservazione di quelle precedentemente già avvenute.
Se, peraltro, l’efficacia retroattiva deve escludersi per la legge fondamentale dell’art. 340 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265, sulla stessa linea logica si pone l’esclusione della retroattività delle disposizioni regolamentari del d.p.r. 21 ottobre 1975 n. 803 e 10 settembre 1990 n. 285, emesse in esecuzione della espressa previsione normativa dell’art. 358 del citato R.D. n. 1265-34, poiché anch’esse, determinando quali siano le distanze dalle abitazioni richieste per i luoghi di tumulazione pubblica e privata (art. 105, 2 comma per il regolamento del 1975 ed art. 1042 del regolamento del 1990), dispongono per le tumulazioni successive alla loro entrata in vigore.
Sia il divieto che l’eccezione hanno ad oggetto un fatto: la tumulazione di un defunto. Conseguentemente, il significato della legge, nella contrapposizione tra la regola del divieto e l’eccezione permissiva, si chiarisce nel senso che dall’entrata in vigore del T.U. delle leggi sanitarie, il fatto in quanto tale della tumulazione di un defunto viene assunto nel divieto, e nell’eccezione condizionata, per una preminente ragione di interesse generale assunto a finalità primaria perseguita ed a criterio direttivo dell’attività della p.a. nella cui vigilanza la tutela di detto interesse rientri. Si tratta, pertanto, di una tipica norma di azione rispetto alla quale le situazioni dei privati, che con essa si pongano in contrasto, assumono il rilievo di interessi, sia pure legittimi, sia che attengano a situazioni giuridiche che trovino fonte in fatti successivi alla legge, sia che derivino da una fonte ad essa anteriore, con conseguente affievolimento ad interesse. È la stessa L. n. 1265-34, quindi, che ponendo il fatto delle successive tumulazioni nell’alternativa divieto-eccezione condizionata, in virtù della tutela diretta e primaria di un interesse pubblico, comporta l’affievolimento ad interesse legittimo di qualsiasi diritto primario di tumulazione ad essa preesistente, subordinandone il persistente esercizio a determinate condizioni igieniche (la distanza dai centri abitati non inferiore a quella prevista per i cimiteri su suolo pubblico).
Inoltre la norma di legge richiamata persegue in via diretta il fine primario della tutela di un interesse generale, assunto ad interesse pubblico sotto il profilo della tutela sanitaria e volto ad improntare l’attività della p.a., interesse tutelato anche dalla previsione di un illecito in caso di violazione (la contravvenzione sanzionata in allora con l’ammenda secondo l’art. 340, 3 comma del T.U. citato).
Di fronte, quindi, ad un fatto sanzionato, se violatore dell’interesse della pubblica sanità, non è neppure ipotizzabile una situazione del privato cui sia consentito, per diritto proprio, di superare il limite dell’illecito posto a tutela di un interesse pubblico. Lo stesso provvedimento della p.a. che, nell’esercizio della sua potestà di vigilanza, sia autorizzativo di volta in volta della tumulazione in luogo diverso dal cimitero pubblico, presuppone la constatazione dell’insussistenza delle condizioni oggettive dell’illecito stesso, secondo la previsione dell’art. 105, 4 comma del regolamento D.P.R. n. 803-75 e 104, 4 comma del regolamento D.P.R. n. 285-1990 che sottopone alla vigilanza dell’autorità comunale le cappelle private costruite fuori dei cimiteri, anche preesistenti alla data di entrata in vigore del Testo Unico delle Leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934 n. 1265.
Il potere autorizzativo dell’autorità comunale, cui è deferita l’attività di vigilanza in materia, non è limitata alle cappelle esterne ai cimiteri costruite dopo l’entrata in vigore del T.U. del 934 indicato, per la coerenza dispositiva tra l’art. 340 del T.U., nel senso sopra indicato, e la disciplina specifica della norma regolamentare.
Infondata è la tesi, sostenuta dal ricorrente, secondo cui la disciplina regolamentare riguarderebbe esclusivamente la costruzione di cappelle avvenute in epoca successiva all’emanazione di ogni singolo regolamento. A parte la chiarezza testuale sul punto dell’art. 105, 4 comma del regolamento del 1975 e dell’art. 104, 4 comma del regolamento del 1990 che, come ricordato, fanno espresso riferimento anche alle cappelle private, fuori del cimitero, preesistenti alla data di entrata in vigore del Testo Unico fondamentale richiamato, l’interpretazione proposta sarebbe in contrasto con l’espressa disciplina della legge fondamentale (art. 340, 2 comma del T.U. citato del 1934). Una volta stabilito, infatti, che l’eccezione al divieto generale è espressamente subordinata alle stesse condizioni locali ed obiettive previste per i cimiteri (condizione che riflette l’incidenza dell’interesse pubblico sulla situazione del privato), e che detta norma trova applicazione alle tumulazioni successive al T.U., la determinazione di dette condizioni obiettive previste in entrambi i regolamenti non possono che essere applicabili a tute le tumulazioni successive al T.U. suddetto di cui costituiscono disciplina attuativa, ancorché concernenti cappelle preesistenti. È indubbiamente vero che entrambi i regolamenti dettano le norme per la costruzione delle nuove cappelle; ma l’uso di cappelle private sottoposte alla vigilanza dell’autorità comunale, in attuazione dell’art. 354 del T.U., non può che riferirsi all’uso per tumulazione primaria di tutte le cappelle private, preesistenti o non, sottoposte alla vigilanza dell’autorità comunale. L’oggetto della vigilanza dell’autorità comunale, infatti, non può che essere individuato nelle situazioni previste dagli stessi commi degli artt. 105 e 104 dei due regolamenti rispettivamente del 1975 e del 1990 più volte richiamati; e poiché la vigilanza, in virtù dei quarti commi di entrambi i predetti articoli, coinvolge espressamente anche le cappelle preesistenti all’entrata in vigore del T.U. delle Leggi sanitarie, deve ritenersi che la vigilanza coinvolga anche l’uso delle cappelle esterne ai cimiteri comunque esistenti (e quindi anche preesistenti) e quindi la tumulazione in esse sol quando le norme igieniche, riflesse nella distanza dai centri abitati, siano rispettate.
Vertendosi, in conseguenza delle svolge osservazioni, in situazione di interesse legittimo, così determinato e ricondotto alla domanda originaria secondo il criterio del petitum sostanziale, deve affermarsi la giurisdizione amministrativa.
Sussistono giustificati motivi per la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione amministrativa. Compensa le spese.
Roma 30 gennaio 1997.

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