Cassazione civile, Sez. I, 9 luglio 1996, n. 6240

Riferimenti: Giust. civ. Mass. 1996, 959

Massima:
Cassazione civile, Sez. I, 9 luglio 1996, n. 6240
Il sistema dei libri fondiari o tavolare (r.d. 28 marzo 1929 n. 499 e successive modificazioni) è un sistema di pubblicità il quale, ancorché rivesta carattere costitutivo per alcune categorie di atti, non ha invece tale carattere rispetto agli acquisti per causa di morte, in relazione ai quali, anzi, come si desume dall’art. 3 del decreto istitutivo, l’intavolazione non ha nemmeno il valore di una condizione di opponibilità. In particolare, il certificato di eredità (art. 13 ss. r.d. citato) fa presumere ad ogni effetto la qualità di erede, come risulta dall’art. 21 (nel testo sostituito dall’art. 17 della l. 29 ottobre 1974 n. 594), ma non è costitutivo di siffatta qualità, che va invece identificata ed attribuita secondo la normativa successoria.

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. I, 9 luglio 1996, n. 6240
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Renato BORRUSO Presidente
” Rosario DE MUSIS Consigliere
” Alessandro CRISCUOLO Rel. ”
” Ugo Riccardo PANEBIANCO ”
” Mario CICALA ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
HALLER GERTRUDE, elettivamente domiciliata in Roma Via FEDERICO
CONFALONIERI 5, presso l’Avvocato Luigi Manzi, che la rappresenta e
difende unitamente all’Avvocato GERHART GOSTINER, giusta delega in
atti;
Ricorrente
contro
JOHANN TH. GUFLER, in proprio e quale proc. gen.le dei confratelli e
coeredi dell’originario attore Josef Gufler e cioè MARIA, MARTHA,
ROSA, ALOIS e FRIEDA GUFLER, elettivamente domiciliato in Roma P.le
Clodio 61, presso l’Avvocato ALDO CRETA, che lo rappresenta e difende
unitamente all’Avvocato EDUARD DORFER, giusta delega in atti;
Controricorrente
avverso la sentenza n. 172-92 della Corte d’Appello di Trento,
depositata il 16-05-92;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
04-12-95 dal Consigliere Relatore Dott. Alessandro Criscuolo;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato Emanuele Coglitore, con delega,
che chiede l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MARIO DELLI PRISCOLI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
Con ricorso in data 30 luglio 1985 Gufler Josef chiese al Presidente del Tribunale di Bolzano di autorizzarlo a procedere a sequestro conservativo sui beni mobili e immobili di Haller Gerda, esponendo che: aveva anticipato a questa ultima, fino al 24 settembre 1981, il denaro necessario per l’acquisto di una casa in Merano, parte mediante pagamento diretto all’impresa costruttrice e parte mediante detrazione – dal credito vantato da tale impresa verso la Haller – dell’importo relativo ai lavori di installazione dei servizi igienico sanitari che esso Gufler aveva eseguito su incarico dell’impresa medesima; la Haller si era obbligata a restituirgli le dette anticipazioni non appena avesse incassato il denaro proveniente dalla vendita di una sua casa in Ora; ma nel 1982, dopo aver venduto tale immobile per il prezzo di lire 305.000.000=, la Haller non aveva pagato il proprio debito ed anzi aveva tentato di vendere anche la casa di Merano (sua unica proprietà residua), sulla quale anche il costruttore aveva nel frattempo ottenuto altro sequestro conservativo, onde era evidente il periculum in mora.
Il Presidente del Tribunale dispose la comparizione delle parti, nel corso della quale la Haller dedusse che ella aveva convissuto more uxorio con il Gufler per circa dieci anni e in tale periodo aveva collaborato con lui, tra l’altro gestendo una casa di appartamenti per turisti posseduta dal medesimo Gufler in S. Leonardo in Passiria, casa della quale aveva curato da sola sia l’amministrazione sia la conduzione. Aveva inoltre svolto tutti i lavori domestici e tenuto la contabilità dell’impresa termoidraulica di cui il Gufler era socio. Per tutta questa attività si era pattuito tra le parti che il medesimo Gufler l’avrebbe ricompensata, quando se ne fosse presentata l’occasione, con un consistente contributo per l’acquisto di una proprietà immobiliare. Ella, comunque, dopo la vendita della casa in Ora, aveva in varie riprese restituito all’istante la somma di circa cento milioni.
Il Presidente del Tribunale autorizzò il chiesto sequestro conservativo fino a concorrenza di lire 400.000.000=, subordinandolo al versamento di una cauzione di lire 40 milioni.
Instaurata quindi la causa per la convalida e per il merito il tribunale, all’esito dell’istruzione, con sentenza del 17 marzo-28 settembre 1989 condannò la Haller a pagare al Gufler la somma di lire 225.600.000=, oltre alle spese giudiziali, previa convalida del provvedimento cautelare.
La suddetta sentenza fu impugnata in via principale della Haller e in via incidentale dal Gufler. E la Corte di appello di Trento, con sentenza n. 172-1992 in data 28 aprile-16 maggio 1992, respinse il gravame principale e, in accoglimento di quello incidentale, condannò Gertrude Haller a pagare agli eredi di Gufler Josef (nel frattempo deceduto) l’ulteriore importo di lire 103.931.878=, con gli interessi e le decorrenze già precisate dal tribunale, nonché le spese del giudizio di secondo grado.
La Corte osservò (per quanto qui interessa): che, essendo provato l’esborso in favore della Haller, incombeva a costei l’onere di dimostrare che esso era stato eseguito a titolo di “riconoscenza – compenso”, e quindi di donazione remuneratoria effettuata in via indiretta; che tale prova non era stata affatto raggiunta ed anzi le emergenze processuali deponevano in senso contrario; che la domanda di restituzione azionata dal Gufler non poteva stupire, ad onta dei rapporti affettivi corsi tra i due, perché un anticipo di circa 330 milioni (in valuta di 12 anni prima), senza un termine di restituzione e al tasso d’interesse legale, aveva costituito pur sempre un atto di grande favore; che l’obbligazione restitutoria doveva comprendere sia i pagamenti direttamente effettuati all’impresa costruttrice (già liquidati dal tribunale) sia il corrispettivo per le opere idrauliche; che non poteva esser condivisa la tesi, già respinta dei primi giudici e riproposta dalla Haller, diretta a rivendicare la proprietà esclusiva, o almeno la comproprietà, di un deposito in titoli di credito presso la Banca popolare di Merano, perché – pacificamente risultando che ella non godeva di proprie fonti di reddito e che i titoli in questione erano stati acquistati dal Gufler – incombeva a lei l’onere di provare la donazione di quei valori e tale prova non era stata raggiunta.
Gertrude Haller ricorre per la cassazione della suddetta sentenza, deducendo due motivi di annullamento.
Johann Th.Gulfer, in proprio e quale procuratore generale dei fratelli Maria, Martha, Rosa, Alois, e Frieda, coeredi dell’originario attore Josef Gulfer, resiste con controricorso e ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
DIRITTO
Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente, denunziando violazione dell’art. 99 c.p.c., afferma che in grado di appello si costituirono in giudizio i signori Gulfer Johann Thomas, Maria, Martha, Rosa, Alois e Frieda, qualificatisi fratelli ed eredi di Josef Gulfer, attore in primo grado. Osserva che la titolarità del dovere di subire il processo d’appello e del diritto do proporre l’appello incidentale sarebbe derivato ai predetti dal certificato di eredità in data 18 luglio 1988, emesso dal vice-pretore onorario di Merano dott. Ladurner ai sensi del R.D. 28 marzo 1929 n. 449 (recante la legge generale sui libri fondiari), ed attestante che, in base a successione legittima in morte di Josef Gulfer (deceduto ad Innsbruck il 27 febbraio 1988), erano chiamati a succedergli in ragione di un sesto ciascuno i fratelli dinanzi indicati. Tuttavia, se era vero che il detto certificato faceva presumere ad ogni effetto la qualità di erede, era del pari vero che ciò valeva se esso fosse stato rilasciato secondo le norme del citato decreto n. 499-1929. Nel caso di specie, invece, il certificato di eredità sarebbe stato emesso con superficialità e disinvoltura, in manifesta violazione delle norme del medesimo R.D. A parte il rilievo che esso inopportunamente era stato rilasciato dal vice-pretore onorario dr. Ladurner, il quale alla data della sottoscrizione era stato già investito della tutela degli interessi dei fratelli Gulfer, in relazione al processo de quo, secondo l’art. 13 del R.D. n. 499 del 1929 chi vanta un diritto ereditario può fare ricorso al pretore, affinché venga certificata la sua qualità di erede e la sua quota ereditaria. Nel caso di specie l’istanza per il rilascio del certificato di eredità sarebbe stata formulata soltanto da Marta Gulfer. La dichiarazione di costei, che avrebbe agito per sè e quale procuratrice degli altri eredi, sarebbe inidonea ad integrare il disposto del citato art. 13.
Pertanto il certificato di eredità del 18 luglio 1988, il quale qualifica come eredi soggetti che non ne hanno fatto richiesta nelle forme di legge, sarebbe illegittimo e privo di effetto, e tale illegittimità inciderebbe direttamente sulla legittimazione a resistere e ad agire dei Gulfer, il cui difetto sarebbe rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, vertendo su questione diversa dall’effettiva titolarità del rapporto controverso attinente al merito della decisione.
La censura è destituita di fondamento.
Va premesso che il sistema dei libri fondiari o tavolare (R.D. 28 marzo 1929 n. 449 e successive modificazioni: v., in particolare, L. 4 dicembre 1956 n. 1376, L. 29 ottobre 1974 n. 594, L. 8 agosto 1977 n. 574) è un sistema di pubblicità il quale, ancorché rivesta carattere costitutivo per talune categorie di atti, non ha invece tale carattere rispetto agli acquisti per causa di morte, in relazione ai quali, anzi, come si desume dall’art. 3 del decreto istitutivo, l’intavolazione non ha nemmeno il valore di una condizione di opponibilità. E il certificato di eredità (artt. 13 e seg. R.D. n. 499-1929), come risulta dall’art. 21 del decreto ora citato nel testo sostituito dall’art. 17 della legge 29 ottobre 1974 n. 594, fa presumere ad ogni effetto la qualità di erede, ma non è costitutivo di detta qualità che va invece identificata ed attribuita secondo la normativa successoria.
Da ciò consegue che la questione posta dalla ricorrente col motivo in esame non attiene alla capacità (e quindi alla legittimazione) processuale degli intimati (art: 75 c.p.c.), il cui difetto è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, bensì alla titolarità del rapporto controverso (e quindi al merito) in quanti si traduce in una contestazione alla qualità ereditaria dei fratelli Gulfer.
Orbene, come questa Corte ha più volte posto in luce, è ben vero che il soggetto, il quale si costituisce in giudizio nella qualità di successore universale di una delle parti, ha l’onere di fornire la prova dell’asserita sua qualità. Tale onere, tuttavia, non soltanto presuppone una contestazione ma riguarda un elemento di fatto della controversia, concernente appunto la titolarità del rapporto dedotto in causa, il cui difetto non è denunciabile nè rilevabile per la prima volta in sede di legittimità (Cass., 1.3.1990 n. 1556; 25.9.1978 n. 4283; 5.12.1975 n. 4034).
Nel caso di specie non risulta che la Haller, durante il giudizio di merito, abbia contestato la qualità ereditaria dei fratelli Gulfer. La sentenza impugnata (che nell’epigrafe trascrive dettagliatamente le conclusioni delle parti) non fa cenno di contestazioni in proposito, né la ricorrente si duole di un omesso esame di tale punto da parte della Corte territoriale. Deve pertanto ritenersi che essa sia stata sollevata per la prima volta in questa sede e ciò rende la doglianza inammissibile.
Per completezza d’indagine, peraltro, si deve altresì notare che essa, se potesse avere ingresso, sarebbe infondata. Infatti, come si deduce nello stesso ricorso per cassazione, il certificato di eredità fu chiesto da Marta Gulfer per se e quale procuratrice degli altri eredi. L’art. 13 del R.D. 28 marzo 1929 n. 499 (nel testo modificato dall’art. 9 L. n. 594 del 1974) non fa certo divieto di compiere l’attività giuridica ivi contemplata e di avviare il relativo procedimento, oltre che in nome proprio, anche in nome e per conto di altri soggetti, sicché non ha consistenza l’assunto della Haller secondo cui l’iniziativa della suddetta Marta Gulfer sarebbe inidonea ad integrare il disposto dell’art. 13 cit. Tra l’altro competeva al pretore, adito in base alla norma ora menzionata, verificare la qualità rappresentativa invocata dalla istante; e tale qualità, d’altro canto, non è stata specificamente contestata dalla ricorrente.
Col secondo mezzo di cassazione costei denunzia violazione di norme di diritto in relazione al mancato riconoscimento in suo favore della contitolarità dei titoli acquistati presso la Banca popolare di Merano. Sostiene che la Corte trentina, aderendo alla tesi prospettata dal Tribunale, ha negato rilevanza alla cointestazione dei titoli anche ad essa Haller, ritenendo che incombesse a quest’ultima l’onere di provare la sua pretesa sui relativi valori o, almeno, su parte di essi. Invece, stante la sua qualifica di contitolare del deposito con facoltà di disporre con propria firma, si sarebbe dovuto far capo alle norme disciplinanti il conto corrente bancario, cointestato a più persone, con facoltà di compiere operazioni anche separatamente, nel quale i rapporti interni tra i correntisti sono regolati dall’art. 1298 comma 2 c.c.. Sulla base di tale norma, prosegue la ricorrente, si sarebbe dovuto affermare che non a lei incombeva l’onere di provare la donazione sia pure remuneratoria di quei valori, bensì al Gulfer spettava dimostrare che – successivamente alla cointestazione dei titoli – fossero intervenuti fatti modificativi idonei a giustificare la titolarità esclusiva dei medesimi. In difetto di tale prova andrebbe applicata la presunzione di uguaglianza delle quote in capo ai cointestatari, onde avrebbe errato la Corte di Trento nel non assegnare ad essa Haller metà dei titoli in questione.
Con riferimento a tali censure i resistenti eccepiscono la tardività della domanda da cui esse prendono le mosse, sostenendo che tale domanda fu avanzata soltanto il 10 marzo 1988 (cioè nel corso del giudizio di primo grado), come la stessa Corte di appello pone in luce. Sulla domanda de qua mai sarebbe intervenuta accettazione del contraddittorio e la sua tardività sarebbe stata tempestivamente dedotta, nè i giudici di merito avrebbero disatteso la relativa eccezione.
Il profilo di rito così prospettato, tuttavia, non può avere ingresso.
Infatti, come si desume dalla sentenza impugnata, la questione concernente la presunta comproprietà (in capo alla Haller) di un deposito in titoli di credito esistente presso la Banca popolare di Merano fu esaminata sia dal Tribunale sia dalla Corte di appello, e venne respinta nel merito. Ciò significa che – implicitamente ma chiaramente – essa fu considerata ammissibile in rito. Pertanto i resistenti, per riproporre in questa sede il suddetto profilo di rito, avrebbero dovuto non già limitarsi a sollevare la menzionata eccezione bensì spiegare sul punto apposito ricorso incidentale, che invece non è stato formulato.
Ciò premesso si osserva che il mezzo di cassazione è, comunque, infondato.
La Corte di appello, richiamando anche le considerazioni svolte dai primi giudici, ha rilevato che la Haller non godeva di proprie fonti di reddito e che i titoli de quibus furono acquistati dal Gulfer. Ha poi aggiunto che la contitolarità del deposito con facoltà di disporre con propria firma non era indice di una volontà di donazione da parte del detto Gulfer, ma costituiva piuttosto espressione di un semplice rapporto di fiducia. Ha altresì proposto l’accento sul fatto che il Gulfer aveva impartito la disposizione di intestare soltanto a lui gli interessi di quei titoli, traendone ulteriore elemento di convincimento che egli ne fosse oltre che l’acquirente anche il proprietario.
Si tratta, come si vede, di una linea argomentativa incentrata su accertamenti di fatto (l’assenza di redditi della ricorrente, l’acquisto dei titoli ad opera del solo Gulfer, la disposizione di costui circa gli interessi) non censurabili in questa sede se non sotto il profilo del vizio di motivazione. Gli elementi suddetti (che inducono a ricondurre la fattispecie nell’ambito applicativo dell’art. 1838 c.c., avuto anche riguardo alle altre circostanze esposte nel ricorso e nel controricorso) rilevano che la Corte territoriale si è fatta carico dell’indagine sulla proprietà dei titoli ed è pervenuta ad escludere che essa fosse in tutto o in parte riferibile alla Haller. A costei, pertanto, non giova il richiamo all’art. 1298, comma 2 , c.c., alla stregua del quale nei rapporti interni tra debitori o creditori solidali le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente. Detta norma concerne il riparto pro quota tra debitori o creditori solidali, secondo una presunzione iuris tantum soggetta a prova contraria che può essere raggiunta con ogni mezzo. E la Corte di merito è giunta per l’appunto alla conclusione che fosse dimostrata, sulla base dei dati di fatto acquisiti, l’estraneità della Haller ai titoli in questione. Questo convincimento, sorretto da sufficiente motivazione immune da vizi logici o giuridici, non trova alcuna convincente smentita nelle censure della ricorrente, sicché anche il secondo mezzo d’impugnazione si rileva privo di fondamento.
In definitiva, alla stregua delle considerazioni fin qui esposte, il ricorso deve essere respinto e la Haller, per il principio della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessive lire seimilioniduecentottomilatrecentocinquanta, di cui sei milioni per onorari.
Così deciso in Roma il 4 dicembre 1995, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione.

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