Cassazione civile, Sez. lav., 5 novembre 1986, n. 6470

Norme correlate:
Art 2070 Regio Decreto n. 262/1942

Riferimenti:
Cassazione civile, Sez. lav., 5 novembre 1986, n. 6470
Il principio costituzionale della libertà sindacale non esclude che l’appartenenza ad una determinata categoria professionale, ai fini dell’applicazione di un contratto collettivo post-corporativo, debba pur sempre essere condizionata all’attività effettiva esercitata dall’imprenditore, il quale non può, con l’arbitraria contemporanea iscrizione anche ad altre associazioni ed attraverso la ricezione di altri contratti collettivi, pretendere di sottoporre i rapporti di lavoro costituiti con taluni suoi dipendenti a regolamentazioni diverse e meno favorevoli, atteso che il criterio fissato dall’art. 2070, comma 1, c.c. per l’individuazione della categoria di appartenenza del datore di lavoro al fine di stabilire quale sia il contratto collettivo applicabile opera anche per i contratti collettivi post-corporativi di diritto comune, salva la deroga in favore del lavoratore. Consegue altresì che, ove l’imprenditore svolga più attività, deve farsi riferimento – in applicazione dell’art. 2070, comma 2, cit. – a quella principale se trattasi di attività distinte, anche se interdipendenti ed accessorie l’una rispetto all’altra; mentre, se tali attività sono autonome tra loro, seppur in qualche misura complementari, sono applicabili i singoli contratti collettivi previsti per ciascuna di esse, senza che tale principio trovi deroga per le aziende municipalizzate del tipo denominato “misto” in ragione della pluralità delle attività esercitate. (Nella specie la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice del merito che aveva respinto la domanda di alcuni dipendenti, addetti al servizio di onoranze funebri e di pubbliche affissioni, di un’azienda municipalizzata, domanda che tendeva al riconoscimento dell’applicabilità della contrattazione collettiva per i dipendenti di aziende elettriche municipalizzate che l’azienda convenuta applicava ai dipendenti addetti al servizio di produzione e distribuzione di energia elettrica e gas e al servizio di acquedotto).

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. lav., 5 novembre 1986, n. 6470
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Salvatore ANTOCI Presidente
” Ettore DELLA TERZA Consigliere
” Giovanni PONZETTA Rel. ”
” Raffaele NUOVO ”
” Matteo CAMPANILE ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
COPPA Ottavio, CINQUETTI Adriano, GIACOMETTI Paolo, VALSECCHI Luigi,
ANSELMI Carlo, BERTON Pietro, CARBONI Goffredo, POLI Lino, SPONDA
Lino, COMMERLATI Nello, BURRO Mirco, CORSO Renato, MARCHI Mario,
BRUNO Corrado, LONGO Emilio, MILANI Antonio, PERONI Domenico,
GILBERTI Bruno, IBERNI Giovanni, MARGOTTO Carlo, PIETROPOLI Carlo,
ZANGRANDI Renato, BUBOLA Erminio, FRIZZERA Francesco, OTTENIO Aldo,
ANDREOLI Licio, BAZZOTTI Ermanno; elett. dom. in Roma pressom la
Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, rappresentati e difesi
dall’avv. Giuseppe Vinco da Sesso per procura speciale in calce al
ricorso;
Ricorrente
contro
AZIENDA GENERALE SERVIZI MUNICIPALIZZATI – A.G.S.M. di VERONA, in
persona dei co-direttori pro-tempore, elett. dom. in Roma c.so
Vittorio Emanuele 269, presso l’avv. Giacomo Bomboi che, unitamente
all’avv. Mario Dalla Bernardina, lo rappresenta e difende per procura
speciale a margine del controricorso;
Controricorrente
per l’annullamento della sentenza del Tribunale di Verona
dell’1-12-10-82 N. 4068-82 R.G.;
udita, nella pubblica udienza del 18-10-85, la relazione della causa
svolta dal Consigliere Relatore Dott. Giovanni Ponzetta;
udito l’avv. Bomboi;
udito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Paolo Dettori,
che ha concluso: rigetto del ricorso;
FATTO
Con ricorso depositato in data 22 luglio 1981 Ottavio Coppa ed altri 39 dipendenti dell’Azienda Generale dei Servizi Municipalizzati (A.G.S.M.) del Comune di Verona adivano il Pretore di quella città per sentire affermare il loro diritto all’applicazione del contratto collettivo per i dipendenti di aziende municipalizzate (più precisamente, volevasi dire, del contratto collettivo stipulato per il settore elettrico) fin dal momento della costituzione – avvenuta in varie date a partire dal giugno luglio 1971 – dei singoli rapporti di lavoro, anziché soltanto a far tempo dal gennaio 1979 come era stato praticato. A giustificazione di questa pretesa gli attori esponevano che con deliberazioni n. 105 e n. 106 del 27 maggio 1971 il Consiglio Comunale aveva affidato alla A.G.S.M. – in aggiunta al servizio di produzione e distribuzione di energia elettrica, al servizio di produzione e distribuzione di gas ed al servizio di acquedotto già da lungo tempo gestiti – il servizio dei trasporti ed onoranze funebri e quello delle pubbliche affissioni e pubblicità affini; che per la gestione, iniziata in data 1 giugno 1971, di questi aggiunti servizi l’A.G.S.M. aveva assunto nuovi dipendenti ed aveva loro applicato in un primo tempo il trattamento del personale salariato dipendente dal Comune di Verona e poi quello stabilito per i dipendenti da aziende comunali, a differenza che per i dipendenti da aziende comunali, a differenza che per i dipendenti già in servizio presso la stessa A.G.S.M. ai fini della gestione delle altre attività, cui applicava indistintamente il più favorevole Contratto collettivo riguardante il settore elettrico. Prospettando anche l’A.G.S.M. di Verona è una azienda unica, a carattere misto, e non esercita attività autonoma l’una dall’altra, gli attori deducevano che nei loro confronti era stato violato il disposto dell’art. 2070 – I comma – cod. civ., il quale contiene, a loro avviso, una norma inderogabile.
L’Azienda Generale dei Servizi Municipalizzati, costituendosi in giudizio, negava la fondatezza della domanda. Sosteneva che agli addetti ai nuovi servizi erano stati garantiti i trattamenti economici propri dei settori di rispettiva provenienza e che comunque il trattamento a loro applicato era stato diverso da quello goduto dai dipendenti di aziende municipalizzate anche a seguito di un accordo intervenuto con le organizzazioni sindacali, attesoché la contrattazione collettiva propria di tale settore era liberamente derogabile dalle parti attraverso i regolamenti aziendali. Puntualizzava peraltro, con richiamo ai criteri previsti dallo art. 2070 C.C., che, ove l’imprenditore svolga plurime attività, va fatto riferimento per l’individuazione del contratto collettivo applicabile a quella principale soltanto se trattasi di attività distinte, ma interdipendenti ed accessorie l’una rispetto alle altre, mentre va fatto riferimento a ciascuna delle singole attività, se presentino carattere di autonomia (pur risultando eventualmente in un certo qual senso complementari); che i contratti (collettivi) aziendali non avevano portata e funzioni diverse, per i dipendenti di una determinata azienda, dalle altre pattuizioni collettive.
In esito alla compiuta istruttoria l’adito Pretore, aderendo sostanzialmente alla tesi dell’A.G.S.M., rigettava con sentenza 25 novembre – 10 dicembre 1981 la domanda dei lavoratori.
L’appello proposto da Ottavio Coppa e suoi litisconsorti veniva respinto con sentenza 1-12 ottobre 1982 dal tribunale di Verona.
Riteneva quel Collegio che il richiamo alla disciplina dell’attività principale svolta dallo imprenditore, quale regolatrice dei rapporti relativi alle attività complementari, opera esclusivamente per le ipotesi di contratti collettivi efficaci erga omnes o di differenze tra i contenuti della contrattazione collettiva e quelli dei contratti individuali, mentre nella fattispecie non risultava che il contratto invocato dai ricorrenti (C.C.N.L. per i dipendenti delle aziende elettriche municipalizzate) fosse munito di efficacia erga omnes e tutelato dalla normativa n. 741 del 1959; che pertanto andava seguito l’orientamento giurisprudenziale per cui la successione nell’applicazione dei contratti collettivi post corporativi è retta unicamente dal principio della libera volontà delle parti; che gli accordi del 1973 e del 1977 precedenti all’attuale disciplina dei due settori in questione non costituiscono affatto una somma di contratti individuali, come affermato dagli appellanti, bensì dei veri e propri contratti aziendali, aventi efficacia di contratti collettivi e perciò vincolanti per i soggetti del rapporto; che non potevasi condividere l’assunto degli appellanti, per cui l’unico contratto applicabile ab initio, giusta il criterio della appartenenza alla categoria professionale, era quello in vigore per le aziende elettriche municipalizzate, e non potevasi condividere tale assunto perché l’A.G.S.M. di Verona, pur appartenendo alla categoria delle municipalizzate, non si identifica (soltanto) con le aziende elettriche municipalizzate, essa comprendendo la gestione di 5 servizi, ontologicamente assai differenti l’uno dall’altro; né esiste un contratto collettivo unico per le aziende municipalizzate, bensì uno per ciascun settore di produzione. Spettava agli appellanti provare il rapporto di sussidiarietà tra i vari servizi dell’A.G.S.M., al fine di determinare l’applicabilità del CC. per il settore elettrico se riconoscibile come principale.
Avverso la suddetta sentenza del Tribunale di Verona hanno proposto ricorso per cassazione Ottavio Coppa ed altri 26 lavoratori (tra gli originari 39), deducendo unico, ma complesso, motivo di annullamento, cui resiste l’Azienda Generale dei Servizi Municipalizzati di Verona mediante controricorso. Dai ricorrenti è stata infine presentata memoria a norma dell’art. 378 cod. proc. civ.
DIRITTO
Con l’unico, complesso, mezzo di ricorso i lavoratori Ottavio Coppa e residui litisconsorti denunciano “violazione e falsa applicazione degli artt. 2070 e 2093 C.C., anche in relazione alla legge 14 luglio 1959 n. 751, e del D.P.R. 2 gennaio 1962 n. 77 (art. 360, n. 3 c.p.c.) nonché l’omessa e contraddittoria motivazione su di un punto essenziale della controversia”.
I ricorrenti, dopo avere osservato come tutto l’impegno esegetico della impugnata sentenza sia legato (a loro avviso) all’affermazione apodittica che l’A.G.S.M. di Verona, gestendo vari servizi, esercita attività aventi carattere autonomo e che il contratto collettivo per le aziende municipalizzate elettriche, non essendo vincolante “erga omnes”, non poteva essere sic et simpliciter esteso a tutti i settori, muove una serie di critiche (complessivamente cinque, sub a, b, c, d, e,) che conviene esaminare partitamente. Peraltro questa Corte, già con riguardo alla suddetta osservazione preliminare che precede le critiche dettagliate, deve rilevare l’incompletezza del riferimento alla motivazione del Tribunale nel punto che attiene all’inestensibilità “sic et simpliciter” del contratto collettivo per le aziende municipalizzate elettriche. Invero il tribunale, diversamente da quanto pare nella enunciazione del ricorrente, non ha inteso ridurre la propria esegesi ad un rilievo per cui l’estensibilità (a settori diversi ai attività) presupporrebbe l’ipotesi di contratti collettivi efficaci erga omnes (alla cui sfera non appartiene il CCNL invocato dai ricorrenti), ma ha anche inteso rilevare in sostanza come nella specie non si verterebbe neppure nel caso “di differenza tra i contenuti della contrattazione collettiva e quelli dei contratti individuali”.
Non avendo inteso il Tribunale limitare il campo di applicabilità dell’art. 2070 in alcuna sua parte ai contratti collettivi resi efficaci erga omnes (ed avendo invece mostrato, come rilevasi dal complesso della motivazione successiva, di tener ben presente in sostanza il principio per cui “i criteri fissati dall’art. 2070 CC per l’individuazione della categoria di appartenenza del datore di lavoro al fine dell’applicazione dei contratti collettivi operano anche nell’ambito della disciplina collettiva post corporativa, salvo deroga in favore del lavoratore” (cfr. Cass. Sez. Lav. 23 novembre 1984 n. 6063 in tema di centro sportivo gestito da un istituto di credito, per cui gli addetti al centro stesso sono legittimamente assoggettabili al contratto collettivo del personale di aziende esercenti circoli sportivi, anziché alla normativa del contratto collettivo del personale di aziende di credito), viene ad essere ininfluente il rilievo critico sub a, per cui l’assunto del Tribunale contrasterebbe con il consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale la predetta norma contiene una disposizione di carattere pubblicistico ed inderogabile come tale dalla volontà delle parti, così da valere anche per l’applicazione dei contratti collettivi post corporativi (anche se non muniti – si è inteso dire – di efficacia erga omnes).
È certo che il principio costituzionale della libertà sindacale non esclude che l’appartenenza ad una determinata categoria professionale, ai fini dell’applicazione di un contratto collettivo post corporativo, debba pur sempre essere condizionata all’attività effettiva esercitata dall’imprenditore, il quale non può con l’arbitraria contemporanea iscrizione anche ad altre associazioni e attraverso la ricezione di altri contratti collettivi pretendere di sottoporre i rapporti di lavoro costituiti con taluni suoi dipendenti a regolamentazioni diverse e meno favorevoli (cfr. Cass. 13 dicembre 1971 n. 3622 citata dai ricorrenti). Peraltro l’indiscutibile validità di questo principio attiene al concetto di attività effettivamente esercitata nel quadro delle previsioni dell’art. 2070 CC e non urta affatto con l’ipotesi del II comma (“se l’imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo”), non contrastando quindi in alcun modo con la fattispecie in esame. E proprio dalla citata sentenza Cass. 13 dicembre 1971 n. 3622, oltre che da sopravvenute pronunce del tutto conformi (tra le quali Cass. 8 maggio 1976 n. 163) si trae anche il principio in ordine al quale “ove l’imprenditore svolga più attività va fatto riferimento a quella principale, se trattasi di attività distinte ma interdipendenti ed accessorie l’una rispetto all’altra, ovvero con riferimento a ciascuna attività, se presentino carattere di autonomia, pur risultando in un certo senso complementari – la relativa determinazione spetta al giudice di merito, la cui decisione non è sindacabile in sede di legittimità, qualora risulti conforme ai suddetti principi e motivata in modo adeguato ed immune da vizi logici”.
La seconda critica (sub b) riguarda l’omesso rilievo, nell’impugnata sentenza, dell’inesistenza, all’atto della costituzione dei singoli rapporti di lavoro, di un contratto collettivo o aziendale di categoria concernente i due servizi di nuova istituzione; talché – osservano i ricorrenti – avrebbe dovuto a loro estendersi immediatamente il contratto applicato anteriormente dall’azienda municipalizzata (si intende quello relativo ai dipendenti del servizio elettrico).
Anche questo secondo aspetto della complessa censura non ha fondamento.
Con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede di legittimità, perché sostenuto da motivazione immune da vizi logici e giuridici, il Giudice di appello ha infatti ritenuto che gli accordi precedenti all’attuale disciplina dei due settori datante dal 1979, gli accordi cioè intervenuti nel 1973 e nel 1977, non costituiscono affatto una somma di contratti individuali, bensì dei veri e propri regolamenti aziendali, aventi efficacia, secondo l’insegnamento della Corte Suprema, di contratti collettivi per i soggetti del rapporto; che tale “dato di fatto” emerge inoppugnabilmente dalle risultanze istruttorie, documentali e testimoniali, già oggetto di corrette e condivisibili argomentazioni da parte del primo giudice. Nè la natura di azienda municipalizzata, definita “mista” in ragione della pluralità di attività esercitata, può costituire alcun ostacolo alla suaccennata concezione, in sede applicativa dell’art. 2070 CC (argom. ex art. 2129 CC).
Per quanto poi riguarda, più in particolare, la situazione del periodo intervallare tra i momenti della costituzione dei rapporti di lavoro relativi ai predetti due nuovi servizi (onoranze funebri – affissioni) – giugno luglio 1971 – e gli accennati regolamenti aziendali cui è stata riconosciuta la efficacia di contratti collettivi, il tribunale, lungi dal non essersi prospettata la questione, vi ha dato concisa, ma sostanzialmente congrua risposta (cfr. pag. 14 – sub IV – e precedenti dell’impugnata sentenza) osservando, con riguardo alle conseguenze prospettate dai ricorrenti, che “appare gratuita anche la pretesa dell’applicazione del contratto del settore elettrico sul presupposto della mancanza, al momento della costituzione dei nuovi rapporti, di uno specifico contratto stipulato con le OO.SS.” “Il salto logico” – ha notato il tribunale e può qui ora riaffermarsi – “appare infatti di tutte evidenza, una volta riflettuto sulla mancanza di un contratto nazionale per la categoria professionale delle aziende municipalizzate, comprensivo delle loro varie articolazioni. Pacifico è d’altra parte che non esistessero C.C. n.l. regolanti il rapporto di lavoro con gli addetti ai Trasporti Funebri e Pubblicità – Affissioni affidati ad imprese municipalizzate” (ved. loco cit.).
D’altronde, anche a fare astrazione da quanto diffusamente illustrato dalla controricorrente circa i legittimi criteri che ispirarono il trattamento economico per gli addetti ai nuovi servizi municipalizzati (cfr. controricorso pagg. 5 e segg.) prima del perfezionamento dei regolamenti aziendali del 1973 e del 1977 (i quali non potevano preesistere alle nuove assunzioni), non par dubbio che tali regolamenti, una volta riaffermata la loro efficacia di contratti collettivi cui le parti hanno dato applicazione fino al 1979, sono venuti essi stessi a costituire una preclusione alla perseguita retroattività della finalmente conseguita estensione del contratto collettivo dagli elettrici alle categorie de quibus. Il che esalta ulteriormente il salto logico posto in evidenza, circa la tesi dei ricorrenti, dal Tribunale. Pare quindi del tutto logica la conclusione dello stesso Giudice di appello che non esisteva alcun obbligo a carico dell’A.G.S.M. di estendere ai due nuovi settori (ancor meno assimilabili al servizio elettrico di quanto non potessero apparire il servizio del gas e dell’acquedotto, come pure incidentalmente notato dal tribunale) il regime contrattuale vigente “per alcuni altri settori” (anteriormente compresi nella municipalizzazione). Quella del 1979 costituisce una novità su base pattizia, che non trova una base giuridica anteriore.
La terza critica (sub c), compresa nella complessa censura, attiene ad una pretesa contraddittorietà insita nell’aver ritenuto per un verso il trattarsi di una “Azienda Unica” e nell’avere – successivamente per altro verso dato rilievo al semplice fatto dell’essere l’azienda strutturata in cinque servizi al fine di giungere alla impugnata decisione; critica che si svolge nella tracciata distinzione, voluta dai ricorrenti opporre alla “confusione” in cui sarebbe incorso il tribunale, tra il concetto di “attività plurima connessa allo stesso ciclo produttivo” e quello di “attività distinte e autonome connesse a cicli produttivi diversi”. A tale riguardo i ricorrenti argomentano che in realtà l’A.G.S.M. di Verona è un’impresa con “attività plurima” (sic, al singolare), dovendosi escludere che essa esercita “distinte attività con carattere autonomo”, tale esclusione concettuale desumendosi (sempre ad avviso dei ricorrenti) a) dalla sua costituzione, b) dal fatto che preposti ai due servizi di nuova costituzione sono gli stessi dirigenti già deputati ai servizi gas, elettricità ed acquedotto, c) dal fatto che alcuni impiegati adibiti ai due nuovi servizi hanno conservato il trattamento giuridico ed economico previsto dal CCNL per le aziende municipalizzate elettriche applicato nell’A.G.S.M.
A giudizio di questa Corte, tuttavia, anche la su riferita “terza critica” (con i relativi argomenti, compresi quelli che seguono a pag. 13 – II e III c.p.c. del ricorso) è infondata.
Invero la considerazione sub a implica proposizioni assertive e tautologiche o altrimenti attiene alla costituzione originaria o comunque anteriore dell’azienda con i tre servizi dalla stessa inglobati (elettricità, gas, acquedotto), la quale sicuramente non era di ostacolo (quale che fosse stata la volontà di estendere il trattamento elettrico anche ai dipendenti dei servizi gas e acquedotto) alla gestione, con oneri retributivi diversi, di successivi due nuovi servizi, i quali, se autonomi in sè e per sè, non vedesi sotto qual profilo giuridico dovessero ipso facto comportare il medesimo trattamento normativo ed economico per il relativo nuovo personale rispetto al personale dei servizi preesistenti.
Quanto poi alle considerazioni sub b) e c), a parte il contenuto ancora meramente assertivo o comunque privo di riferimenti specifici, la conservazione del trattamento giuridico ed economico preesistente al personale già addetto ai precedenti servizi, cui si andavano ad aggiungere o ad attribuire nuove mansioni rispetto a quelle anteriormente esercitate, ben potevasi giustificare come il minimum compatibile con la doverosa osservanza del precetto dell’art. 2103 CC (in quanto particolarmente attiene alla necessità di non dar luogo ad alcuna decurtazione economica) e comunque viene ad implicare questione particolare ad alcuni soggetti versanti in condizioni ben diverse da quelle proprie dei nuovi assunti in modo esclusivo per i nuovi servizi.
Inaccettabile è anche la conclusiva tesi (sempre pertinente alla terza critica), per la quale il ciclo produttivo unitario dell’A.G.S.M. sarebbe da ravvisarsi nel fatto della gestione di un’attività polivalente e convergente al fine di fornire servizi di interesse pubblico. Non è, questo, un profilo di ciclo produttivo unitario, per la cui configurazione basti il comune lato denominatore del su accennato generale interesse. Anche se ad altri effetti l’interesse o l’utilità pubblica si caratterizzano particolarmente rispetto all’interesse privato, la comunanza generica di un interesse (sia esso pubblico o pubblicistico o privato) non incide sulle essenziale differenza dei singoli mezzi di organizzazione, dei singoli scopi e dei singoli risultati che caratterizzano le distinte ed autonome attività produttive, ciascuna delle quali ha un suo proprio ciclo non interferente con gli altri, a nulla in contrario rilevando l’unità soggettiva sotto l’aspetto imprenditoriale, persona fisica o ente che sia; che altrimenti l’unicità dell’imprenditore (privato o pubblico che sia, stante la norma dell’art. 2093 CC) comporterebbe sempre l’applicazione ex jure di unico contratto collettivo e ciò in contrasto con la previsione del II comma dell’art. 2070 CC.
La quarta critica (sub d. pag. 13) implica doglianza di falsa applicazione dell’art. 2697 CC, in quanto erroneamente il tribunale pretenderebbe di addossare sui ricorrenti “l’onere della prova di un’attività unitaria, benché plurima”; mentre, non trattandosi di una generica contestazione (dicesi) da parte della convenuta circa l’assunto attoreo, bensì di una difesa positiva opposta dalla azienda voluta fondare su fatti e titoli diversi (dicesi), si verserebbe nel caso di eccezioni proprie, la cui prova incombeva sull’A.G.S.M.
Anche questo aspetto del complesso ed articolato mezzo di ricorso è infondato.
Il tribunale ha ben individuato e spiegato l’onus probandi che, in ipotesi, avrebbe fatto carico agli attori. Manca comunque nella suddetta critica il presupposto dell’essersi addotto dalla azienda fatti e titoli diversi da quelli costituenti la base delle pretesa dei ricorrenti lavoratori, trattandosi ed essendosi trattato dell’interpretazione e dell’applicazione di una norma (art. 2070 CC nelle sue articolazioni), rispetto alla quale la base fattuale, per la fattispecie concreta, deve essere provata da chi si proponga di trarre l’esistenza del proprio diritto dall’una piuttosto che dall’altra delle ipotesi comprese nella fattispecie astratta. Trattasi comunque di situazioni ed obiettività patenti di per sè ed implicanti il naturale inserimento della fattispecie concreta in quella astratta del II comma dello art. 2070 CC. Che siano distinti nella funzionalità, nell’attuazione, nei cicli produttivi e distributivi così i servizi di affissioni e in genere della pubblicità da un canto, “inter se” e rispetto alle pure oggettivamente distinte forniture dell’elettricità, del gas e dell’acqua, e che non ricorra neppure la figura di una sia pure secondaria complementarietà tra le tracciate figure di distinti servizi è fatto che anche per il quisve de populo “non eget probatione”, talché costituisce un plus (sebbene non intrinsecamente erroneo) il rilievo del giudice del merito circa la mancata prova della sussidiarietà da parte degli attori.
Infine viene in considerazione la quinta (ed ultima) critica, sub e), con la quale si afferma che il tribunale non ha dato un esatto rilievo alla disposizione dell’art. 2070 CC (norma pubblicistica), ammettendone la derogabilità da parte di contratti collettivi e aziendali stipulati (nel 1973 e nel 1977 dopo la costituzione dei singoli rapporti di lavoro) con organizzazioni sindacali diverse da quelle di appartenenza ad una determinata categoria professionale, in quanto i suddetti contratti aziendali dall’Azienda Generale Servizi Municipalizzati furono stipulati con il sindacato (dei dipendenti) degli enti locali e non con il sindacato dei dipendenti da aziende municipalizzate; mentre sarebbe poi costruzione di mera fantasia l’affermazione, contenuta nell’impugnata sentenza, che ai nuovi dipendenti sarebbe stato garantito il trattamento goduto precedentemente (s’intende presso le aziende precedenti cui i servizi de quibus erano appaltati, prima della municipalizzazione) e che anzi gli stessi dipendenti sarebbero venuti a godere di un trattamento più favorevole rispetto al passato.
Anche quest’ultima articolazione della complessa censura è infondata.
Ancora una volta da inesatte premesse di tende dai ricorrenti a trarre conseguenze (retroattività del trattamento per gli elettrici conseguito dagli assunti per i servizi Trasporti funebri e Affissioni Pubblicità con decorrenza dal 1979) che non potrebbero in alcuna modo essere giustificate, quando pure gli assunti premessi fossero esatti; mentre esatti in punto di validità non sono.
La controricorrente ha ricordato che sono acquisite agli atti del processo le deleghe dei singoli lavoratori interessati e in particolare dei ricorrenti, come pura ha ricordato che sono in atto anche le disposizioni dei rappresentanti sindacali confermative della validità e dell’efficacia degli intervenuti accordi aziendali a regolamentazione dei rapporti di lavoro. Puntualmente inoltre è stato posto in rilievo – il che ha valore assorbente – il sostanziale recepimento di tali accordi nei singoli rapporti individuali anche attraverso un comportamento di uniforme e prolungata applicazione, contro questo rilievo (cfr. pag. 33 del controricorso) – che sviluppa la già sufficiente considerazione svolta in sentenza (pag. 14 ult. cpv. e pag. 15) – non vale addurre che i ricorrenti hanno sempre rivendicato fino al dicembre 1976 il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti da Aziende Elettriche Municipalizzate (già applicato dalla A.G.S.M. agli addetti ai servizi elettricità, gas, acquedotto). La rivendicazione, che non può qui spiegarsi sotto un profilo diverso dal tendere ad un trattamento migliore ed alla eliminazione di una situazione di concreta disparità (sul piano contrattuale) soprattutto rispetto agli addetti ai servizi di acquedotto e gas, non è incompatibile con l’implicita accettazione “medio tempore” degli stipulati regolamenti aziendali.
Rimane fermo che fino al momento della ottenuta estensione l’equiparabilità del trattamento a quello goduto dagli addetti agli altri servizi, rispetto ai quali i servizi ora in considerazione sono distinti ed autonomi, mancava dei presupposti giuridici, sebbene sul piano equitativo si giustifichi la poi ottenuta estensione del trattamento poziore (con i relativi effetti giuridico economici valevoli ex nunc).
Il ricorso deve pertanto essere rigettato; con la conseguenza, ex art. 92 c.p.c., che sui ricorrenti deve gravare l’onere delle spese di questo giudizio di legittimità con i relativi onorari, questi liquidabili congruamente in L. 750.000 (settecentocinquantamila) a favore dell’A.G.S.M.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro, rigetta il ricorso proposto da Coppa Ottavio e 26 litisconsorti indicati in epigrafe, avverso la sentenza 1-12 ottobre 1982 del tribunale di Verona, nei confronti della Azienda Generale Servizi Municipalizzati di Verona; condanna i ricorrenti alla refusione delle spese, in L. 63.750, ed al pagamento degli onorari, questi liquidati in L. 750.000 (settecentocinquantamila), in favore della controricorrente A.G.S.M.
Roma, 18 ottobre 1985.

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