Campioni biologici e Legge n.130/2001

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L’art. 3 lettera h) della Legge 30 marzo 1001m, 130, per il momento ancora bloccato dopo il mutamento dell’assetto costituzionale ottenuto con la Riforma del Titolo V, prevedeva una modifica del Regolamento di Polizia Mortuaria sulla base del seguente principio:”obbligo per il medico necroscopo di raccogliere dal cadavere, e conservare per un periodo minimodi dieci anni, campioni di liquidi biologici ed annessicutanei, a prescindere dalla pratica funeraria prescelta, per eventuali indagini per cause di giustizia”.

Tutta la dottrina è del tutto favorevole all’ eliminazione della suddetta della lettera h) del comma 1 dell’art. 3della L. 130/01, tuttavia si ritiene che, ove la Regione attivasse la Legge 130/01, giustificando tale intervento in forza della propria competenza concorrente in materia sanitaria, non potrebbe scegliere discrezionalmente tra elementi di principio contenuti nella legge e, senza esplicitarlo, cambiando o congelando parti secondarie della stessa.

Cosicché se la Regione volesse procedere oggi nel proprio intendimento, ne conseguirebbe il sorgere in capo al il medico necroscopo dell’obbligo di raccogliere dal cadavere e conservare per un periodo minimodi dieci anni, campioni di liquidi biologici ed annessi cutanei, a prescindere dalla pratica funeraria prescelta, per eventuali indagini per causa di giustizia.

Anche la Regione Lombardia con l’Art. 12 comma 5 del Regolamento Regionale 9 novembre 2004 n. 6 così come modificato dal successivo Regolamento 6 febbraio 2007 n.1 si è pienamente conformata a quest’indirizzo.

Il Legislatore pare non aver ponderato le prevedibili difficoltà in sede operativa. Un sistema di raccolta e conservazione di materiale biologico su base nazionale non si improvvisa.

Bisogna ragionare con precisione sulle difficoltà logistiche, quali la capienza e le caratteristiche tecniche delle strutture di stoccaggio,e soffermarsi anche sugli aspetti di natura organizzativa.

Occorrerebbe, poi, individuare le responsabilità connesse alla conservazione dei reperti, anche in riferimento ai rischi sanzionatori nel caso di cattiva conservazione, distruzione o smarrimento di essi.

Servirebbe, poi, dotarsi di un registro ufficiale dei reperti, che documenti la presa in carico del reperto e la eventuale dismissione. Bisogna chiarire, preliminarmente alla presa in carico del reperto, se quest’attività si configuri o meno come attività di custodia in senso tecnico ai sensi del codice di procedura penale, nel qual caso sarebbe indispensabile formalizzare la nomina a custode da parte dell’autorità giudiziaria.

Nelle nostre strutture sanitarie solo in esclusivamente gli istituti universitarie d i primariati ospedalieri di medicina legale potrebbero assolvere questo delicato compito

Fortunatamente è improbabile che ad un Servizio di Igiene Pubblica venga affidata la custodia di reperti medico-legali biologici. Nel caso capitasse, è bene sapere come ai problemi di tipo logistico ed organizzativo si debbano aggiungere quelli derivanti da obblighi di legge successivamente intervenuti in materia di tutela della privacy.

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Carlo Ballotta

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10 thoughts on “Campioni biologici e Legge n.130/2001

  1. X Dott. Vincenzo,

    Questo intensissimo carteggio che stiamo intrattenendo inter nos si fa sempre più entusiasmante. Innanzi tutto mi ia permessa una lode perchè Lei dimostra una profonda conoscenza dello scibile giuridico in materia funeraria. Su questo sito (uno dei pochi spazi liberi in cui ragionare di polizia mortuaria) non posso, però, esimermi dal mio abituale ruolo di avvocato del diavolo (o…delle cause perse, tanto… è lo stesso!) e mi sovvengono alcune possibili controargomentazioni.

    Certo la motivazione del parere del Consiglio di Stato da cui origina, appunto, il DPR 24 febbraio 2004, apre effettivamente altri spiragli, tra cui quello della possibilità di rendere operative parti della L. 13020/01 attraverso specifici regolamenti , altri istituti, invece, diventano applicabili se la combinazione con le norme preesistenti determina la possibilità di darvi attuazione.

    Io contestualizzerei i due pronunciamenti giurisprudenziali di cui Lei mi parla, circoscrivendone l’ambito e la portata alla singola fattispecie in esame, dopo tutto nel nostro ordinamento di civil law non vige il principio dello “stare decisis” (et quieta non movere), ragion per cui il giudicato (Art. 2909 Cod. Civile) fa stato solo tra le parti e non vale, pertanto, la ferrea ed obbligatoria “regola del precedente”, come accade, invece, nei sistemi giuridici di scuola anglosassone.

    Nel caso del T.A.R. Toscana la decisione in oggetto valuta come nessuna fonte normativa abbia preso in considerazione l’evenienza del decesso in luogo diverso da quello nel quale il defunto risiedeva, ma altresì come vi sia stata un’assenza di distinzione, da parte della L. 30 marzo 2001, n. 130, tra il procedimento di autorizzazione alla cremazione ed il procedimento di autorizzazione alla dispersione. Anzi, nell’art. 3, 1, lett. c) L. 30 marzo 2001, n. 130, la dispersione è dichiarata “consentita”, nel rispetto della volontà del defunto, in determinate localizzazioni, mentre alla successiva lett. d) sono individuati i soggetti legittimati ad effettuarla, senza indicazione sul soggetto competente all’autorizzazione, aspetti cu sui interviene l’art. 2, precedente, modificando l’art. 411 C. P., nei commi 3 e 4, attribuendone la competenza funzionale all’Ufficiale dello stato civile, ma senza alcuna specificazione per quanto attiene alla competenza territoriale.
    Il T.A.R. rileva come nella cremazione si rinvengano, oltre ad esigenze di sanità ed igiene pubblica, anche ragioni di ordine e sicurezza pubblica e ragioni di giustizia (esulanti dalle competenze legislative, e regolamentari, delle regioni ex Art. 117 Cost.)), motivi che risultano del tutto assenti nel procedimento di dispersione delle ceneri, dove, invece, sono determinanti i presupposti di carattere igienico-sanitario, giungendo così alla conclusione per cui l’autorizzazione alla dispersione delle ceneri non può che spettare che all’Ufficiale dello stato civile del Comune nei cui territorio la dispersione stessa deve essere effettuata, poiché e per tale territorio che si pone la necessità della previa verifica dell’insussistenza di ragioni ostative di natura igienico-sanitaria, mentre non hanno senso altri criteri di collegamento, specie in relazione al Comune di decesso, non solo in quanto del tutto accidentale, sotto questo profilo, ma altresì estraneo agli effetti, seppure potenziali, delle operazioni di dispersione delle ceneri. Obiettivamente, quest’impostazione sugli effetti igienico-sanitari della dispersione delle ceneri, che evidentemente lasciano trapelare preoccupazioni di ordine ambientale, probabilmente non trova grandissimo fondamento, in particolare quando si tratti di dispersione delle ceneri in natura (al contrario, per la dispersione delle ceneri in aree appositamente dedicate sembra mancare, almeno in Italia, una qualche discussione sul “carico” di ceneri disperse accettabile per unità di superficie, oggetto, in ambito europeo, di un qualche dibattito).
    Tuttavia, la sentenza risulta in sé importante andando a riconfermare, laddove ve ne fosse necessità, come la componente della competenza geografica non costituisca un fattore in sé agevolmente superabile, ma rappresenti carattere che attiene tanto alle norme (siano esse di rango primario, oppure di rango secondario), quanto alle autorizzazioni amministrative.

    Con decreto del Presidente della Repubblica del 24 febbraio 2004, a seguito di ricorso straordinario a lui proposto in data 21 gennaio 2003 da un familiare interessato, contro un Comune che aveva negato al ricorrente la dispersione delle ceneri o, in via subordinata l’affidamento per la conservazione nella propria abitazione, è stato accolto il ricorso limitatamente alla possibilità di affidamento a familiare dell’urna cineraria del defunto.

    Il Presidente della Repubblica si è espresso in modo conforme al parere reso dal Consiglio di Stato, Sezione Prima, in data 29/10/1993 n. 2957/03 (in Allegato 1).

    Il Ministero della Salute ha preso atto del parere e lo ha comunicato alle parti interessate in data 8 marzo 2004.

    Il Consiglio di Stato ha ritenuto che, contrariamente alla dispersione delle ceneri, l’affidamento a familiare dell’urna contenente le ceneri del defunto sia permessa.

    Il ricorrente aveva espresso l’opinione che, decorsi 6 mesi dalla emanazione della Legge 130/01, senza che vi fosse stata la emanazione del regolamento attuativo previsto dall’art. 3 comma 1, vi fosse la possibilità di procedere alla dispersione delle ceneri o, in via subordinata, all’affidamento dell’urna al coniuge del defunto, come aveva espresso per iscritto, in una lettera indirizzata dal de cuius alla moglie, stante il fatto che le attuali norme in vigore non limitano la sepoltura delle urne nei cimiteri e non vietano l’affidamento delle urne ai familiari.

    Il Comune aveva sostenuto l’infondatezza del ricorso, osservando che la Legge 130/01 contiene solo principi di massima e che non era immediatamente applicabile senza i necessari provvedimenti di attuazione e che le norme vigenti (art. 80 e 81 del DPR 285/90) non prevedono l’affidamento ai familiari delle urne, ma la sola consegna al custode del cimitero.

    La Prima Sezione del Consiglio di Stato, dopo aver chiarito che la L. 130/20101 non è una legge delega, ma bensì legge ordinaria, chiarisce che “non è sostenibile che decorso il termine stabilito di sei mesi dalla data di entrata in vigore, la mancata emanazione del regolamento privi la legge di qualsiasi efficacia, specialmente in ordine alla normativa preesistente di rango secondario” e che “le disposizioni legislative di mero principio costituiscono comunque criterio interpretativo delle norme previgenti e quelle alle quali può riconoscersi efficacia precettiva per compiutezza di disciplina devono ritenersi senz’altro applicabili”.

    Prosegue il Consiglio di Stato affermando che “nel caso in esame, mentre la disciplina della dispersione delle ceneri deve ritenersi incompleta, richiedendo la definizione di molteplici aspetti applicativi, altrettanto non può dirsi per l’affidamento ai familiari dell’urna delle ceneri, compiutamente regolata dalla lett. e) del comma 1 dell’art. 3 della Legge 130/01.”

    Conclude il Consiglio di Stato con l’avviso che “dall’insieme delle disposizioni, primarie e secondarie, vigenti può trarsi una compiuta disciplina delle modalità di affidamento a privati delle urne cinerarie, che ne consentano una immediata applicazione.

  2. Dott. Carlo…nel ringraziarla per l’attenzione e la cura della ricerca e nella comune intenzione di approfondire la questione sollevata, mi preme citare alcune fonti trovate durante le mie ricerche.

    In particolare, il Consiglio di Stato si è espresso, quanto alla precettività delle norme di cui alla legge n. 130/2001, nel parere della I Sezione del 29/10/2003, stabilendo che: ” E’ bensì vero che a tale scopo la legge si affida alla emanazione di un successivo regolamento per dare piena attuazione ai principi e alle regole dettate dall’art. 3 della stessa legge, ma non è sostenibile che, decorso ormai ampiamente il termine stabilito di sei mesi dalla data di entrata in vigore, la mancata emanazione del regolamento privi la legge di qualsiasi efficacia, specialmente in ordine alla normativa preesistente di rango secondario. Le disposizioni legislative di mero principio costituiscono comunque criterio interpretativo delle norme previgenti e quelle alle quali può riconoscersi efficacia precettiva per compiutezza di disciplina ( self executing) devono ritenersi senz’altro applicabili”;

    Detto che l’art. 3 comma 1 lettera h) della richiamata legge 130/2001 pone l’ “obbligo per il medico necroscopo di raccogliere dal cadavere, e conservare per un periodo minimo di dieci anni, campioni di liquidi biologici ed annessi cutanei, a prescindere dalla pratica funeraria prescelta, per eventuali indagini per causa di giustizia”, non può trascurarsi che, in materia, la giurisprudenza ha rilevato, nella cremazione, ” oltre ad esigenze di sanità ed igiene pubblica, anche ragioni di ordine e sicurezza pubblica e ragioni di giustizia”, ” dovendosi altresì valutare l’interesse pubblico alla conservazione dei resti organici del defunto ( e ciò a fini non solo penalistici, ma anche di natura civilistica, per es. in tema di filiazione)”, T.A.R. Toscana, n. 2583 del 2009.

  3. X il Dott. Vincenzo,

    la Legge n. 130/2001 è una strana Legge, secondo alcuni giuristi dalla facile ironia “bruciata” (giusto perchè interviene in materia di cremazione) subito dopo la sua promulgazione per effetto del profondo cambiamento della nostra architettura istutuzionale dovuta alla Riforma del Titolo V Cost., attraverso la Legge di Revisione Costituzionale n. 3/2001 che ha notevolmente modificato la ripartizione di competenze in materia di salute umana e veterinaria tra Stato Centrale e Regioni, quest’ultime, infatti, in tali ambiti esercitano la loro potestà legislativa concorrente. La Legge n. 130/2001 è sì legge di principi, come ha notato lo stesso Consiglio di Stato in occasione del ricorso straordinario al Capo dello Stato da cui originò il DPR 24 febbraio 2004, sulla possibilità di procedere all’affido familiare delle urne cinerarie, ma per essere attuata in modo completo essa stessa rinvia ad una normazione di dettaglio (fonte regolamentare) da introdurre, finalmente, con una novella strutturale del DPR n. 285/1990, il quale è pur sempre un regolamento governativo (dopo la Legge n. 400/1988 non vi sono dubbi a tal proposito), cioè una fonte di diritto, nella gerarchia dell’Ordinamento Italiano, di rango secondario e quindi subordinato alla Legge. Ora, lo Stato con un semplice regolamento non può più intervenire in tema di polizia mortuaria, in quanto essa, seppur con qualche indubbia forzatura, è ormai considerata, nonostante la sua eterogenea trasversalità, quale materia sanitaria, riservata, come notavo prima, alla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, semmai l’emanazione di una qualche un regolamento, con questo assetto costituzionale, spetterebbe alla Regioni, le quali, però, salvo rare eccezioni, hanno preferito seguire la tecnica legislativa dell’approvazione di specifica Legge Regionale con cui cercare (spesso invano o con scarsi risultati) di implementare i disposti della Legge n. 130/2001. Per queste ragioni la Legge n. 130/2001 è bloccata e non produce i suoi effetti su tutto il territorio nazionale in modo omogeneo.

    Il vero convitato di pietra che si pone all’attenzione di tutti gli studiosi dell’oscura disciplina definita “polizia mortuaria” è la regionalizzazione della normativa, è quindi indispensabile sistematizzare tutta la fitta nebulosa di direttive, determine e circolari per apprezzare correttamente le varie interazioni tra tutte le tipologie di norme raggruppate in base alle due grandi correnti di pensiero che dominano la scena: ossia la filosofia funeraria lombarda e quella emiliano romagnola, esse, infatti, hanno ispirato le rispettive leggi regionali 18 novembre 2003 n. 22 e 29 luglio 2004 n. 19.

    La scuola emiliano romagnola si rifà alla interpretazione letterale della L. 130/2001 e non tiene in considerazione il parere del Consiglio di Stato, Sezione Prima, in data 29/10/1993 n. 2957/03, richiamato con il DPR 24/2/2004 (vedasi in proposito la circolare Federgasacqua SEFIT p.n. 5265 del 5 aprile 2004).

    Difatti alla luce della attuale ripartizione di competenze tra Stato, Regioni ed Enti Locali, l’attuazione anche regolamentare di competenze relative a materie

    esclusive dello Stato (come lo stato civile) non può che avvenire con legge/regolamento statale, che resta ancora necessario per l’operatività della L. 130/2001.

    La seconda corrente, cui si ispira la Lombardia e successivamente la Toscana, ritiene che la Regione sia titolata a specificare – come norma sanitaria – il trattamento delle ceneri, semplicemente riportando il dettato della Legge 130/01 estendendolo, laddove funzionale allo scopo.

    Queste due scuole di pensiero, tuttavia, implementano, fortunatamente, solo alcuni istituti della Legge n. 130/2001, alle volte ampliandoli o restringendoli (ad esempio dispersione o affido delle ceneri), ma rimangono silenti sull’obbligo del prelievo di campioni biologici o annessi cutanei da parte del medico necroscopo.

  4. Sono un medico della Regione Campania, il mio quesito è:
    da dove si evince che l’obbligo di raccolta di liquidi fisiologici di cui alla lettera h art. 3 della L. 130/2001 non è in vigore?
    qual’è il riferimento normativo che congela tale articolo?

  5. A complemento di quanto detto nel mio precedente post riporto alcune intelligenti osservazioni tratte da un articolo a firma del Dott. Andrea Poggiali comparso a pag. 22 della rivista “I SERVIZI FUNERARI” n. 2 dell’anno 2002.

    […] “L’art. 3 lettera h) della Legge n. 130/2001 (ancora “congelato” per i risaputi motivi della sospensiva della stessa Legge n. 130/2001) prevedeva una modifica del Regolamento di Polizia Mortuaria sulla base del seguente principio: “obbligo per il medico necroscopo di raccogliere dal cadavere, e conservare per un periodo minimo di dieci anni, campioni di liquidi biologici ed annessi cutanei, a prescindere dalla pratica funeraria prescelta, per eventuali indagini per cause di giustizia”.

    Pare che il ministero abbia poi deciso di non inserire questa modifica, considerate le prevedibili difficoltà in sede applicativa. Un sistema di raccolta e conservazione di materiale biologico su base nazionale non si improvvisa.
    Conviene comunque approfittare dell’occasione per approfondire le problematiche legate alla custodia dei reperti. Segnalo un interessante articolo del Prof. Beduschi, esclusivamente incentrato su questo tema. L’autore, forte della sua esperienza in un Istituto universitario, fornisce informazioni precise sulle difficoltà logistiche, quali la capienza e le caratteristiche tecniche delle strutture di stoccaggio, e si sofferma anche sugli aspetti di natura organizzativa. Occorre individuare le responsabilità connesse alla conservazione dei reperti, anche in riferimento ai rischi sanzionatori nel caso di cattiva conservazione, distruzione o smarrimento di essi.
    Occorre dotarsi di un registro ufficiale dei reperti, che documenti la presa in carico del reperto e la eventuale dismissione. Bisogna chiarire, preliminarmente alla presa in carico del reperto, se ciò si configura o meno come attività di custodia in senso tecnico ai sensi del codice di procedura penale, nel qual caso occorrerebbe formalizzare la nomina a custode da parte dell’autorità giudiziaria.

    Secondo l’autore, la conservazione di reperti biologici “… non può prescindere da strutture ed infrastrutture organizzative complesse e qualificate quali, in Italia, sono esclusivamente gli istituti universitari ed i primariati ospedalieri di medicina legale”: non gli si può dar torto Nel caso (sfortunato) la norma entrasse davvero in vigore, è bene sapere che ai problemi di tipo logistico ed organizzativo evidenziati dal Prof. Beduschi occorrerebbe aggiungere quelli derivanti da obblighi di legge successivamente intervenuti in materia di tutela della privacy.

  6. X Giorgio,

    Da un’attenta panoramica non ci risulta che (per fortuna) l’obbligo del prelievo di liquidi biologici ed annessi cutanei di cui alla Legge n. 130/2001 sia già vigente nè sia stato, tanto meno, attuato a livello di Leggi Regionali; ciò non toglie che sia, dal momento in cui potrebbe divenire operativo, una difficoltà notevole. Le stesse AUSL hanno opposto fortissime resistenze. Secondo la più autorevole dottrina investiti di questo compito dovrebbero esser gli istituti di medicina legale (ossia gli unici dotati degli impianti e strumentazioni necessarie). Da più parti ci si sta adoperando per evitare che entri in vigore e, a quanto pare, il Ministero della Salute sia intenzionato ad abrogare la norma o, quanto meno, a depotenziarla.

    Quanto all’onerosità di queste operazioni molto macchinose, poi, si ritiene non debba aver riflessi sull’utenza, suo malgrado, dei servizi necroscopici, in quanto l’obbligo del prelievo sorge in capo al medico necroscopo e l’attività di medicina necroscopica è compresa nei L.E.A. di cui all’allegato 1 del D.P.C.M. 29 novembre 2001 e, quindi, quale servizio di medicina pubblica, è da ritenersi gratuita per il cittadino.

  7. salve,
    come dirigente medico legale “addetto ai lavori” pongo il seguente quesito:
    – premesso che gli oneri della richiesta di cremazione sono a carico del richiedente (fatti salvi i casi gratuiti previsti dalla legge) come quantificare le procedure connesse alla pratica ed a chi addebitare il costo complessivo del tempo e delle operazioni del personale sanitario ASL impiegato per il prelievo di annessi cutanei e liquidi biologici, nonchè per la conservazione degli stessi (dieci anni stoccaggio in cella frigorifera, registrazione, oneri amministrativi, gestionali, etc.) attualmente in pratica del tutto in capo alla ASL di riferimento !?
    saluti

  8. LE CRITICITA’ DELLA LEGGE 130/20101 SOTTO L’ASPETTO DELLA MEDICINA NECROSCOPICA

    Quali sono per un medico necroscopo le maggiori criticità nella legge 30 marzo 2001 n. 130 in merito alla cremazione dei cadaveri umani?

    Il problema verte sostanzialmente su di una questione: la titolarità della funzione di accertamento per elementi di rilevanza penale (decesso avvenuto in seguito ad un crimine).

    L’ art.3.1.a impone al medico necroscopo (e solo al medico necroscopo) la stesura del certificato dal quale risulti escluso il sospetto di morte dovuta a reato, replicando, per altro la disposizione generale di cui all’Art. 74 del DPR n.396/2000.

    Col vecchio ordinamento di polizia mortuaria sulla cremazione questo compito sarebbe spettato (anche e soprattutto) al medico curante; si verifichi a tal proposito la formulazione dell’art. 79 comma 4 nel DPR 285/90.

    Fino all’entrata in vigore delle nuove norme, cioè, era il curante che, conoscendo tutti gli aspetti (concezione olistica) del caso clinico, l’anamnesi e le modalità del decesso, compilava tale documentazione.

    Per enucleare in modo corretto la difficoltà procedurale, denunciata dagli stessi dottori, bisogna assolutamente distinguere tra medico necroscopo che opera in ambiente ospedaliero ed il medico necroscopo della ASL disponibile ad attivarsi sul territorio in caso di decessi avvenuti presso un domicilio privato.

    In reparto ospedaliero infatti, è ben raro che esistano delle “zone d’ombra” perché, di solito, al momento dell’attestazione di morte il personale sanitario ha sempre a disposizione la cartella con tutte le informazioni riguardo alla degenza, ai motivi che hanno portato al ricovero ed alla terapia somministrata; pertanto il paziente con la sua storia clinica è già stato sottoposto ad un primo filtro conoscitivo.

    Il reato, il dolo eventuale, allora, dovrebbero già essere stati scartati preliminarmente; la visita necroscopica, comunque, deve sempre pur sempre essere eseguita, anche se in determinare circostanze si riduce ad una mera formalità.

    Gli altri due momenti in cui il medico necroscopo potrebbe trovarsi in difficoltà riguardano:

    L’assoluta esclusione che non vi sia stato un pregresso incidente tale da poter far risalire il decesso a quella stessa causa iniziale. Se sussiste anche solo un dubbio di tal genere la salma deve essere fermata e si deve procedere con la trasmissione del referto all’autorità giudiziaria.
    L’ esclusione che il paziente sia portatore di apparecchiature non idonee alla cremazione, ma, di norma, anche questo aspetto può essere desunto, dalla visita necrosopica direttamente sul cadavere ed anche dalla cartella clinica o da una rapida telefonata ai colleghi curanti.
    Diversa, e ben più complicata, invece, è la situazione del necroscopo territoriale che spesso non ha a disposizione tutta questo materiale ecco, dunque, come possano insorgere criticità a volte insanabili rapidamente, specie dal venerdì alla domenica.

    Secondo alcuni autorevoli commentatori un’interpretazione troppo rigida dell’articolo 3.1 lettera a comporterebbe la necessità di effettuare l’autopsia su ogni salma da cremare, con
    relativo studio clinico-anamnestico, per rimuovere definitivamente il sospetto di morte dovuta a reato (anche l’omicidio colposo da eventuale responsabilità professionale ovviamente).

    Altra dottrina parimenti legittimata ha sviluppato unna diversa interpretazione più “minimale” secondo cui l’affermare un “non sospetto” e il non dover necessariamente validare quanto posto agli atti dal clinico nella scheda di morte, non dovrebbero comportare l’obbligo sistematico di sottoporre ad esame autoptico tutti i deceduti in attesa di cremazione.

    Ad un attento esame dell’articolato emerge un’ulteriore controversia operativa il punto “h” dello stesso art.3 fa impone al il medico necroscopo di raccogliere dal cadavere, e conservare per un periodo minimo di 10 anni, campioni di liquidi fisiologici e annessi cutanei, a prescindere dalla pratica funeraria prescelta, per eventuali indagini per causa di giustizia”.

    La domanda sorge spontanea: dove verrà conservato tutto questo materiale biologico?

    Quali saranno le tecniche per effettuare velocemente tali prelievi standard, forse quelle già annoverate nella protocollo delle autopsie medico-legali ai sensi della cosidetta “Circolare Fani” del 30 giugno 1910 n.1665?

  9. La Legge 30 marzo 2001 n. 130 per una sua piena attuazione rimandava ad un’esplicita revisione del DPR 10 settembre 1990 n. 285, ora non più possibile in forza del mutato assetto di competenze legislative dopo la riforma al titolo V della Costituzione.

    La sua efficacia è, quindi, da ritenersi sospesa a tempo indeterminato (sub specie aeternitatis), o meglio, per sempre, in quanto la potestà legislativa in tema di salute umana e veterinaria (spettro di materie tra cui rientra anche la polizia mortuaria) è divenuta oggetto di potestà legislativa concorrente.

    Per il principio di gerarchia tra le fonti del diritto, occorrerebbe una nuova Legge dello Stato e non un semplice DPR (che è un regolamento governativo) per sbloccare la situazione, novellando la stessa Legge n. 130/2001 nelle sue parti più controverse sotto l’aspetto della tecnica legislativa.

    Con questa “strana formula” molto “giuridichese” travano, tuttavia, dunque applicazione le norme regionali nel rispetto dei principi enunciati dalla sullodata Legge 30 marzo 2001 n. 130 (quasi esclusivamente nell’individuazione dell’Ufficiale di Stato Civile come soggetto deputato ad autorizzare la dispersione delle ceneri), la quale Legge, invece, continua a vivere in una sorta di limbo per le ragioni di cui sopra.

    Nella regione Lazio si applicano comunque la L.R. Lazio 28 aprile 2006, n. 4 (trattamento delle ceneri) e la DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE 28 settembre 2007, n. 737 recante norme sulla semplificazione delle procedure sanitarie di polizia mortuaria e non la Legge n. 130/2001. Ad esempio solo la Lombardia con l’Art. 12 comma 5 del Reg. REg. 9 novembre 2004 n. 6 ha implementato il disposto della Legge n. 130/2001 con cui si imponeva al medico necroscopo la raccolta ae la conservazione di campioni biologici del cadavere da destinare a cremazione. Detto obbligo non vale nelle altre regioni che pure si siano dotata di una loro specifica normativa sulla cremazione.

    L’unico aspetto della Legge n. 130/2001 davvero operativo è il DM 1 luglio 2002 relativo alla tariffazione del servizio di cremazione.

  10. Son un medico della regione Lazio, il mio quesito è se la Legge 130 vada o meno applicata visto che due Leggi Regionali rispettivamente del 2004 e del 2005 vi trovano impianto e vi fanno riferimento.Ovvero, pur ritenendo alcuni che non vada attuata, c’e qualche scritto che la abroga ?

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