Corte di Cassazione, Sez. II civ., 10 gennaio 2019, n. 467 (ordinanza)

Corte di Cassazione, Sez. II civ., 10 gennaio 2019, n. 467 (ordinanza)

MASSIMA
Corte di Cassazione, Sez. II civ., 10 gennaio 2019, n. 467 (ordinanza)

Il diritto del concessionario sulla cappella costituisce un diritto reale assimilabile alla superficie (e, più precisamente, una volta che sia stata edificata, alla proprietà superficiaria della stessa) e, come tale, suscettibile, tra l’altro, di possesso: a condizione, naturalmente, che sia stata rilasciata la relativa concessione amministrativa, per cui, prima o, comunque, in mancanza del suo rilascio, l’area, in quanto demaniale, non è suscettibile di diritti in favore di terzi (artt. 823 e 824, comma 2°, c.c.) né di possesso ad usucapionem
(art. 1145, comma 1°, c.c.).

NORME CORRELATE

Art. 90 dPR 20/9/1990, n. 285

http://vvvvvv.funerali.org/vvp-content/uploads/File/Leggi/dpr90-285_90.htm

Civile Ord. Sez. 2 Num. 467 Anno 2019
Presidente: ORICCHIO ANTONIO
Relatore: DONGIACOMO GIUSEPPE
Data pubblicazione: 10/01/2019

ORDINANZA
sul ricorso 16883-2014 proposto da:
G. PAOLO ANTONIO, in proprio e nella qualità di erede di P. Rosa, nonché G. ROSA ANNA MADDALENA e G.
GIUSEPPINA, nella qualità di eredi di G. Lucia, elettivamente domiciliati a Roma, via G. Nicotera 29, presso lo studio dell’Avvocato LUCIANO DE LUCA che, unitamente all’Avvocato FAUSTO MARENGO, li rappresenta e difende, anche disgiuntamente, per procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
F. MARIO, elettivamente domiciliati a Roma, via dei Monti Parioli 48, presso lo studio dell’Avvocato ULISSE COREA, che, unitamente all’Avvocato ERNESTINA PALLAROLO, li rappresenta e difende, anche disgiuntamente, per procura speciale a margine del controricorso
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2263/2013 della CORTE D’APPELLO DI TORINO, depositata il 27/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del Z9/O5/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO
lette le conclusioni con le quali il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FULVIO TRONCONE,
ha concluso per l’infondatezza del primo motivo, l’inammissibilità del secondo motivo e l’accoglimento del terzo
motivo.
FATTI DI CAUSA
Mario F., con citazione notificata il 29/3/2000, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Alessandria, Lucia G., Paolo G. e Rosa P. per ottenere, per quanto ancora interessa, la condanna degli stessi a spostare l’aggitto del cornicione in facciata ed il canale di gronda con pluviale della cappella funeraria G., riportandoli all’interno dell’area 199 del Cimitero di Castellazzo Bormida.
I convenuti si sono costituiti chiedendo, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’acquisto per usucapione del diritto a mantenere la cappella sull’area cimiteriale n. 199 con cornicione aggittante sull’area n. 198 e con i canali di gronda sporgenti fuori dalla cappella.
Il tribunale, con sentenza n. 194 del 2010, ha rigettato la domanda ritenendo che l”area 198 era stata concessa nello stato di fatto in cui si trovava al momento della concessione e, quindi, con lo sporto di parte avversa già presente.
Il F. ha proposto appello chiedendo che, in riforma della sentenza impugnata, fossero accolte le domande formulate in primo grado.
Gli appellati, costituendosi in giudizio, hanno chiesto, per l’ipotesi di riconoscimento del diritto del F. al subalzo della cappella G., che fosse dichiarato l’acquisto, per usucapione, della porzione di terreno occupato dalla cappella G. sul sedime contiguo, poi acquistato clal F., con riferimento al cornicione aggittante sull’area n. 198 ed ai canali di gronda sporgenti.
La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato Paolo G., Rosa P. nonché Giuseppina G. e Rosa Anna G., in qualità di eredi di Lucia G., ad eliminare e/0 a spostare l’aggetto del cornicione di facciata ed il canale di gronda con pluviale della cappella G. che impediscono il subalzo dell’edicola F., riportandoli all’interno dell’area 199.
La corte, in particolare, dopo aver premesso, in fatto, che: – l’area n. 199 concessa alla famiglia G. è stata edificata a cappella negli anni ‘5O; – l’area n. 198, concessa a F., è stata costruita alla fine degli anni `8O; – il consulente tecnico d’ufficio ha accertato lo sconfinamento del manufatto G.; ha osservato che: “la disciplina dei sepolcreti privati, come contenuta nel regolamento di polizia mortuaria allegato al DPR 21-10-1975 n. 803, non prevede la consuetudine tra le modalità di acquisizione dei sepo/cri che insistono sul terreno demaniale, quale quello deputato ai cimiteri”; “esistono in siffatta materia due ambiti, quello civile e quello amministrativo e quello amministrativo è caratterizzato dalla natura concessoria dell’area, poi destinata alla costruzione della tomba privata”; “in forza del/’art. 824 c.c. si crea un diritto soggettivo nel privato, diritto che se è leso e tutelabile anche dinnanzi all’A.G. … ma tale diritto affievolisce dinnanzi alla P.A. …; “il concessionario quindi cumula in se sia il diritto di sepolcro che il diritto sul sepolcro, ma non può travalicare la porzione assegnata, come avvenuto nella specie con la parziale occupazione da parte della famiglia G. del mappale 198, mappale poi divenuto oggetto di concessione al F.“; ed infatti, “la distinzione tra i beni pubblici e beni privati non discrimina due categorie concettuali di proprieta ma soltanto due categorie giuridiche di beni, la prima delle qua/i presenta un peculiare regime giuridico (inalienabilità, inusuca(pi)bilità, … )”; inoltre, “la porzione 198 era stata concessa a privati ma poi i concessionari avevano retrocesso al Comune l’area, la quale era rimasta in possesso della P.A. dall’agosto del 1985 al 1989 quando venne concessa a F.”; “le retrocessioni, che furono più di una evidenziano la persistenza della natura demaniale dell’area, in relazione alla quale non è opponibile l’usucapione”: “nessuna usucapione e quindi invocabile da parte appellata sia perché la concessione costituisce per la P.A. uno dei modi di disposizione del bene, di per se configgente con un disinteresse per il bene, sia perche in concreto l’area era stata retrocessa in più occasioni al Comune e quindi anche in concreto si era realizzato il permanere [del] potere autoritativo/demaniale di disposizione del bene”. In definitiva, secondo la corte, l’area concessa al F., in quanto demaniale e di proprietà della P.A. era libera da ogni peso e come tale utilizzabile nella sua interezza dal concessionario, con la conseguenza che – a fronte degli sconfinamenti perpetrati, “che non sono stati contestati da parte convenuta” ed, in ogni caso, accertati dal consulente tecnico d’ufficio con l’allegato 3 e le osservazioni dallo stesso svolte nell’elaborato del 18/10/2006 . “l’occupazione del mappale 198 dei G. con l’aggetto del cornicione e del canale di gronda risulta abusiva e la stessa deve essere rimossa per permettere al titolare della concessione 198”, e cioè il F., “di godere della porzione oggetto di concessione nella sua interezza”. La corte, quindi, ha ordinato Veliminazione e/o lo spostamento del cornicione e del canale di gronda che impediscono il subalzo dell’edicola F. nell’area di sua pertinenza 198 e gli stessi devono essere riportati all’interno dell’area 199, unica area oggetto di concessione ai G..
Paolo G., in proprio e nella qualità di erede di Rosa P:, nonché Giuseppina G. e Rosa Anna Maddalena G., in qualità di eredi di Lucia G., con ricorso notificato il 18.26/6/2014, hanno proposto, per tre motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente non notificata.
Ha resistito, con controricorso notificato il 18.19/9/2014, Mario F..
Le parti hanno depositato memorie.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione delle norme in materia di sepolcreti privati di cui al d.P.R. n. 803 del 1975 e del relativo regime concessorio, oltre che del’art. 824 c.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che “la disciplina dei sepolcreti privati, come contenuta nel regolamento di polizia mortuaria allegato al DPR 21-10-1975 n. 803, non prevede la consuetudine tra le modalità di acquisizione dei sepolcri che insistono sul terreno demaniale”, senza tener conto del fatto che, nel caso in esame, la consuetudine, lungi dall’aver rappresentato una modalità di acquisizione dell’area sepolcrale, ha informato il contenuto del provvedimento concessorio emesso dal Comune perché, per prassi invalsa da tempo immemorabile – che il Comune di Castellazzo Bormida ha espressamente formalizzato con la delibera della giunta comunale del 5/3/1998 – l’area è stata data in concessione al F. nel 1989 nello stato in cui si trovava, e cioè con le misure esistenti in /oco e non sulla carta, vale a dire al netto dei volumi occupati dalle edicole confinanti, tra cui quella dei G.. Nel momento in cui, nel 1989, l’area 198 è stata data in concessione al F., quindi, non vi era alcun sconfinamento in atto per l’ovvia ragione che gia dal 1951 esisteva sull’area 199 confinante l’edicola funeraria della famiglia G., con tutti i suoi manufatti. I ricorrenti, inoltre, hanno censurato la sentenza impugnato nella parte in cui rimanda al contenuto della perizia svolta in primo grado per l’individuazione dello sconfinamento, laddove, in realtà, il consulente tecnico d’ufficio, al quale non è mai stato conferito l’incarico di verificare le aree date in concessione dal Comune, si e limitato ad individuare il confine attuale tra le costruzioni e, dando per scontato che cappelle e le aree corrispondessero a quelle concesse dal Comune, ha concluso che “il confine non è rispettato da entrambi i confinanti“.
2.Il motivo è infondato. I ricorrenti, infatti, lamentano la violazione e/o la falsa applicazione delle norme in materia di sepolcreti privati di cui al d.P.R. n. 803 del 1975 e del relativo regime concessorio, oltre che dell’art. 824 c.c., sul rilievo che la corte d’appello non ha tenuto conto del fatto che l’area è stata data in concessione al F. nel 1989 nello stato in cui si trovava, e cioè al netto dei volumi già occupati dalle edicole confinanti, tra cui quella dei G.. La sentenza impugnata, tuttavia, non ha accertato, in fatto, che tale concessione sia stata effettivamente rilasciata, in ragione della prassi invalsa da tempo immemorabile nel Comune di Castellazzo Bormida che la
sopravvenuta delibera della giunta comunale del 5/3/l998 avrebbe solo ratificato con effetto retroattivo, nello stato in cui l’area si trovava. A fronte (della mancanza) di tale accertamento, quindi, i ricorrenti, intanto avrebbero potuto imputare alla sentenza impugnata la violazione delle norme in materia di sepolcreti privati, previste dal d.P.R. n. 803 del 1975, e del relativo regime concessorio, oltre che dell’art. 824 c.c., nell’interpretazione che gli stessi ne hanno offerto (e cioè tale da comprendere, quale fonte di integrazione del contenuto delle concessioni gia concesse, anche la predetta consuetudine) solo se ed in quanto avesse preliminarmente censurato, nei limiti consentiti dall’art. 360, n. 5, c.p.c., nel testo in vigore, l’omesso esame da parte della corte dei fatti (a tal fine) decisivi, vale a dire l’effettiva sussistenza di tale consuetudine, da un lato, e l’effettiva conformazione ad essa, in virtù di una delibera della giunta municipale successiva, della concessione già rilasciata al F. nel 1989: ciò che, nella specie, non è invece accaduto, avendo i ricorrenti lamentato solo la violazione delle norme suddette come se la fattispecie concreta fosse stata effettivamente accertata dal giudice di merito nei termini dagli stessi desiderati. Né può valere la censura, che i ricorrenti hanno articolato nel medesimo motivo, che riguarda il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio e la mancanza dell’accertamento da parte della stessa di un effettivo sconfinamento. La corte d’appello, infatti, con statuizione che i ricorrenti non hanno specificamente censurato, ha, sul punto, accertato che gli sconfinamenti ai danni del F. “ … non sono stati contestati da parte convenuta”. Ed è noto che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali “rationes decidendi”, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 4293 del 2016). Gli stessi ricorrenti, del resto, ammettono che il consulente tecnico d’ufficio ha accertato che “il confine non è rispettato da entrambi i confinanti“. D’altro canto, in tema di ricorso per cassazione, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazíone di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 11482 del 2016; Cass. n. 19427 del 2017). Non solo: in tema di impugnazioni civili, le conclusioni assunte dal consulente tecnico sono impugnabili con ricorso per cassazione solamente qualora le censure ad esse relative siano state tempestivamente prospettate avanti al giudice del merito, alla stregua di quanto si evinca dalla sentenza impugnata ovvero dell’atto del procedimento di merito – da specificamente indicarsi da parte del ricorrente – ove le stesse risultino essere state formulate, e vengano espressamente indicate nel motivo di ricorso, in modo che al giudice di legittimità risultino consentito il controllo “ex actis” della relativa veridicità nonché la valutazione della decisività della questione (Cass. n. 2707 del 2004; Cass. n. 7696 del 2006; Cass. n. 12532 del 2011; Cass. n. 20636 del 2013, per la quale “le contestazioni difensive della consulenza tecnica d’ufficio devono essere sollevate nella prima udienza successiva al deposito della relazione …“. Nel caso in esame, i ricorrenti, da un lato, non hanno riprodotto, nel ricorso per cassazione, le censure che, nel giudizio di merito, avrebbero formulato alle conclusioni della consulenza tecnica, così come, dall’altro lato, non hanno indicato specificamente in quale atto del procedimento di merito ciò sia (tempestivamente) avvenuto ed, in ogni caso, non hanno sufficientemente riprodotto, in ricorso, il testo della consulenza che hanno inteso censurare (cfr., sul punto, Cass. n. 12703 del 2015, in motiv.).
3.Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando l’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ignorato, nonostante la sua portata decisiva, che, con scrittura privata del 9/12/1989, e cioè, pochi mesi dopo la concessione dell’area cimiteriale al F., quest’ultimo ha acquistato dalla famiglia G. la comproprietà del muro di confine della cappella G. senza contestare il supposto sconfinamento sull’area a lui concessa. E ciò significa, hanno proseguito i ricorrenti, che il F., acquistando la comproprietà del muro dell’edicola G., sulla quale ha appoggiato la sua, senza chiedere l’arretramento della cappella entro i supposti confini dell’area in concessione, aveva accettato quello stato dei luoghi e lo ha accettato perché quello era lo stato nel quale l’area gli e stata concessa, per cui non ha il diritto di sopraelevare il nuovo sepolcro, oltre a quello di esistente, né il diritto di pretendere l’eliminazione, da sepolcro esistente, di quelle parti sovrastanti il muro di confine, e cioe il cornicione e la pluviale, presenti sin dal momento della sua costruzione nel 1951.
4.Il motivo è infondato. Il thema decidendum, così come descritto nella sentenza impugnata, non ha, infatti, in alcun modo investito la questione dell’accettazione da parte del F. dello stato nel quale l’area gli era stata concessa in conseguenza della scrittura privata del 9/12/1989 con la quale lo stesso aveva acquistato dalla famiglia G. la comproprietà del muro di confine della cappella G.. Ed è noto, invece, che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbítanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità (Cass. n. 16742 del 2005; Cass. n. 22154 del 2004; Cass. n. 2967 del 2001). La sentenza impugnata, in quanto depositata dopo l’11/9/2012, è, del resto, assoggettata all’art. 360 n. 5 c.p.c., nel testo in vigore successivamente alle modifiche apportate dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni con la l. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza del giudice d’appello può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ed è noto come, secondo le Sezioni Unite (Cass. n. 8053 del 2014), tale norma consente di denunciare in cassazione solo l’anomalia motivazionale che – relativamente al solo giudizio di fatto – si tramuta in una violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6°, Cost., individuabile nelle ipotesi, che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2°, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza, in cui tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto /aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione), al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo come omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 7472 del 2017). Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1°, n. 6, e 369, comma 2°, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare non una questione o un punto della sentenza, quanto il “fatto storico”, principale ovvero secondario (cioè dedotto in funzione di prova di un fatto principale), il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.). Nel caso in esame, invece, i ricorrenti non hanno indicato se, come e quando, nel corso del giudizio di merito, il fatto, che la corte d’appello avrebbe omesso di esaminare, sia stato dedotto, quanto meno ai fini, come sopra espressi, che gli stessi hanno ritenuto di poter perseguire.
5.Con il terzo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione delle norme in materia di usucapione con riferimento ai sepolcri privati, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha escluso che gli appellati potessero invocare l’usucapione laddove, in realtà, il destinatario della concessione acquista un diritto reale assimilabile ad diritto di superficie ed avente ad oggetto, in un primo tempo, la facoltà di costruzione dell’edicola funeraria, e che, una volta realizzata l’opera, si sostanzia nella proprietà della stessa ed è alienabile, prescrivibile, espropriabile nonché suscettibile di possesso e di usucapione, con il conseguente diritto, nei rapporti tra privati, di mantenere la cappella funeraria così come edificata, con quelle particolare forme e caratteristiche, vale a dire, nella specie, nelle condizioni esistenti sin dal 1951.
6.Il motivo è infondato. In effetti, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, nel sistema vigente, regolato dal d.P.R. n. 285 del 1990, che ha approvato il regolamento di polizia mortuaria, il quale, per la parte che interessa, ricalca la disciplina del precedente regolamento di polizia mortuaria approvato con d.P.R. n. 803 del 1975, la costruzione di cappelle gentilizie o familiari (idest: la costruzione di sepolture a sistema di tumulazione individuale) può avvenire all’interno o all’esterno dei cimiteri (art. 90 del d.P.R. n. 285 cit.). Nel primo caso, l’area cimiteriale è assoggettata al regime del demanio pubblico (art. 824, comma 2°, c.c.) e segue la condizione giuridica di questo (art. 823, comma 1°, c.c.). La condizione giuridica dell’area cimiteriale, tuttavia, non ne esclude l’utilizzazione da parte dei privati, come accade per effetto della sua concessione in godimento temporaneo, come è previsto espressamente dall’art. 92 del d.P.R. n. 285 cit.. Il problema posto dal ricorso è quello di individuare il regime giuridico applicabile alla costruzione delle cappelle realizzate in area cimiteriale, trattandosi, più specificamente, di stabilire se, una volta che tale area è data in concessione ai privati, la stessa è, o meno, suscettibile, e in quale misura, di usucapione in favore di un terzo. La soluzione del problema richiede che sia preliminarmente qualificato il diritto che, salvo configurazione specifica contenuta nell’atto di concessione, è conferito al privato con l’atto di concessione. Nella giurisprudenza di questa Corte, tale diritto e stato qualificato dapprima come diritto reale particolare suscettibile di alienazione, prescrizione o espropriazione per pubblica utilità salvo particolari limitazioni (Cass. n. 3311 del 1984: “ll diritto su costruzione al di sopra o al di sotto del suolo di area cimiteriale, destinata a raccogliere e custodire i resti mortali del defunti (tomba, Cappella, ecc.) – fondato su una concessione amministrativa di terreno demaniale (art. 824 cod. civ.) – nei rapporti con gli altri privati si atteggla come un diritto reale particolare, suscettibile di trasmissione per atto inter vivos e per successione mortis causa…”) ed, in seguito, come diritto soggettivo di natura reale assimilabile alla superficie (Cass. n. 8197 del 1994), trattandosi di un diritto sulla costruzione distinto da quello sul suolo, la cui realità si esaurisce nel fatto che esso inerisce ad un immobile specifico, mentre la sua particolarità non sta nella sua temporaneità, che si riscontra anche nella superficie come si ricava dagli artt. 953 e 954 c.c., quanto nell’assoggettamento del bene al controllo particolare dell’autorità pubblica che ne può disporre l’estinzione attraverso la soppressione del cimitero. Dal diritto ora indicato, che come si è visto è il diritto sulla costruzione realizzata sopra 0 al di sotto dell’area cimiteriale, si distingue quello al sepolcro o alla tumulazione, il quale è un diritto di natura personale, che si acquista per avere realizzato la costruzione o per il fatto di trovarsi in un determinato rapporto di parentela con il concessionario (Cass. n. 9190 del 1997, in motiv.). Ne consegue che “nel nostro ordinamento, il diritto sul sepolcro già costruito nasce da una concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno (o di una porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale (articolo 824 c.c.) e tale concessione, di natura traslativa, crea a sua volta, nel privato concessionario, un diritto soggettivo perfetto di natura reale (suscettibile di trasmissione per atti inter vivos e per successione mortis causa) e, perciò, opponibile, iure privatorum, agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei confronti della p.a. nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero impongono o consigliano alla p.a. di esercitare il potere di revoca della concessione …” (Cass. n. 8804 del 2003, in motiv.; conf., Cass. n. 5923 del 1999, per la quale “il diritto, basato su concessione amministrativa, di realizzare, al di sopra od al di sotto d’un’area cemeteriale una costruzione destinata a raccogliere e custodire i resti mortali dei defunti, è un diritto reale congenere del diritto di superficie … Cass. SU n. 8197 del 1994, per cui “il diritto sul sepolcro costruito nasce dalla concessione, da parte della Pubblica Amministrazione, di un’area del terreno cimiteriale o di una porzione di edificio in un cimitero pubblico, la concessione, di natura traslativa secondo l’opinione prevalente, crea, in capo al privato concessionario e nei confronti degli altri privati ai quali esso è pienamente opponibile iure privatorum, un diritto soggettivo perfetto, di natura reale particolare, assimilabile al diritto di superficie, che si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei confronti della Pubblica Amministrazione, nei casi in cui esigenze di pubblico interesse, per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, impongano o consiglino alla Pubblica Amministrazione di esercitare il potere di revoca della concessione”; Cass. n. 3607 del 1983: “nel nostro ordinamento il diritto di sepolcro si fonda su una concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno o di una porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale in forza dell’art. 824 cod. civ. e tale concessione, in quanto si riferisce all’uso specifico cui l’area stessa è permanentemente destinata, crea – a sua volta – nel privato concessionario un diritto soggettivo perfetto di natura reale, nei confronti degli altri privati; come tale alienabile, prescrivibile ed espropriabile, salvo le particolari limitazioni che siano previste dal regolamenti comunali, in base ai quali la concessione è stata fatta, o di essi modificativi. …; iure pubblico è destinato ad affievolirsi nei confronti della p.a. concedente e a degradare in diritto condizionato od affievolito, qualora lo richiedano esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero…“). Il diritto clel concessionario sulla cappella costituisce, quindi, un diritto reale assimilabile alla superficie (e, più precisamente, una volta che sia stata edificata, alla proprietà superficiaria della stessa) e, come tale, suscettibile, tra l’altro, di possesso: “ … il diritto, basato su concessione amministrativa, di realizzare al di sopra o al di sotto di un’area cimiteriale una costruzione destinata a raccogliere e custodire i resti mortali dei defunti, costituisce un diritto reale suscettibile di possesso, la cui manifestazione esteriore qualificante è data dall’esercizio del diritto stesso mediante l’edificazione e la successiva disponibilità del manufatto” (Cass. n. 8804 del 2003, in motiv.; conf., Cass. n. 5923 del 1999, perla quale “il diritto, basato su concessione amministrativa, di realizzare, al di sopra od al di sotto d’un’area cemeteriale una costruzione destinata a raccogliere e custodire i resti mortali dei defunti, è un diritto reale congenere del diritto di superficie e, pertanto, suscettibile di possesso, potere di fatto la cui manifestazione esteriore qualificante è data, appunto, dall’esercizio del diritto stesso mediante l’edificazione e mediante la successiva disponibilità dei manufatto”): a condizione, naturalmente, che sia stata rilasciata la relativa concessione amministrativa, per cui, prima o, comunque, in mancanza del suo rilascio, l’area, in quanto demaniale, non è suscettibile di diritti in favore di terzi (artt. 823 e 824, comma 2°, c.c.) ne di possesso ad usucapionem (art. 1145, comma 1°, c.c.). Nel caso in esame, la corte d’appello ha, in fatto, accertato, senza che tale statuizione sia stata censurata dai ricorrenti, che: “la porzione 198 era stata concessa a privati ma poi i concessionari avevano retrocesso al Comune l’area, la quale era rimasta in possesso della P.A. dall’agosto del 1985 al 1989 quando venne concessa a F.”; “le retrocessioni, che furono più di una evidenziano la persistenza della natura demaniale dell’area, in relazione alla quale non è opponibile l’usucapione”: “ … in concreto l’area era stata retrocessa in più occasioni al Comune e quindi anche in concreto si era realizzato il permanere [del] potere autoritativo/demaniale di disposizione dei bene”. Ne consegue la mancanza, al momento dell’introduzione del giudizio, nell’anno 2000, dell’esercizio del possesso ad usucapionem sulla (proprietà superficiaria della) cappella edificata dal F. per tutto il tempo richiesto dalla legge, e cioe vent’anni (art. 1158 c.c.).
7.11 ricorso, per l’infondatezza di tutti i motivi, dev’essere, quindi, rigettato.
8.Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
9.La Corte da atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1-quater, dei d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dail’art. 1, comma 17, della i. n. 228 dei 2012.
P.Q.M.
La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in €. 5.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura dei 15% ed accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 13,comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nei testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n.228 del 2012.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 29 maggio 2018.
Il Presidente
Dott. Antonio Oricchio
IL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO
Dott.sa Simona Cicardello
DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma, 10 gennaio 2019

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Sereno Scolaro

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