Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 luglio 2020, n. 4302

Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 luglio 2020, n. 4302

MASSIMA
Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 luglio 2020, n. 4302

Ai fini dell’annullamento di una concessione di area cimiteriale, nonché delle autorizzazioni alla costruzione di cappella funeraria e paesaggistica, nonché di sospensione dei lavori nel frattempo realizzati, non è sufficiente richiamare l’esigenza di assicurare l’esigenza di una disponibilità superficiaria per le inumazioni ordinarie (art. 58 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), né quella che all’assegnazione di aree cimiteriali (art. 90 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285) debba procedersi con procedure ad evidenza pubblica, specie quando siano decorsi tempi rilevanti, aspetti che vanno valutati preventivamente, ponderando con maggiore rigore e in modo tempestivo gli interessi pubblici e privati sottesi.

NORME CORRELATE

Art. 91 d.P.R. 10/9/1990, n. 285

Pubblicato il 06/07/2020
N. 04302/2020REG.PROV.COLL.
N. 03759/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3759 del 2017, proposto da Antonietta D., rappresentata e difesa dall’avvocato Marcello Giuseppe Feola, con domicilio eletto presso lo studio A Placidi s.r.l. in Roma, via Barnaba Tortolini, n.30;
contro
Comune di Sant’Angelo a Fasanella non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza 23 marzo 2017, n. 583, del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Prima
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 luglio 2020 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato Marcello Giuseppe Feola in collegamento da remoto ai sensi dell’art.4 del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28.
FATTO e DIRITTO
1. – Il Comune di Sant’Angelo a Fasanella: i) con delibera di Giunta comunale 28 aprile 2011, n. 52, ha disposto la lottizzazione dell’area «resasi libera e disponibile dei campi di sepoltura “C” e “D” al fine di realizzare ulteriori lotti da dare in concessione per la costruzione di cappelle cimiteriali»; ii) con delibera di Giunta comunale 12 maggio 2011, n. 64, ha disposto la lottizzazione in luogo dell’area sopra indicata di quella in prossimità «della rampa carrabile interna al cimitero come evidenziato nell’allegato schema grafico»; iii) con delibera di Giunta comunale 12 maggio 2001, n. 65, a seguito di istanza del 22 aprile 2011, prot. n. 1982, presentata dalla signora Stio Antoniella, finalizzata alla «costruzione di una tomba di famiglia» per sepoltura del marito, è stato assegnato in concessione novantanovennale il «lotto n. 3».
Successivamente: i) è stata sottoscritta, in data 27 febbraio 2012, scrittura privata di concessione; ii) sono stati rilasciati sia il permesso di costruire 24 giugno 2013, n. 1 sia l’autorizzazione paesaggistica 29 marzo 2013, n. 3 di assenso alla realizzazione della suddetta cappella gentilizia sul lotto assegnato in concessione.
Il Comune, dopo che i lavori erano sostanzialmente terminati: i) con nota 12 giugno 2014, n. 1985, ha comunicato l’avvio del procedimento finalizzato all’annullamento in autotutela della predetta deliberazione di Giunta n. 65 del 2011, in virtù delle quali era stato concesso il suolo cimiteriale all’odierna appellante; ii) con ordinanza 16 giugno 2014, n. 6, è stata disposta la sospensione dei lavori di cui al permesso di costruire n. 1 del 2013.
La sig.ra D. ha impugnato tale ordinanza innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania.
Il Comune, con nota 23 ottobre 2014, n. 3463, ha diffidato la parte a non riprendere i lavori.
La sig. D. ha proposto avverto tale atto i primi motivi aggiunti.
Il Comune: i) con delibera 20 aprile 2015, n. 22, ha disposto la revoca della delibera n. 64 del 2011; ii) con determinazione 18 maggio 2015, n. 55, ha annullato in autotutela il permesso di costruire n. 1 del 2013 e l’autorizzazione paesaggistica n. 3 del 2013; iii) con ordinanza 18 maggio 2015, n. 12, ha sospeso i lavori e ordinato il ripristino dei luoghi
La sig. D. ha proposto avverso tali atti i secondi motivi aggiunti.
Il Comune: i) con delibera 13 luglio 2015, n. 5, ha annullato la delibera n. 65 del 2011; ii) con determinazione 7 settembre 2015, n. 85, ha dichiarato l’inefficacia del contratto di concessione dell’are di sedime cimiteriale; iii) con determinazione 14 settembre 2015, n. 87, ha annullato in autotutela la determinazione n. 55 del 2015 (che era stata impugnata con i secondi motivi aggiunti) e ha nuovamente “revocato” il permesso di costruire n. 1 del 2013 e l’autorizzazione paesaggistica n. 3 del 2013.
La sig. D. ha proposto avvero tale atto i terzi motivi aggiunti.
2.- Il Tribunale amministrativo, con sentenza 23 marzo 2017, n. 583: i) ha dichiarato improcedibili il ricorso principale e il primo e secondo ricorso per motivi aggiunti, in quanto ritenuti “superati” dalle determinazione n. 85 e n. 87 del 2015, impugnate con il terzo ricorso per motivi aggiunti; ii) ha ritenuto non fondate le censure di merito, rilevando la mancanza di affidamento legittimo in capo alla ricorrente e la sussistenza di ragioni di interesse pubblico all’annullamento in autotutela degli atti impugnati, quali la necessità di rispettare le regole dell’evidenza pubblica nell’assegnazione delle aree cimiteriali e di riservare alcune aree «alla rotazione delle inumazioni ordinarie» e «tener conto dell’eventualità di eventi straordinari che possono richiedere un gran numero di inumazioni».
3.- La ricorrente di primo grado ha proposto appello, rilevando l’erroneità della sentenza impugnata in quanto: i) la delibera n. 22 del 2015 di revoca della delibera n. 64 del 2011 e l’ordinanza n. 12 del 2015 di sospensione e ordine di ripristino dei luoghi non sarebbero stati “superati” dagli atti impugnati con il terzo ricorso per motivi aggiunti; ii) le determinazioni n. 85 del 2015 e n. 5 del 2015 di annullamento, rispettivamente, del contratto di concessione e della delibera n. 65 del 2011 di assegnazione dell’area in concessione, non sarebbero state prese in esame dal primo giudice; iii) la determinazione n. 87 del 2015 di annullamento del permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica sarebbe stata adottata dopo il decorso del termine dei diciotto mesi di cui all’art. 21- nonies della legge n. 241 del 1990; iv) si sarebbe formato un legittimo affidamento dell’appellante; v) la delibera n. 5 del 2015 e la determinazione n. 85 del 2015 non farebbero riferimento alla necessità di rispettare le regole dell’evidenza pubblica mentre il riferimento alla necessità di mantenere aree cimiteriali di riserva contenuto nella determina n. 87 del 2015 non sarebbe sufficiente a giustificare l’adozione di atti di autotutela.
I motivi sono fondati.
I provvedimenti amministrativi la cui lesività permane e in ordine ai quali occorre pronunciarsi sono: i) la delibera n. 22 del 2015 e l’ordinanza n. 12 del 2015 (impugnati in primo grado con i secondi motivi aggiunti; ii) le determinazioni n. 85 e n. 87 del 2015 (impugnati in primo grado con i secondi motivi aggiunti).
L’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, introdotto dalla legge n. 15 del 2005, nel testo applicabile ratione temporis, prevede che «il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge».
L’art. 6 della legge 7 agosto 2015, n. 124 ha aggiunto una nuova condizione di esercizio quando si incide su taluni provvedimenti. In particolare, si conferma la regola generale del termine ragionevole ma si aggiunge che tale termine non può, comunque, essere superiore «a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici».
Con specifico riferimento ai presupposti per l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 17 ottobre 2017, n. 8) ha ritenuto che, in mancanza di una espressa deroga, si applicano i principi posti dall’art. 21-nonies e, dunque, l’atto di annullamento deve contenere una espressa motivazione dalla quale risultino le ragioni di interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione e la posizione di affidamento dei destinatari dell’atto stesso. Si è puntualizzato che con tale indirizzo interpretativo non si tratta di «negare l’evidente esigenza di un deciso contrasto al grave e diffuso fenomeno dell’abusivismo edilizio, che deve essere fronteggiato con strumenti efficaci e tempestivi e con la piena consapevolezza delle gravi implicazioni che esso presenta in relazione a svariati interessi di rilievo costituzionale (quali la salvaguardia del territorio e del paesaggio, nonché la tutela della pubblica incolumità)». Nondimeno, occorre «responsabilizzare le amministrazioni all’adozione di un contegno chiaro e lineare, tendenzialmente fondato sullo scrupoloso esame delle pratiche di sanatoria o comunque di permesso di costruire già rilasciato, e sul diniego ex ante di istanze che si rivelino infondate». Si osserva, al riguardo, che «l’incondizionata adesione alla (pur suggestiva) formula dell’interesse pubblico in re ipsa può produrre effetti distorsivi, consentendo in ipotesi-limite all’amministrazione – la quale abbia comunque errato nel rilascio di una sanatoria illegittima – dapprima di restare inerte anche per un lungo lasso di tempo e poi di adottare un provvedimento di ritiro privo di alcuna motivazione, in tal modo restando pienamente deresponsabilizzata nonostante una triplice violazione dei principi di corretta gestione della cosa pubblica»
Nella specie mancano taluni dei presupposti prescritti dalla normativa sopra riportata.
In primo luogo, la delibera n. 22 del 2015, con la quale si è proceduto ad annullare la delibera n. 64 del 2011 che aveva individuato l’area cimiteriale che poteva essere assegnata fa esclusivo riferimento al vizio di incompetenza della Giunta comunale, rilevando che la competenza sia del Consiglio comunale. Trattandosi di una delibera che incide sulla posizione dell’appellante, la stessa non è adeguatamente motivata in ordine all’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento e in ordine alla posizione di affidamento ingenerato nel privato stesso
In secondo luogo, la determinazione n. 85 del 2015, che ha dichiarato l’inefficacia della scrittura privata di concessione, presenta i medesimi vizi. Essa non fa riferimento all’esigenza di rispettare le regole dell’evidenza pubblica nell’assegnazione delle aree cimiteriali e richiama soltanto il suesposto vizio di incompetenza.
In terzo logo, la determinazione n. 87 del 2015 fa riferimento sia all’esigenza di rispettare le suddette regole sia alla necessità di tenere conto delle «<i>riserve di aree</i>» cimiteriali. Anche tale determinazione non contiene tutti i presupposti per l’annullamento d’ufficio. In particolare, il lungo tempo trascorso e l’affidamento del privato non sono stati considerati.
Si tenga conto che tali aspetti assumono una valenza ancora più pregnante quando il bene oggetto dei provvedimenti impugnati attiene alla realizzazione di cappelle cimiteriali per gli interessi anche di natura non patrimoniale coinvolti nella vicenda amministrativa.
In definitiva, l’amministrazione comunale avrebbe dovuto ponderare con maggiore rigore e in modo tempestivo gli interessi pubblici e privati, sottesi alla vicenda in esame, per evitare di adottare atti che, per le ragioni esposte, sono illegittimi per violazione dei presupposti contemplati dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
4.-  Il Comune è condannato al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado di giudizio che si determinano in euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) accoglie l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, riforma la sentenza impugnata e annulla tutti i provvedimenti amministrativi indicati in motivazione;
b) condanna il Comune resistente al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado di giudizio che si determinano in euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Diego Sabatino, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio, Consigliere
Giovanni Orsini, Consigliere
L’ESTENSORE (Vincenzo Lopilato)
IL PRESIDENTE (Sergio De Felice)
IL SEGRETARIO

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Sereno Scolaro

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