Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 luglio 2021, n. 5458

Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 luglio 2021, n. 5458

Pubblicato il 20/07/2021
N. 05458/2021REG.PROV.COLL.
N. 01719/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1719 del 2015, proposto dalla s.r.l. < omissis >, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lorenzo Lentini, Andrea Mariconda ed Anna Rosanova, Alberto Vitale, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonio Inzerillo in Roma, via Monte Zebio, n. 30;
contro
il Comune di Sant’Antonio Abate, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Armenante, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Annalisa Di Giovanni in Roma, via di S. Basilio, n. 61;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sede di Napoli (Sezione Sesta), n. 3440/2014, resa tra le parti, concernente un diniego di concessione edilizia in sanatoria;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sant’Antonio Abate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 14 luglio 2021 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Anna Rosanova e Francesco Armenante in collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 13 marzo 2020, n. 6305;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame, l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 3440 del 2014 del Tar Napoli di rigetto dell’originario gravame, proposto dalla medesima parte istante al fine di ottenere l’annullamento dei seguenti atti: della nota prot. n. 1022 del 14 gennaio 2013, recante diniego delle istanze di condono prot. n. 4108/86 e prot. n. 3624/1995, nonché di ogni altro provvedimento preordinato, connesso e consequenziale, comunque lesivo degli interessi della società ricorrente, tra cui la delibera del consiglio comunale n. 89 del 5 novembre 2012, pubblicata il 12 dicembre 2012, di decisione sulle osservazioni ed adozione del P.U.C. che in parte qua ha rigettato l’osservazione n. 30, presentata dalla ricorrente medesima.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava, avverso la sentenza di rigetto, i seguenti motivi di appello:
– violazione degli artt. 33 della l. 47 del 1985, 338 del regio decreto n. 1265 del 1934, 10 della legge 52 del 1953, della l.r. 14 del 1982 allegato 1 titolo II punto 1.7, 1, 3 e 21 septies l. 241 del 1990, 41, 42 e 97 Cost e 112 c,p.c. eccesso di potere per mancata valutazione di un punto decisivo della controversia.
La parte appellata si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 14 luglio 2021 la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. La presente controversia ha ad oggetto l’impugnazione del diniego di condono di cui alla narrativa in fatto, respinta dalla sentenza di prime cure qui impugnata.
2. Dall’analisi degli atti di causa emerge come la società appellante sia proprietaria di un fondo identificato al N.C.T. al foglio 10 particelle nn. 52 e 233, sul quale è stato edificato un opificio industriale adibito a macello, oggetto delle istanze di condono prot. n. 4108/1986 e prot. n. 3624/1995, rispettivamente presentate ai sensi della legge n. 47/1985 e della legge n. 724/1994.
L’esito negativo delle istanze, di cui al provvedimento impugnato in prime cure, si basa sulla circostanza che il manufatto interessato è posto ad una distanza dal cimitero inferiore ai 200 mt. previsti dall’art. 338 del R.D. n. 1265/1934 e, conseguentemente, è insanabile, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 47/1985, nonché tutti gli atti presupposti ivi compresa la delibera consiliare n. 89 del 5 novembre 2012 di adozione del P.U.C.
3. Preliminarmente, va esaminata l’istanza di rinvio dell’udienza, formulata da ultimo da parte appellante, in quanto sarebbe sopravvenuto il PUC di Sant’Antonio Abate che ha definitivamente fissato la fascia di rispetto cimiteriale a 50 metri (art. 92 NTA); quindi la società in data 25 marzo 2021 ha richiesto il riesame in via di autotutela di ufficio delle domande di condono edilizio. Peraltro, risulta che il Comune odierno appellato, all’esito dell’istruttoria svolta, ha adottato il provvedimento n. 14573/2021 negativo (recante rigetto del riesame e non, come prospettato erroneamente da parte appellante, un nuovo diniego di sanatoria), impugnato con nuovo ricorso al Tar.
3.1 L’istanza non può essere accolta.
3.2 In linea generale, deve essere respinta l’istanza di rinvio della causa a nuova udienza, avanzata dalla difesa dell’appellante al fine di consentire la previa definizione del giudizio pendente innanzi ad altro giudice quando il fatto prospettato costituisce elemento esterno alla controversia (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. III, 21 novembre 2014, n. 5731).
3.3 Nel caso di specie, se per un verso l’oggetto del giudizio avviato dinanzi al Tar concerne l’esercizio del diverso potere di autotutela invocato, per un altro verso la questione evocata (relativa alla sopravvenuta riduzione della fascia di rispetto) ai fini di causa risulta essere già stata esaminata e rigetta dalla sentenza impugnata, con conseguente onere di impugnazione in parte qua, ai fini del presente giudizio. Inoltre, la stessa istanza di rinvio si basa su presupposti erronei, come sopra evidenziato circa il contenuto del nuovo atto negativo.
3.4 Infine, va ribadito che nell’ordinamento giuridico non esiste norma giuridica o principio ordinamentale che attribuisca alle parti in causa il diritto al rinvio della discussione del ricorso, atteso che le stesse hanno solo la facoltà di illustrare le ragioni che potrebbero giustificare il differimento dell’udienza, ma la decisione finale in ordine ai concreti tempi della decisione spetta comunque al giudice; e ciò in quanto la richiesta di rinvio della trattazione di una causa deve trovare il suo fondamento giuridico in gravi ragioni idonee ad incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo dubitarsi che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti.
D’altra parte, rileva anche il principio della ragionevole durata del giudizio, che induce a respingere istanze volte a differire il suo esito.
4. Nel merito l’appello è infondato, risultando pienamente condivisibili le approfondite argomentazioni poste a fondamento della sentenza impugnata.
4.1 In linea generale, il vincolo cimiteriale determina una situazione di inedificabilità ex lege e integra una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene e non suscettibile di deroghe di fatto, tale da configurare in maniera obbiettiva e rispetto alla totalità dei soggetti il regime di appartenenza di una pluralità indifferenziata di immobili che si trovino in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con i suddetti beni pubblici; esso ha carattere assoluto e non consente in alcun modo l’allocazione sia di edifici, sia di opere incompatibili con il vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che la fascia di rispetto intende tutelare, quali le esigenze di natura igienico sanitaria, la salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione e alla sepoltura, il mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale; il vincolo, d’indole conformativa, è sganciato dalle esigenze immediate della pianificazione urbanistica e si impone di per sé, con efficacia diretta, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per a loro natura, ad incidere sulla sua esistenza o sui suoi limiti (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 1° dicembre 2020, n. 7617).
4.2 Nel caso di specie la violazione della richiamata fascia di rispetto ha costituito la ragione principale di diniego delle istanze di condono prot. n. 4108/1986 e prot. n. 3624/1995 per la regolarizzazione di un opificio industriale, adibito a macello, avente una superficie complessiva di mq. 2296,81, insistente sulle particelle nn. 52 e 233 del foglio 10: in particolare, con riguardo a 1423 mq. per l’istanza, presentata ai sensi della legge n. 47/1985, a 873,81 mq. per l’istanza presentata, ai sensi della legge n. 724/1994.
4.3 In dettaglio, il Comune ha basato il diniego sulla circostanza che l’immobile oggetto di controversia “risulta posto ad una distanza inferiore ai 200 mt. (art. 338, comma 1, R.D. n. 1265/1934) e pertanto rientrante interamente all’interno dell’area di rispetto cimiteriale” e, quindi, è insuscettibile di sanatoria, ai sensi dell’art. 33, comma 1 lettera d), della legge n. 47/1985, in forza del quale non sono sanabili le opere in contrasto con vincoli che comportino l’inedificabilità assoluta.
Tale conclusione è pienamente aderente alla giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui non sono condonabili le opere abusive realizzate all’interno della fascia di rispetto cimiteriale, atteso che tale vincolo determina una situazione di inedificabilità ex lege ed integra una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene e non suscettibile di deroghe di fatto (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 15 ottobre 2018, n. 5911).
4.4 Nessun rilievo può accordarsi alla sopravvenuta riduzione della fascia di rispetto, in quanto la domanda di condono va analizzata con riferimento ai vincoli esistenti alla data del relativo esame. All’epoca della domanda e della conseguente valutazione il peculiare iter di modifica invocato non si era certo concluso. Sul punto la stessa precedente decisone n. 1593 del 2006 di questo Consiglio assume rilievo dirimente, avendo escluso sia la sussistenza dei vizi dedotti avverso l’inapplicabilità del vincolo cimiteriale, sia la rilevanza del procedimento di riduzione richiamato (cfr. in specie punto 2.1 della motivazione), con conseguente effetto di giudicato vincolante (peraltro del tutto condiviso) anche nella presente sede.
Né una diversa conclusione può reputarsi imposta dal motivo a suo tempo accolto (cfr. sub 2.2. della motivazione), avendo il Comune svolto la necessaria istruttoria in termini che fuoriescono dal perimetro dei vizi dedotti. Sul punto, la stessa sentenza impugnata ha correttamente statuito, senza contraria deduzione specifica, che è “documentalmente provato e non contestato, che l’opificio della società ricorrente ricade nella fascia di rispetto cimiteriale, attualmente stabilita in 200 mt., e che ricadrebbe comunque nella predetta fascia anche qualora venisse ridotta a 100 mt.”.
4.5 Neppure è fondato il profilo della censura che richiama l’automatica applicabilità della modifica di cui alla legge n. 166 del 2002. Al riguardo va ribadito che il procedimento attivabile dai singoli proprietari all’interno della zona di rispetto è soltanto quello finalizzato agli interventi di cui al settimo comma dell’art. 338 del t.u. delle leggi sanitarie (recupero o cambio di destinazione d’uso di edificazioni preesistenti); mentre resta attivabile nel solo interesse pubblico – come valutato dal legislatore nell’elencazione, al quinto comma, delle opere ammissibili ai fini della riduzione – la procedura di riduzione della fascia inedificabile (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. IV, 13 dicembre 2017, n.5873). E nel caso di specie il procedimento pubblicistico non si era certo concluso, nei termini già sopra evidenziati.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appella va respinto.
Le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 1719 del 2015, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Giovanni Sabbato, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE (Davide Ponte)
IL PRESIDENTE (Luigi Maruotti)
IL SEGRETARIO

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Sereno Scolaro

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