Consiglio di Stato, Sez. V, 1 aprile 2019, n. 2123

Consiglio di Stato, Sez. V, 1 aprile 2019, n. 2123

MASSIMA
Consiglio di Stato, Sez. V, 1 aprile 2019, n. 2123

Se sia corretto che chi intenda contestare le clausole escludenti di un bando di gara debba impugnarlo tempestivamente, nel differente caso di ricorso avverso un provvedimento di autotutela, è invece sempre ammissibile l’intervento ad opponendum di un operatore del settore il quale ha comunque una specifica posizione di interesse di fatto, che si identifica nel mantenimento del provvedimento impugnato, contrario a quello azionato in via principale (arg. ex Consiglio di Stato, sez. III , 02/10/2015, n. 4613 Consiglio di Stato sez. V, 08/04/2014, n.1669).
Non vi sono dubbi circa la sussistenza del potere discrezionale della Stazione Appaltante di revocare l’aggiudicazione definitiva in relazione all’emersione di un interesse pubblico concreto derivante dalla conoscenza di circostanze, risultanti dalle indagini penali, nel caso in cui questi riguardano specificamente una gara il cui esito potrebbe essere stato indebitamente influenzato.

NORME CORRELATE

D. Lgs. 18/4/2016, n.50

Pubblicato il 01/04/2019
N. 02123/2019REG.PROV.COLL.
N. 10002/2018 REG.RIC.
N. 10566/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 10002 del 2018 proposto da
S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Claudio Guccione, Maria Ferrante, Amedeo Sorge e Salvatore Scafetta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Claudio Guccione in Roma, via Sardegna n. 50;
contro
Comune di Napoli in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Andreottola, Fabio Maria Ferrari e Bruno Crimaldi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Luca Leone in Roma, via Appennini n. 46;
nei confronti
S.r.l., non costituita in giudizio;
sul ricorso in appello numero di registro generale 10566 del 2018, proposto da
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Bruno Crimaldi, Fabio Maria Ferrari e Antonio Andreottola, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Luca Leone in Roma, via Appennini, n. 46;
contro
S.p.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Claudio Guccione, Maria Ferrante, Salvatore Scafetta e Amedeo Sorge, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Claudio Guccione in Roma, via Sardegna n.50;
nei confronti
S.r.l., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Prima) n. 7005/2018, resa tra le parti, concernente revoca dell’affidamento in concessione del servizio di illuminazione ambientale e votiva e dei servizi connessi nei cimiteri del Comune di Napoli;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli e di S.p.A;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Visto il dispositivo di sentenza n. 1455 del 4 marzo 2019;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2019 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Ferrante Maria, Migliaccio, su delega di Crimaldi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Ai fini della comprensione della presente vicenda si deve premettere quanto segue.
a) In data 2 gennaio 2016, al fine di assicurare una maggiore remuneratività per l’amministrazione, il Comune di Napoli, su proposta della , ha indetto una procedura di project financing, ai sensi dell’art. 30 del D.lgs. 163/2006 e dell’art. 278 d.P.R. n. 207/2010, per l’affidamento della concessione di durata ventennale del servizio di illuminazione votiva e ambientale in tutti i cimiteri cittadini, con annessa realizzazione di sistemi di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e l’accollo da parte del concessionario del presumibile esborso del valore non ammortizzato delle immobilizzazioni e forniture riferibili ai precedenti concessionari.
b) In seguito all’aggiudicazione provvisoria alla , unica partecipante, l’Amministrazione comunale in data 29 giugno 2016 ha disposto l’affidamento in via d’urgenza al predetto promoter del servizio di illuminazione votiva cimiteriale, con decorrenza dal 15 luglio 2016.
c) Il 1° agosto 2016 il Dirigente del Settore ha adottato l’aggiudicazione definitiva con determinazione dirigenziale in seguito al positivo completamento della verifica dei requisiti.
d) Con nota n.259386 del 3.4.2017 la Segreteria Generale del Comune — nell’esercizio della Funzione di controllo successivo di regolarità amministrativa e art. l47 bis del D.lgs. 267/2000 – in relazione alla particolare rilevanza del contratto ed al valore di € 187.209.984, ha rifiutato la stipulazione del contratto ed ha restituito, per le indispensabili integrazioni, lo schema di contratto di concessione- Tuttavia la società e la Direzione competente non hanno dato puntuale e positivo esito alle ricordate richieste istruttorie.
e) In data 19 febbraio 2018, in esito ad indagini scaturite dalla denuncia della S.r.l. (precedente concessionaria parziale), i giornali hanno dato notizia della notifica di un avviso di conclusione indagini ex art. 415bis c.p.p. per i delitti di turbata libertà degli incanti e falso a carico del legale rappresentante della , dei componenti della Commissione Giudicatrice, del RUP e del Dirigente del Comune che aveva gestito la gara,
f) Con Determinazione dirigenziale del 23 marzo 2018, l’Amministrazione ha adottato in autotutela, ex art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, la revoca dell’aggiudicazione definitiva alla società S.p.A. e tutta la procedura di project financing, sul rilievo fondamentale per cui le circostanze emergenti dal procedimento penale in corso avevano determinato il venir meno dell’elemento fiduciario che deve ispirare i rapporti tra Amministrazione e gli aggiudicatari concessionari.
g) In data 13 luglio 2017 il P.M. aveva richiesto il rinvio a giudizio di tutti gli imputati coinvolti nell’indagine.
Con i gravami in epigrafe la società S.p.A. ed il Comune di Napoli per quanto di interesse, impugnano la sentenza del Tar Campania – Napoli I Sezione del 7 dicembre 2018 n. 7005 con cui:
— è stata respinta la richiesta di annullamento della determina dirigenziale n.1 del 23/3/18 di revoca in autotutela dell’aggiudicazione definitiva della procedura aperta diretta all’affidamento, con criterio dell’offerta economica più vantaggiosa ex art.83 D.lgs.163/06 e s.m.i., della concessione dei servizi di illuminazione ambientale e votiva nei cimiteri del Comune di Napoli;
— sono stati accolti i successivi motivi aggiunti, notificati il 05-07-2018 ed annullata la nota PG/2018/509681 del 05/06/18 nella parte in cui si ordinava alla la restituzione di € 5.907.945,21 e dei locali afferenti la gestione.
Con l’appello (nrg. 10002/2018) la società S.p.A. deduce tre articolate rubriche di gravame relative:
— in via preliminare, all’erroneità dell’ammissibilità dell’intervento in primo grado della Soc. ;
— all’illegittimità nel merito di una revoca che sarebbe stata adottata in carenza dei presupposti previsti ed al parziale accoglimento dei successivi motivi aggiunti.
Con nota in data 19.12.2018, con memoria del 12.2.2019 e con successiva replica del 16.2.2019, la ha sottolineato le proprie argomentazioni e ha contestato le tesi dell’Amministrazione.
Il Comune di Napoli, a sua volta costituitosi in giudizio il 18.12.2018, con memoria del 19.2.2019 ha confutato le tesi di controparte, concludendo per il rigetto del ricorso avversario.
Con l’appello nrg 10.566/2018 il Comune di Napoli, a sua volta, ha chiesto la riforma della sentenza nella parte in cui ha annullato la restituzione di € 5.907.945,21 introducendo due motivi di ricorso relativi all’error in iudicando nella dichiarazione del diritto alla ritenzione dei “compensi” percepiti in connessione della esecuzione anticipata del servizio; all’error in procedendo di fatto e materiale nella redazione del dispositivo in modo difforme dalla motivazione relativamente alla restituzione del locali connessi alla gestione delle lampade.
In detto secondo giudizio si è costituita la Società contestando le tesi del Comune ed insistendo per la correttezza dell’annullamento della richiesta di restituzione dei compensi.
Con ordinanza cautelare n. 6271 del 20 dicembre 2018 è stata accolta la richiesta di sospensione cautelare della sentenza impugnata.
Uditi, all’udienza pubblica di discussione i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione dal Collegio.
In data 04/03/2019 è stato pubblicato il dispositivo n.1455 su richiesta del difensore del Comune di Napoli.
DIRITTO
1.§. Per ragioni di chiarezza e di economia espositiva è opportuno esaminate separatamente i due appelli ancorché alcune questioni, sia pure su posizioni contrapposte, tocchino i medesimi aspetti.
2.§. impugna la sentenza nella sola parte in cui il TAR ha respinto la richiesta di annullamento della predetta determina dirigenziale n.1 del 23/3/18.
2.§.1. Con il primo motivo, la Società rileva, in via preliminare, l’erroneità della ritenuta ammissibilità dell’intervento in primo grado della Soc. , che il TAR ha fondato sul rilievo che tale impresa, quale operatore economico operante nel settore dei servizi cimiteriali per l’illuminazione votiva oggetto della concessione, avrebbe un interesse obiettivo alla riedizione della procedura sia pure con diversi presupposti finanziari.
Per l’appellante invece tale interesse avrebbe dovuto essere autonomamente perseguito mediante la tempestiva impugnazione delle clausole della lex di gara che rivestivano portata escludente (ex Adunanza Plenaria, n. 4/2018).
L’assunto non convince.
Infatti, se è corretto che chi intende contestare le clausole escludenti di un bando di gara debba impugnarlo tempestivamente, nel differente caso di ricorso avverso un provvedimento di autotutela, è invece sempre ammissibile l’intervento ad opponendum di un operatore del settore il quale ha comunque una specifica posizione di interesse di fatto — che si identifica nel mantenimento del provvedimento impugnato — contrario a quello azionato in via principale (arg. ex Consiglio di Stato, sez. III , 02/10/2015, n. 4613 Consiglio di Stato sez. V, 08/04/2014, n.1669).
Infatti, nel processo amministrativo di primo grado, l’intervento ad adiuvandum della posizione del ricorrente, richiede la titolarità di una posizione giuridica dipendente da quella dedotta in giudizio dalla parte ricorrente, in quanto è ad essa accessoria, mentre per l’intervento ad opponendum delle ragioni del ricorrente — e, quindi, a sostegno delle ragioni rappresentate dall’Amministrazione — è sufficiente la titolarità di un semplice interesse di fatto (cfr. Consiglio di Stato , sez. III , 04/02/2016, n. 442).
Il motivo va dunque respinto.
2.§.2. Con una seconda articolata rubrica la lamenta l’erroneità nel merito del rigetto del ricorso principale.
L’abile tentativo della difesa della società appellante di segmentare la questione in molti profili non può giovare alle sue tesi in quanto i differenti elementi, se unitariamente considerati, vanno a comporre un quadro univoco che porta a dover concludere per la legittimità del provvedimento impugnato e per l’esattezza della sentenza di primo grado sotto tale profilo.
2.§.2.1. In una prima articolazione della censura la società contesta il richiamo del Collegio di prime cure ai propri precedenti (rispettivamente n. 4214/2013 e n. 5321/2014) per i quali sussiste il potere discrezionale della stazione sppaltante di revocare l’aggiudicazione definitiva qualora si sia in presenza di un interesse pubblico concreto e nel caso in cui i fatti di reato, ipotizzati nelle risultanze delle indagini penali, riguardino “specificamente la gara alla quale ha partecipato la ricorrente” qualora ricorrano “fatti eccezionali”.
In tale scia, il TAR ha affermato che:
— “… le risultanze fattuali di un procedimento penale concernente la gara oggetto del procedimento di autotutela, pur necessitando di un apprezzamento proprio della stazione appaltante, non possono tuttavia essere rilette in modo del tutto eccentrico rispetto a quello dell’Autorità Giudiziaria penale, almeno con riguardo alla loro oggettiva consistenza”;
— “l’intensità del potere di accertamento delle autorità inquirenti penali costituisca un limite della discrezionalità dell’Amministrazione nei casi, come quello di specie, in cui siano state formulate ipotesi di reato che riguardano proprio la procedura oggetto di gara
”.
Con una sorta di “automatismo” il Tar avrebbe affermato che la discrezionalità amministrativa subirebbe un “dictat” vincolante dalle condotte contestate dalla Procura riguardano la medesima procedura di gara.
Inoltre il presunto “danno d’immagine alla credibilità dell’Amministrazione” conseguente al rilievo mediatico dell’inchiesta penale diventerebbe, ad avviso del TAR, “un valore primario da tutelare, prevalente anche sull’affidamento maturato dalla concessionaria” per cui con un mirato esposto alla Procura ed una campagna di stampa si potrebbe provocare la revoca del legittimo affidamento, costruito con anni di gestione del servizio e cospicui investimenti vanificando finanche il diritto ex lege all’indennizzo, come statuito in sentenza, per presunta colpevolezza. Il Collegio erroneamente avrebbe ritenuto che:
— il disposto rinvio a giudizio costituirebbe un fatto nuovo. Al contrario: – non sarebbe mai stato disposto alcun rinvio a giudizio per nessuno degli indagati; – il dato delle 187.000 lampade oggetto della denuncia di – alla luce del quale si asserisce il falso nella stima di era stato richiesto dal Comune e comunicato da nel gennaio 2016. Ciò rivelerebbe palesemente l’illegittimità della revoca adottata in carenza dei presupposti previsti;
— allo stato l’Amministrazione non disporrebbe” di elementi idonei a stabilire che i reati ipotizzati negli atti della procura siano insussistenti e, considerato l’importo e la durata della concessione, la scelta di revocare la concessione non pare irragionevole e, anzi, risulta rispondente all’interesse pubblico”.
2.§.2.2. La sentenza gravata erroneamente avrebbe preteso di enucleare dalle sue pronunzie una “regola generale” e, senza cogliere l’assoluta specialità che connota la vicenda in esame, avrebbe trascurato di penetrare nelle maglie del procedimento di revoca.
Le formulate ipotesi di reato riguardanti la procedura oggetto non potrebbero nemmeno teoricamente assurgere a principio assoluto ed assumere una valenza determinante per la revoca in quanto, al contrario, l’Amministrazione avrebbe invece avuto a disposizione gli strumenti e gli elementi istruttori utili per sottoporre a verifica le situazioni fattuali, già oggetto di accertamento in sede penale, configuranti la contestata ipotesi di falso.
Del resto lo stesso TAR dubiterebbe della fondatezza delle condotte contestate dalla Procura, ammettendo che queste potrebbero anche “essere ritenute insussistenti all’esito dell’accertamento dibattimentale, trovando spiegazione in errori materiali, come ipotizzato dalla ricorrente, ovvero non dipendere da un comportamento volontario” ed il Consiglio di Stato in sede di ricorso cautelare aveva interinalmente sospeso l’atto di revoca impugnato (cfr. ord. 28 giugno 2018 n. 2980).
La revoca sarebbe stata dunque viziata da un palese difetto di istruttoria, dalla contraddittorietà delle sue motivazioni rispetto alle recenti stime ed arbitrarietà delle conclusioni. L’amministrazione non avrebbe compiuto alcuna attività di verifica delle circostanze fattuali oggetto delle condotte contestate dalla Procura, ma si sarebbe limitata a recepire passivamente le prospettazioni contenute negli avvisi di garanzia.
Pur possedendo la piena disponibilità degli elementi istruttori necessari non avrebbe accertato in particolare il dato, presuntivamente non veritiero, delle lampade votive inserito nella proposta di project che costituiva il presupposto della contestazione di turbata libertà degli incanti.
Tale accertamento sarebbe stato doveroso e non invasivo delle prerogative dell’Autorità Giudiziaria penale, per una valutazione della sussistenza dei presupposti di legittimità della revoca in piena autonomia dagli eventuali futuri esiti del giudizio penale.
2.§.2.3. Per quanto poi concerne l’avviso ex art. 415-bis c.p.p. di conclusione delle indagini preliminari, l’appellante ricorda che le contestazioni di merito ai 6 indagati erano relative alle circostanze:
A.) che il Presidente del c.d.a. all’epoca dei fatti della S.p.a., nel presentare in data 29.10.2014 al Comune di Napoli una proposta di project financing, avrebbe “falsamente indicato il numero complessivo delle lampade votive da alimentare e fare oggetto di manutenzione in 275.000, pur essendo il numero delle lampade attive 187.169, in modo che risultasse il rendiconto economico finanziario del progetto di finanza economicamente conveniente per l’ente appaltante Comune di Napoli”, nonché dichiarato “falsamente che il numero delle lampade da alimentare e fare oggetto di manutenzione risultava da verifiche tecniche – in realtà non ancora completate e che solo successivamente effettuate avrebbero determinato l’effettivo numero delle lampade attive”. Con l’effetto che (ad avviso della Procura) le ditte del settore potenzialmente interessate sarebbero state indotte in errore circa la convenienza della concessione, in ragione del costo collegato agli oneri di concessione apparentemente sovrastimato “perché riferito ad un numero di lampade votive superiore rispetto a quello effettivo di circa 105.000 unità (con una differenza stimata di circa 2.700.000 euro annui)”;
B.) che i membri della commissione di gara nei verbali n. 1, 2 e 3) ed il Dirigente responsabile del Servizio e il R.U.P. nella determina di aggiudicazione definitiva avrebbero attestato falsamente la regolarità della procedura seguita, omettendo di formulare osservazioni in merito alla circostanza che sarebbero state presentate dall’aggiudicataria solo due buste (la “A”, contenente la documentazione amministrativa, e la “B”, recante l’offerta tecnica), a fronte delle tre prescritte dalla lex di gara, che (come ovvio) contempla a pena d’esclusione anche la busta “C” relativa all’offerta economica;
C.) che il Responsabile del Servizio Cimiteri avrebbe falsamente attestato — nell’atto ricognitivo di accertamento del 12.10.2016 tra il Comune di Napoli e l’ (E.A.V., precedente concessionaria del servizio) — il riconoscimento del debito nei confronti di quest’ultima, e che il Consiglio comunale nella delibera di approvazione dello schema di bilancio di previsione 2016-2018 aveva individuato la provvista finanziaria e autorizzato la spesa per corrispondere all’ l’indennizzo dovuto dal Comune per il riscatto degli impianti di illuminazione votiva nei cimiteri cittadini.
Tale contestazione sarebbe però totalmente estranea ad ogni possibile sfera di incidenza sul rapporto fiduciario con , in quanto le condotte addebitate non avrebbero potuto esercitare alcuna reale incidenza negativa sul rapporto fiduciario con l’aggiudicatario, né avrebbero scalfito la sua integrità morale o capacità tecnica o organizzativa, in quanto:
*) il Comune di Napoli, riguardo alla proposta di project avanzata da , avrebbe maturato la consapevolezza della piena attendibilità del dato relativo al numero di lampade votive che si prevedeva di alimentare negli anni di durata della concessione.
*) con la delibera di Giunta n. 358/2015 di “Dichiarazione di pubblico interesse e approvazione della proposta presentata dalla società s.p.a.” l’Amministrazione avrebbe fatto propria la stima di 300.000 lampade votive esistenti, quantificata in occasione dell’originario Capitolato tecnico commissionato agli Uffici dalla Giunta prima della presentazione della proposta di – utilizzando quale criterio oggettivo di calcolo quello derivato dai consumi comunicati dal precedente gestore ;
*) tale stima sarebbe stata poi ufficializzata nella stessa delibera n. 358/2015 ad evidente conforto dell’attendibilità della previsione di 275.000 lampade di poco inferiore nello studio di fattibilità di e fatta propria nella lex di gara pubblicata nel 2016.
*) nella delibera del C.d.A. dell’, allegata alla convenzione stipulata dal Comune di Napoli con tale Ente del 1987 relativa alla gestione del medesimo servizio di illuminazione il numero delle lampade votive “perenni” presenti nei cimiteri di Napoli sarebbe stato già allora indicato pari a complessive 395.000, suddiviso in n. 275.000 esistenti all’interno delle Congreghe e n. 120.000 nelle zone cimiteriali comunali (cfr. foliario, pag. 27 del doc. 28).
Negli allegati alla proposta di project financing, quali lo studio di fattibilità ed il piano economico-finanziario, redatti sulla base delle verifiche sui luoghi accessibili (escluse le cappelle gentilizie) e di una tariffa di € 27 per lampada (inferiore del 23% rispetto ai prezzi praticati dal precedente gestore), l’odierna società appellante avrebbe proceduto ad una complessiva stima previsionale della domanda di lampade votive da attivare pari a 275.000 unità per primi anni (pronosticando, poi, a partire dal quinto anno una graduale riduzione).
Per l’appellante, se fosse vero quello contestato nell’avviso ex art. 415-bis c.p.p., l’aggiudicazione di una gara “antieconomica”, al punto da prospettare la creazione di un impedimento alla partecipazione alla gara di terzi concorrenti, avrebbe condotto ad un suicidio patrimoniale derivante proprio dall’aver dolosamente sovrastimato il canone concessorio in conseguenza di una falsa rappresentazione del numero delle lampade da alimentare.
La non avrebbe peraltro dovuto indicare con precisione il numero esatto di lampade votive da alimentare e fare oggetto di manutenzione, in quanto vi era una stima previsionale del numero delle stesse, conforme allo studio di fattibilità ed al piano economico-finanziario al livello di dettaglio che l’art. 278 del Regolamento di cui al D.P.R. n. 207/2010 esige per la redazione di uno studio di fattibilità di una proposta di project financing ad iniziativa privata.
2.§.2.4. L’erronea contestazione della falsa indicazione del numero di lampade da alimentare, sollevata dalla Procura di Napoli sarebbe frutto di un malinteso originato dall’esposto della Soc. , precedente sub-concessionario sine titulo, per la quale:
— il Servizio Cimiteri Cittadini nell’istruire la proposta di avrebbe omesso di verificare l’attendibilità “del numero delle lampade indicate dal promotore e che risulta essere sovrastimato di circa 100.000 sulle 280.000 indicate”;
— riferendosi ad una propria nota del 15.01.2016, priva di qualsivoglia corredo probatorio, la stessa avrebbe dichiarato che “per l’anno 2014 le lampade votive accese nei 9 cimiteri erano state 187.026 e per l’anno 2015 erano state 187.169” – dato mai dimostrato – per cui, dato che la tariffa media applicata nella proposta di project all’utenza per ciascuna lampada votiva sarebbe stata pari a € 27,00, vi sarebbe stato il presunto effetto che “i ricavi siano stimati in eccesso di euro 2.700.000 annui”.
Il dato sarebbe palesemente fuorviante, avendo strumentalmente “confuso” il numero di “lampade” con quello delle “utenze” senza tener conto che:
a) molteplici utenti sottoscrivono contratti per accendere lampade votive (una o più) per ciascuno dei propri cari defunti;
b) nei cimiteri napoletani esistono circa 12.500 cappelle gentilizie (recanti ognuna svariati loculi con relativi punti luce), il titolare della cui concessione risulta quale unico utente contrattuale;
c) il numero delle lampade votive allacciate abusivamente alla rete elettrica esistenti nei nove Cimiteri di Napoli è altissimo;
d) per un certo numero delle lampade votive non è collegata alcuna attuale utenza contrattuale, non essendo stati ancora rintracciati gli eredi del defunto sepolto.
Tali elementi dimostrerebbero la totale carenza di ogni presupposto logico giuridico della revoca.
2.§.2.5. Parimenti arbitrario e difettante del necessario presupposto logico e giuridico si presenterebbe l’impugnato atto di revoca nella parte in cui si afferma che la “totale compromissione” del rapporto fiduciario conseguente alla seconda contestazione sollevata nell’avviso ex art. 415-bis c.p.p. fondata su una presunta omissione, in sede di presentazione dell’offerta, del deposito della busta “C” recante l’offerta economica da parte della , che sarebbe stata generata da un refuso presente nella trascrizione del verbale di gara n. 1, ove è stato erroneamente riportato che nel plico fossero presenti “due” buste, invece delle prescritte tre.
Il verbale n. 3 del 07.04.2016 infatti riferisce che “Si procede all’apertura della busta “C” – Offerta Economica”, con disamina dei sei documenti costituenti il relativo contenuto.
Inoltre negli atti dell’indagine preliminare non si rinverrebbe alcun elemento di conferma di quanto supposto dalla Procura, se non il refuso presente nel verbale n. 1.
Dalla documentazione acquisita al fascicolo del P.M. non risulta poi in alcun modo evincibile, né documentalmente dimostrato, che la Busta “C”, recante l’offerta economica non sarebbe stata “tempestivamente depositata”, ma che sarebbe stata dunque presentata in un momento successivo al termine di scadenza per la presentazione delle offerte e separatamente dal plico di offerta presuntivamente composto solo da n. 2 buste (ossia dalla Busta “A” e dalla Busta “B”).
Ed anzi, risulterebbe dimostrato il contrario in quanto:
– non è stata rinvenuta una Busta “C” recante un numero di protocollo successivo a quello di entrata del plico di offerta, il che dimostrerebbe inconfutabilmente che detta Busta non è stata “depositata” in un momento successivo a quello in cui è avvenuto il deposito del plico di offerta in questione, regolarmente composto da n. 3 Buste;
– da nessuna intercettazione – né tra il RUP e la ; né tra il RUP e i consulenti dell’impresa; né tra la e i suoi consulenti – risulta che l’odierna ricorrente avrebbe depositato la Busta “C” in un momento successivo.
Ne consegue che, anche riguardo alla presente contestazione, non possono intravedersi comportamenti imputabili all’aggiudicataria tali da riuscire, sia pur solo teoricamente, a provocare una sopraggiunta sfiducia.
2.§.2.6. L’evidente pretestuosità della disposta revoca sarebbe dimostrata dal fatto che il Comune avrebbe avuto l’esclusiva disponibilità degli atti di gara e della documentazione presentata in sede di offerta ed avrebbe pertanto dovuto verificare, sulla scorta dei dati in proprio possesso, la reale sussistenza delle circostanze fattuali di rilevanza amministrativa segnalate dalla Procura.
L’esercizio dell’autotutela avrebbe richiesto un accertamento in sede penale di una presunta “falsa rappresentazione dei fatti” con una sentenza passata in giudicato (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 27 giugno 2018 n. 3940).
2.§.2.7. La pronunzia gravata appare erronea anche riguardo al rigetto del lamentato difetto di contemperamento degli interessi, che avrebbe ritenuto non maturato un intenso affidamento da parte di “tenuto anche conto che alla data delle revoca non era stato ancora stipulato alcun contratto, la cui sottoscrizione era stata rinviata dalla stessa Amministrazione per ragioni, già note alla ricorrente, attinenti proprio alla determinazione del numero dei punti luminosi e quindi afferenti ad una delle condotte criminose ipotizzate nell’avviso di conclusione indagini”.
Le ragioni che avevano rimandato, per oltre due anni, la stipula della convenzione sarebbero dipesi esclusivamente dalle richieste comunali di chiarimenti e condivisioni inerenti il testo della convenzione da stipulare.
In questa particolare situazione la dimostrata veridicità dei fatti rappresentati negli elaborati prodotti nell’ambito della proposta di project risulterebbe rafforzata alla luce della circostanza che alla ricorrente, dopo l’aggiudicazione provvisoria, era stata consegnata in via d’urgenza la concessione e, a fronte di cospicui investimenti, starebbe esercitando il servizio di illuminazione da oltre due anni in tutti i cimiteri di Napoli, per cui si sarebbe ormai radicati in capo ad essa un qualificato affidamento e legittima aspettativa alla conservazione del servizio.
Parimenti erronea sarebbe anche la statuizione negativa sull’istanza di indennizzo in quanto non vi sarebbe stato alcun “comportamento colpevole” dell’odierna appellante e, in ogni caso, ai sensi dell’art. 11, comma 9 del D.lgs. 163/2006, spetterebbe all’aggiudicatario del servizio affidatario via d’urgenza il diritto al rimborso delle spese sostenute per le prestazioni espletate.
2.§.2.8. L’intero impianto va disatteso.
2.§.2.8.1. Con riguardo al profilo sub 2.§.2.1. del tutto corretto risulta innanzitutto il richiamo del Tar ai propri precedenti. Non vi sono dubbi circa la sussistenza del potere discrezionale della Stazione Appaltante di revocare l’aggiudicazione definitiva in relazione all’emersione di un interesse pubblico concreto derivante dalla conoscenza di circostanze, risultanti dalle indagini penali, nel caso in cui questi riguardano specificamente una gara il cui esito potrebbe essere stato indebitamente influenzato.
Il tentativo di condizionare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante ben può essere azionato attraverso:
— la fornitura di informazioni che siano false, fuorvianti o comunque oggettivamente suscettibili di indirizzare le decisioni sull’aggiudicazione; ovvero
— l’omissione delle necessarie dovute informazioni ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.
Tali comportamenti costituiscono fattori di deviazione del procedimento di gara dai canoni della imparzialità e del buon andamento ed inficiano l’intero procedimento di gara.
Non a caso infatti tali fattispecie costituiscono un illecito, tipizzato anche dall’art. 80, comma 5, lett. c) del T.U. del Codice dei Contratti di cui al d.lgs. n.50/2019, ai fini delle future esclusioni dalla gara.
In tali ipotesi, qualora ricorra un quadro di elementi precisi, diretti e concordanti, la stazione appaltante, al fine di addivenire al giudizio finale, può e deve far riferimento al complesso delle circostanze emergenti dalla fattispecie, senza che occorra necessariamente attendere sempre l’esito del giudizio penale al fine di affermare l’inaffidabilità, l’incongruità o la mancanza di integrità della procedura di gara.
In altre parole, per l’esercizio dell’autotutela revocatoria, è sufficiente che sussistano profili sintomaticamente concordanti ed univoci della sussistenza di elementi tali da poter ricavare la ragionevole convinzione che si sia verificata un’indebita influenza dell’operatore economico nei processi decisionali dell’amministrazione.
In sostanza la valutazione in ordine alla rilevanza inquinante sul procedimento di specifici comportamenti è rimessa a valutazioni discrezionali di competenza esclusiva della stazione appaltante e non costituisce un’automatica e necessitata ricaduta delle indagini penali.
Il potere di annullamento in autotutela del provvedimento amministrativo, nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità dell’azione amministrativa da parte della stessa Amministrazione procedente, sussiste anche dopo l’aggiudicazione della gara (ed anche nel caso in cui è intervenuta la stipulazione del contratto con conseguente inefficacia di quest’ultimo: cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 22/03/2017, n. 1310).
Nella fattispecie in esame ha comunque ragione il Tar quando ricorda che gli elementi emersi in sede di indagine penale, concernenti specificamente la gara oggetto del procedimento di autotutela, non possono essere riletti in modo del tutto eccentrico rispetto a quello dell’Autorità Giudiziaria penale, almeno con riguardo alla loro oggettiva consistenza.
Ciò perché questi sono del tutto coincidenti con i pesanti elementi di perplessità che in precedenza erano comunque già emersi in sede amministrativa riguardo proprio alla presente procedura oggetto di gara.
Dunque gli elementi concretatisi nella richiesta di rinvio a giudizio sono stati l’occasione per un ulteriore e definitiva verifica della situazione e non l’unica causa della revoca.
Nel caso di specie, non sussiste, come afferma l’appellante, alcun “automatismo” vincolato alle conclusioni della Procura relativamente dell’esercizio della discrezionalità amministrativa espletata per la revoca.
Già in sede di controllo interno di legittimità erano emersi gravi profili di illegittimità e di incongruenza dell’intera procedura che avevano portato il Segretario Generale del Comune al rifiuto di procedere alla stipula ed alla richiesta di consistenti integrazioni della bozza di concessione relativamente agli esatti obblighi del concessionario. In particolare con la nota n.259386 del 3.4.2017 (e quindi, in un tempo di molto antecedente alla chiusura delle indagini ed alla richiesta di rinvio a giudizio) la Segreteria Generale del Comune — nell’esercizio della funzione di controllo successivo di regolarità amministrativa e art. l47 bis del D.lgs. 267/2000 — considerando la particolare rilevanza del contratto e il rilevante valore di € 187.209.984, aveva rilevato, tra l’altro, che lo schema di contratto di concessione:
— non raggiungeva “con chiarezza ed esaustività, l’insieme degli obblighi reciprocamente assunti dalle parti, ovvero il bilanciamento tra i vari interessi coinvolti” ed altresì che non definiva “in modo lineare l’oggetto, ossia la “res” su cui lo stesso incide, che, ai sensi dell’art. 1346 del codice civile, deve essere determinato o determinabile, oltre, ovviamente, ad essere possibile e lecito, specificando espressamente le prestazioni a carico delle parti e il corrispettivo eventualmente previsto”;
–fosse connotato da “scarsa chiarezza e l’incompletezza dell’articolato” che rischiavano di alimentare “… in modo esponenziale i rischi di contenzioso dovuti a contrasti tra le parti in ordine alla corretta interpretazione delle clausole/condizioni contrattuali, con inevitabile ricaduta sulla correttezza dell’esecuzione, che, ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. 163/2006 (ora confluito all’art. 30 del D.lgs. 50/2016), è annoverata tra i principi fondamentali della normativa in materia di contratti pubblici.
In tali termini, l’esperienza insegna che sussiste una stretta correlazione tra le criticità riscontabili nella fase realizzativa e le carenze riconducibili ad una incompleta o imprecisa esposizione dei contenuti essenziali del contratto.

Di qui “… l’esigenza di addivenire alla redazione di uno schema di contratto che contenga prescrizioni chiare, precise e inequivocabili, che regolino, in conformità agli atti di gara, i rapporti tra concedente e concessionario. A tal fine tomerà utile alla dirigenza in indirizzo il supporto dell’Avvocatura comunale, cui la presente è diretta per conoscenza”.
Tale atto di contestazione puntualmente richiamato nella revoca rivela la pregressa sussistenza di fortissimi elementi di perplessità sulla legittimità e sulla convenienza stessa della concessione per il Comune di Napoli, che non sono stati successivamente superati nonostante la “… copiosa corrispondenza rimessa agli atti della medesima …” (cfr. pag. 2 del provvedimento impugnato in primo grado).
Tale situazione risulta ancora più rilevante anche alla luce della singolarità del fatto che contrariamente a quanto è dato di vedere normalmente nella gara per un servizio di relativo impegno ma di importo consistente, si era presentato un solo concorrente.
Anche in ciò è evidente che le conclusioni della richiesta di rinvio a giudizio del P.M. non hanno costituito l’esclusivo fondamento del provvedimento, quanto piuttosto l’elemento finale che deponeva per la grave e concordante messa in dubbio della complessiva correttezza della gara, confermando le notevoli perplessità già emerse in sede amministrativa, a loro volta confermate dagli stessi successivi comportamenti ostruzionistici della ad una corretta definizione dello schema di concessione.
Del resto la motivazione della revoca dà il giusto rilievo al fatto che:
— non è intercorsa la stipula contrattuale per la previa riscontrata necessità, da parte della stazione appaltante, di effettuare doverosi approfondimenti, oltre che di acquisire idonei elementi a una più compiuta definizione dell’atto di concessione;
— sugli elementi indizianti posti a base dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. e le relative “argomentazioni attenevano proprio a profili quantitativo/qualitativi inerenti elementi strutturati e sostanziali, intorno ai quali è stata elaborata e contestualmente presentata all’Ente la proposta di Project Financing e sui quali, come da copiosa corrispondenza rimessa agli atti, erano stati richiesti numerosi chiarimenti da parte della stazione appaltante, in uno all’avvio del procedimento di annullamento Prot.931972 del 30/11/2017 poi conclusosi” con la revoca;
— erroneamente la società avrebbe affermato che l’opportunità di addivenire alla stipula contrattuale dovrebbe “… ritenersi del tutto scollegata dalle gravi circostanze desumibili dall’avviso di conclusione delle indagini in argomento. Esse com’è evidente, rilevano – ed ab origine – in ordine a numerose fasi di analisi/valutazione dell’offerta nel suo complesso, gettando un’ombra (sulla base degli elementi indizianti posti a base dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p.) sul regolare svolgimento dell’intera procedura.
In tale prospettiva è evidente che, unitamente agli elementi emersi negli atti della Procura, sul piano della logica e della razionalità, ben giustifichino la revoca della concessione la unitaria e complessiva considerazione: — della struttura stessa della gara; — dell’importo della concessione e della relativa durata; — delle gravi carenze della documentazione contrattuale; — dell’assenza di una reale concorrenza nel procedimento; — dell’affidamento (tutto inusuale) in via di urgenza del servizio fatto sulla base della sola aggiudicazione provvisoria; — del fatto che, nemmeno successivamente si fossero superate le perplessità emerse in sede amministrativa ed in sede penale in ordine a numerosi elementi della gara.
In questo quadro, anche in considerazione della generale rilevanza sociale connessa con il ricordo ed il culto dei propri defunti, deve condividersi l’assunto del primo giudice quando afferma che l’immagine e la credibilità dell’Amministrazione costituivano nella specie un valore primario prevalente sull’affidamento maturato dalla concessionaria.
Dunque non è solo a causa del mero riscontro, da parte della Procura degli elementi contenuti nell’esposto “mirato” della controinteressata e della conseguente campagna di stampa, che avevano portato l’Amministrazione alla revoca ma, come sarà evidente anche in seguito, in tale direzione deponevano il complesso delle ricordate circostanze e dei comportamenti colpevoli della stessa aggiudicataria.
Il che porta a dover del tutto escludere la spettanza di un qualsiasi indennizzo in quanto è evidente come nella specie la revoca in autotutela sia derivata proprio da comportamenti colpevoli, sotto numerosi profili, della stessa .
2.§.2.8.2. Alla luce delle considerazioni che precedono, è inconferente anche la doglianza di cui al 2.§.2.2. con cui si assume:
— che l’Amministrazione avrebbe dovuto sottoporre ad autonoma verifica le situazioni fattuali già oggetto di accertamento in sede penale configuranti la contestata ipotesi di falso;
— che, in sede di ricorso cautelare, la Sezione ha apprezzato le ragioni della e interinalmente sospeso l’atto di revoca impugnato (cfr. ord. 28 giugno 2018 n. 2980 in quanto l’appellante era comunque l’affidataria del servizio.
Contrariamente a quanto vorrebbe la , il TAR ha invece pienamente colto l’assoluta specialità che connota la vicenda in esame e dunque non vi è alcun difetto di istruttoria, o di contraddittorietà delle motivazioni della sentenza impugnata.
Come visto l’amministrazione, anche prima della revoca, aveva seriamente dubitato della serietà e della legittimità della procedura e, successivamente, aveva preso atto che anche le prospettazioni conclusive contenute nella richiesta di rinvio a giudizio confermavano le precedenti perplessità sull’intera gara.
Inoltre, come esattamente ricorda la difesa dell’Amministrazione la ricorrente pretenderebbe una sorta di sindacato improprio dell’Amministrazione sulle conclusioni della Procura e quale conseguenza ulteriore una sorta di trasferimento del processo penale innanzi al giudice amministrativo, in spregio alle sfere riservate di giurisdizione di entrambi i giudici.
2.§.2.8.3 In tale prospettiva deve dunque essere respinto il profilo sub 2.§.2.3. con cui, in relazione alle contestazioni di merito di cui all’avviso ex art. 415-bis c.p.p. di conclusione delle indagini preliminari ed alla successiva richiesta di rinvio a giudizio dei 6 indagati si assume che sarebbero comunque estranee alla società le condotte del Presidente in carica,. del c.d.a. di S.p.A. , dei membri della commissione di gara, del Dirigente responsabile del Servizio e del R.U.P. .
Al contrario, ben si può dubitare dei comportamenti dei diversi protagonisti e della affidabilità e della compliance dei loro giudizi sulla congruità degli elementi a base del project financing e della convenienza della proposta avanzata da , così da radicare un non irragionevole convincimento di una reale incidenza negativa sul rapporto fiduciario con l’aggiudicataria.
Oltre agli elementi sopra ricordati, a sostegno di tale conclusione depone anche la circostanza, puntualmente ricordata nel provvedimento, per cui il Responsabile Unico del Procedimento per l’affidamento di cui trattasi – incaricato al tempo con Determinazione Dirigenziale del Servizio Cimiteri Cittadini n. 59 del 15 dicembre 2015– a seguito delle prime notizie di stampa aveva immediatamente rassegnato (sia per ragioni estranee al presente contenzioso) le proprie dimissioni dal predetto incarico in data 28 febbraio 2018.
La scissione tra gli interessi dell’Amministrazione Comunale ed i comportamenti del Responsabile del settore e dei componenti la commissione giudicatrice, porta a dover dubitare dell’affermata piena attendibilità del numero di lampade votive che si prevedeva di alimentare negli anni di durata della concessione e della conoscenza della reale situazione in essere.
Al riguardo è indicativo, e non è casuale, che non vi fosse alcuna indicazione sul numero delle lampade e neppure dei relativi contratti, né nel documento contenente le “Caratteristiche del Servizio e della Gestione dell’illuminazione votiva e ambientale”, né nel piano economico finanziario della , e neppure nello stesso bando di gara (tutti facilmente rinvenibili sul web nel sito Amministrazione Trasparente).
Contrariamente a quanto vorrebbe l’appellante, era il promoter che (proprio in quanto soggetto che proponeva l’affare) avrebbe invece dovuto stimare correttamente ed indicare il numero di lampade votive da alimentare e da manutenere, giacché tale elemento concerneva un dato essenziale in base al quale operare l’individuazione del necessario equilibrio del piano economico-finanziario.
A prescindere dai profili di responsabilità circa i comportamenti dei soggetti coinvolti dunque, sia nella delibera della Giunta n. 358/2015 di “Dichiarazione di pubblico interesse e approvazione della proposta presentata dalla società S.p.A.”, sia nello studio di fattibilità, adottato dal Comune facendo propria la proposta della , mancava una indicazione precisa delle lampade. Si rinvengono infatti solo due indicazioni relative a 275.000 lampade votive (ma con la specifica che avrebbero necessitato della sostituzione con elementi a LED) e ulteriori 300.000 lampade “per eventuali implementazioni del servizio” (cfr. pag. 75).
A fronte di ciò, del tutto singolarmente, era invece esattamente quotato il valore economico iniziale della concessione pari a € 197.668.415,00 più Iva (comprensivo dei lavori stimati in € 13.161.760,00; spese tecniche per € 1.152.000,00 più Iva e indennizzi per € 4.300.000,00 più Iva).
Al riguardo, se dallo sviluppo complessivo della vicenda deve escludersi che il Comune avesse una reale “conoscenza” del numero dei punti luce, è evidente che il “giudizio di sufficienza” sugli stessi da parte dell’Amministrazione fosse fondato su elementi che, sul piano sintomatico, risultano del tutto incongrui. A fronte di ciò sono irrilevanti sono le successive dichiarazioni (pretese come “confessorie”) estrapolate della nota del 18.12.2018 del nuovo Dirigente del settore (richiamate nella replica per l’U.P. del 15.2.2919) che invece al contrario dimostrano come la gara fosse stata effettuata senza un chiaro quadro anagrafico delle utenze.
Ai fini della legittimità della disposta revoca è rilevante che lo studio di fattibilità ed il piano economico finanziario allegati alla proposta di project financing fossero manifestamente carenti sul piano della esatta definizione degli elementi necessari per la valutazione della convenienza stessa dell’affare.
In conseguenza l’intero impianto del project financing era tale da impedire una stima seria del punto di equilibrio dell’affare: il che fa dubitare grandemente dell’intera procedura.
2.§.2.8.4. Per questo è comunque del tutto inconferente la contestazione di cui al punto 2.§.2.4. con cui si assume che il Comune avrebbe dovuto definire il numero di lampade da alimentare e delle “utenze” attive data la difficoltà: — dell’esatta delimitazione degli utenti con più lampade; — dell’incertezza sull’effettiva situazione delle 12.500 cappelle gentilizie con unico utente contrattuale; — dell’alto numero delle lampade votive allacciate abusivamente; — dell’esistenza di punti luce attivi privi di un utenza contrattuale conosciuta.
Gli elementi evidenziati dall’appellante non dimostrano l’irragionevolezza della revoca, ma anzi la totale carenza dei necessari presupposti giuridico-economici su cui si era svolta la gara.
2.§.2.8.5. Non può poi essere seguito il tentativo di cui al paragrafo 2.§.2.5. di minimizzare la possibile omissione, in sede di presentazione dell’offerta, del deposito della busta “C” recante l’offerta economica da parte della : si tratta in realtà di un ulteriore elemento sintomatico di una vicenda del tutto singolare.
Non vi sono elementi sufficienti per ritenere che vi sia stato solo un’inesattezza nella trascrizione del verbale per cui nel plico sarebbero stati erroneamente presenti “due” buste, invece delle prescritte tre.
Se fosse stato un semplice “lapsus calami” alla successiva seduta, e quindi in epoca non sospetta, si sarebbe comunque dovuto dare atto della trascuratezza con una “errata corrige” del precedente verbale. Invece la Commissione, nel verbale n. 3 del 07.04.2016 si riferisce solo che si procede “all’apertura della busta “C” – Offerta Economica”.
Al riguardo non può certo darsi rilievo né al fatto che nella Busta C esaminata mancasse una protocollazione della predetta busta in quanto, una volta decorso il termine di scadenza della gara, l’inserimento postumo di un’offerta non sarebbe certo stato protocollato ufficialmente e né che, di tale eventuale circostanza, si fosse fatto cenno nelle conversazioni telefoniche intercettate.
Quale che sia la verità storica non vi è dubbio che tale ulteriore elemento si aggiunge agli altri che connotano un quadro generale tale da giustificare la sfiducia nella sostanziale correttezza dell’intera procedura e di conseguenza nei confronti della aggiudicataria.
2.§.2.8.6. Per quanto riguarda il profilo sub 2.§.2.6., nel rinviare alle considerazioni di cui al punto 2.§.2.2. si deve solo ribadire che, alla luce del complesso dei dettagli della vicenda in esame, non vi era alcuna necessità di attendere l’accertamento dei fatti con sentenza penale passata in giudicato per poter delibare la revoca.
2.§.2.8.7. Per il medesimo ordine di considerazioni è parimenti priva di pregio giuridico la doglianza sub 2.§.2.7. circa il preteso difetto di contemperamento degli interessi della .
Come si è già visto il contratto non era stato ancora stipulato solo per ragioni strettamente dipendente dalle richieste di chiarimenti inerenti il testo della convenzione da stipulare che, alla luce dell’esame degli atti e elaborati prodotti nell’ambito della proposta di project, risultano essere state giuste precise e più che fondate.
Contrariamente a quanto vorrebbe poi l’appellante il fatto che, dopo l’aggiudicazione provvisoria, in data 15 luglio 2016 fosse stata consegnata in via d’urgenza la concessione è un ulteriore elemento diretto a far precostituire una situazione di fatto comunque favorevole alla ricorrente.
Come già sottolineato al punto 2.§.2.2. esattamente il TAR ha dunque escluso la spettanza dell’indennizzo, in quanto proprio per il complesso degli elementi sopra evidenziati, ai sensi dell’art. 21 quinquies, comma 1-bis,portano a dover escluderne la relativa spettanza in ragione “… sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico”.
Infine, deve escludersi l’applicabilità nel caso di specie dell’art. 11, comma 9 dell’abrogato D.lgs. 163/2006 che, in base alla lettera della norma, riguardava esclusivamente lavori, servizi e forniture ma non le concessioni (ma sul punto vedi infra sub 3.§.).
2.§.2.8.8. E’ altresì del tutto evidente l’incongruità dell’affare posto in gara, a cagione delle incertezze di un rapporto concessorio fondato su un incerto numero delle lampade e dei contratti di utenza in essere, a fronte del quale era posto un canone che poteva risultare del tutto sproporzionato rispetto ai ricavi.
In conseguenza dell’evidente impossibilità di assumere un rischio eccessivo non meraviglia il fatto che non vi fossero state altre offerte.
In definitiva sulla seconda rubrica d’appello, deve concludersi che l’insieme delle diverse circostanze e dei comportamenti posti al centro del provvedimento di revoca portano a dover ritenere corretta la sentenza nella parte in cui ha concluso per la legittimità della revoca dell’aggiudicazione.
2.§.3. Con l’ultima rubrica l’appellante lamenta l’erroneità dell’accoglimento solo parziale dei motivi aggiunti. Il Tar avrebbe accolto la richiesta di annullamento relativa “… alle parti con cui il Provvedimento del Comune di Napoli 5 giugno 2018 ha ordinato alla ricorrente la restituzione dell’importo di euro 5.907.945,21”.
Tuttavia, mentre in motivazione si sarebbe affermata la legittimità delle ulteriori richieste all’Amministrazione, consistenti della consegna dei locali e della documentazione cartacea ed informatica(quella esistente), con uno stridente contrasto ed un’ineliminabile contraddittorietà nel dispositivo si sarebbe comunque esteso l’annullamento alla richiesta di “riconsegna entro dieci giorni della ricezione del provvedimento dei locali detenuti all’interno dei Cimiteri Cittadini”.
L’assunto va respinto.
Una volta accertata la legittimità della revoca, non vi sono dubbi che tutti i locali dei cimiteri, alla cui conduzione la non ha più alcun titolo, debbano essere restituiti.
Contrariamente a quanto vorrebbe l’appellante, una volta accertata la legittimità della revoca, è conseguente affermare la legittimità della richiesta del Comune volta alla restituzione dell’anagrafe cartacea e digitale, ivi comprese tutte le risultanze anagrafiche delle attività svolte dalla società in esito alla consegna anticipata nei periodi per i quali le spetta comunque il canone concessorio previsto in sede di offerta (al riguardo vedi amplius anche il punto che segue).
2.§.4. In definitiva l’appello della è infondato e deve essere respinto.
3.§. Per quanto riguarda l’appello n. 10.566/2018 del Comune di Napoli si osserva quanto segue.
3.§.1. Con il primo motivo il Comune lamenta l’erroneità della sentenza con cui il TAR ha annullato la richiesta di restituzione dell’importo di € 5.907.945,21 conseguito dalla medio tempore per la gestione del servizio.
Il Tar Campania ha quindi affermato che le richieste del Comune di Napoli sarebbero state legittime perché riferentesi ad un’attività che si era svolta sul presupposto del provvedimento cautelare del Consiglio di Stato sul ricorso avverso la revoca, la cui domanda cautelare era stata denegata in primo grado dallo stesso TAR Campania.
Il corrispettivo dovuto dalla , in base all’offerta di gara (€/anno 3.600.000,00 oltre Iva) sarebbe stato calcolato dall’inizio dell’esecuzione anticipata dell’affidamento dall’1-8-2016 al 23-3-2018 (data della revoca) e quindi quantificato in proporzione in €5.907.945,211.
aveva svolto un’attività in veste di concessionario nei confronti degli utenti e aveva raccolto contratti per il servizio reso, per cui sarebbe stata tenuta a versare i canoni di concessione dovuti in forza dello stesso offerta presentata.
La sentenza non esattamente afferma che le precedenti convenzioni riconoscevano al Comune un canone commisurato al consumo di energia elettrica di tutti gli spazi cimiteriali (circa 50.000 euro annui), mentre i reali proventi di tale servizio si aggiravano sull’importo di € 300.000 annui (oltre Iva), per cui partendo da questa errata percezione del servizio e dell’ammontare economico del canone, il primo giudice avrebbe considerato sproporzionata o illegittima la richiesta del Servizio Cimiteri Cittadini di pagamento.
La richiesta di € 5.907.945,21 — formulata sulla base del corrispettivo offerto dalla in sede di gara di project financing proposta di € 3.600.000,00 oltre Iva, quale canone annuo forfettario — teneva conto solo dei giorni effettivi in cui avrebbe svolto il servizio col supporto di idonei titoli autorizzativi.
La avrebbe gestito il servizio (e ad incassato compensi) in maniera legittima e pertanto non sarebbe tenuta a restituire i corrispettivi percepiti nel periodo di prorogatio.
Il Tar non avrebbe considerato che la richiesta del Comune sarebbe nata dall’inadempimento dell’obbligo di pagamento del canone ripetutamente sollecitato alla , la quale ha ritenuto che il canone dovesse essere indissolubilmente collegato alla stipula del contratto di concessione mentre il pagamento sarebbe rientrato invece negli obblighi prestazionali offerti dall’aggiudicatario anche nelle condizioni di esecuzione anticipata in cui .
Inoltre la avrebbe spontaneamente riconosciuto in favore del Comune di Napoli la somma di €. 1.500.000,00, oltre Iva, “quale primo acconto sul canone concessorio per l’anno 2017”, ma solo dopo la revoca dell’aggiudicazione, nonché dopo le prime pronunce sfavorevoli dei giudizi amministrativi proposti (ordinanza TAR n.763/2018 del 23/05/2018 e decreto Consiglio di Stato n. 4706/2018 del 12/06/2018).
Infine il Comune assume che la somma richiesta ricadrebbe nel previgente assetto normativo di cui all’art. 11, comma 9 del D.lgs. n. 163/2006.
L’assunto è fondato nei sensi che seguono.
Innanzitutto, come già accennato al punto 2.§.2.8.7., l’art. 11, comma 9 dell’abrogato D.lgs. 163/2006 non ha alcun rilievo nel caso di consegna anticipata di un contratto di concessione.
Ostano all’applicazione in via analogica della detta norma sia ragioni di carattere assolutamente letterale, dato che il precetto riguarda specificamente i lavori, i servizi e le forniture, e dunque esclude le concessioni, sia considerazioni di natura sistematica, in quanto la concessione abbraccia un fascio complesso di obbligazioni autonome, che sono svincolate da una direzione dell’esecuzione, per le quali resterebbe oltremodo difficile, se non impossibile, andare ad individuare, e scindere, le singole prestazioni da rimborsare all’affidatario ed a quantificare gli importi incassati in via provvisoria da restituire all’Amministrazione.
In assenza di una norma ad hoc deve dunque affermarsi che, per la natura complessa della concessione, la consegna d’urgenza – qualora sia accettata — non possa che avvenire sulla base dell’offerta e costituisca sostanzialmente una anticipata esecuzione degli obblighi spontaneamente assunti in gara.
Certamente in tale sede possono essere date alle specifiche indicazioni di servizio, ma con la consegna anticipata di un contratto di concession, si pongono a carico del concessionario tutti gli obblighi — liberamente assunti in gara nei confronti della stazione concedente – di carattere operativo e funzionale e quelli concernenti l’integrale obbligo pro quota del pagamento alla stazione concedente dei relativi canoni.
Se, in mancanza della sottoscrizione del contratto di appalto, l’accettazione da parte del concessionario dell’esecuzione anticipata implica, a partire dal relativo verbale, la piena attuazione di tutte le obbligazioni contenute nell’offerta, erroneamente la assume dunque che la corresponsione dei canoni concessori non era dovuta in mancanza del contratto di concessione.
infatti ha operato sulla base della immissione anticipata in via di urgenza nella gestione del servizio sotto riserva di legge, che poi si è protratto di fatto per molti mesi anche a cagione dei suoi comportamenti che non avevano posto rimedio all’opacità ed all’indeterminatezza dello schema di atto concessorio.
Peraltro il comportamento dell’Amministrazione comunale, precedente e successivo ai fatti, nell’intera vicenda non è affatto connotato da alcun fumus persecutionis
.
Per questo, relativamente all’importo dei canoni dovuti, se contrariamente a quanto vorrebbe la non poteva più farsi riferimento ai vecchi contratti con i precedenti concessionari, per converso al Comune non spettava la restituzione delle somme incassate nel periodo della “provvisoria gestione d’urgenza” dalla Società.
L’intervento della predetta misura cautelare non era titolo autonomo di obbligazione e quindi non mutava la natura giuridica dei reciproci obblighi in essere.
Per cui, con l’ordinanza di sospensione della revoca del Consiglio di Stato, riprendeva efficacia la pregressa consegna d’urgenza, vale a dire era il titolo originario per la gestione “provvisoria”, per cui in sostanza:
— l’Amministrazione comunale ha diritto ad ottenere il pagamento di tutti i canoni concessori per tutto il periodo della gestione della tra il 15 luglio 2016 (data dell’affidamento d’urgenza) fino al momento dell’interruzione del servizio dato in concessione ed al termine della gestione provvisoria la restituzione di tutto il data-base delle utenze(comprensivo cioè dell’anagrafe cartacea e digitale ed altresì, come visto, di tutte le risultanze anagrafiche delle attività di accertamento svolte dalla Società);
— e per converso la resta legittima titolare delle somme percepite e quindi non deve restituire le somme incassate per le relative utenze per tutto il periodo che va dalla consegna d’urgenza al 5 marzo 2019 (giorno successivo alla pubblicazione del dispositivo della presente sentenza), senza distinzione alcuna relativamente ai singoli periodi di prestazione.
Sotto quest’ultimo profilo poi — oltre che generica, priva di prova e contrastante con la documentazione in atti — è comunque irrilevante l’affermazione secondo cui la società sarebbe stata ammessa solo a porzioni estremamente circoscritte del parco cimiteriale napoletano, per cui non avrebbe potuto gestire la totalità dei cimiteri.
Infatti, una volta presentata l’offerta ed accettata la consegna anticipata del servizio, ad esempio le condotte ostruzionistiche perpetrate dalle Arciconfraternite e delle cappelle private costituivano un ordinario rischio del concessionario, di cui lo stesso in quanto promoter professionale era – o avrebbe dovuto essere — ab origine edotto di tali possibili perdite di ricavi.
In definitiva la pretesa avanzata dal Comune di Napoli al pieno pagamento dei canoni concessori, è del tutto legittima ed anzi è proprio diretta ad evitare responsabilità erariale per il Comune di Napoli a causa del mancato incasso dei relativi importi.
3.§.2. Con il secondo capo di doglianza il Comune lamenta una palese svista tra la motivazione ed il dispositivo della sentenza perché il TAR , nel delibare i motivi aggiunti, mentre da un lato avrebbe ritenuto legittime le richieste dell’Amministrazione, consistenti nella consegna dei locali e della documentazione cartacea e informatica, nel dispositivo contraddittoriamente ha annullato il provvedimento del Comune di Napoli 5 giugno 2018 (PG/2018/509681) che concerneva la richiesta di liberare tutti i locali, ormai occupati sine titulo per attività di tipo commerciale, finalizzate alla sottoscrizione dei contratti con l’utenza nei Cimiteri cittadini oggetto della concessione, ma che non rientravano, né rientrano nella concessione da affidare.
Tali immobili non sarebbero stati quelli necessari alla gestione del servizio dell’illuminazione votiva ed ambientale (cabine elettriche, locali impianti, ecc.) ufficialmente consegnati a , la cui riconsegna presupporrebbe un’attenta calendarizzazione per impedire l’interruzione del servizio, ma riguardavano altri locali (alcuni successivamente comunque restituiti in data 18/06/2018 ), ma altri immobili per i quali l’amministrazione richiede un preciso comando in tal senso.
L’assunto merita adesione nei sensi e nei limiti che seguono.
Per il medesimo ordine di considerazioni di cui anche al punto 2.§.3., deve infatti affermarsi in linea di principio che, una volta riconosciuta la legittimità della revoca e quindi decaduto l’affidamento in via d’urgenza, la società appellante non ha alcun titolo all’utilizzo di alcun bene conferito in occasione della consegna della gestione anticipata della concessione.
Pertanto se è già avvenuta la restituzione delle chiavi di molti locali precedentemente detenuti, nulla quaestio, madovranno comunque essere restituiti tutti gli altri spazi, quali gli uffici di Pianura, di San Giovanni a Teduccio nonché — previ gli opportuni e necessari accordi con l’Amministrazione che impediscano l’interruzione del servizio — i locali tecnici presso il Cimitero del Pianto a Poggioreale per apparecchiature elettroniche utilizzate per la telegestione degli attuali impianti.
3.§.3. Il ricorso del Comune è dunque fondato e deve essere accolto.
4.§. In conclusione l’appello della deve essere integralmente respinto e, per contro, l’appello del Comune di Napoli deve invece essere accolto e per l’effetto, in riforma parziale della sentenza impugnata, nei limiti e nei sensi di cui alla motivazione di cui sopra, i motivi aggiunti di primo grado devono essere respinti.
Le spese del doppio grado, secondo le regole generali, seguono la soccombenza e sono liquidate in € 8.000,00 oltre agli accessori come per legge, in favore del Comune di Napoli.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando:
1. Riunisce ai sensi dell’art. 70 c.p.a. gli appelli, come in epigrafe proposti.
2. Respinge il ricorso n. 10002/2018, proposto da S.p.A.;
3. Accoglie il ricorso n. 10566/2018, proposto dal Comune di Napoli e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge i motivi aggiunti di primo grado nei sensi e nei modi di cui sopra.
4. Condanna S.p.A. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio che vengono liquidate in complessivi € 8.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore
Fabio Franconiero, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
Angela Rotondano, Consigliere
L’ESTENSORE (Umberto Realfonzo)
IL PRESIDENTE (Carlo Saltelli)
IL SEGRETARIO

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Sereno Scolaro

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