Cassazione civile, Sez. lav., 7 marzo 1986, n. 1531

Norme correlate:
Art 2094 Regio Decreto n. 262/1942
Art 2222 Regio Decreto n. 262/1942

Massima:
Cassazione civile, Sez. lav., 7 marzo 1986, n. 1531
Il criterio di differenziazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato risiede nel fatto che nel primo oggetto della prestazione è il risultato di un’attività organizzata che il prestatore d’opera si impegna a fornire con i mezzi che ritiene più opportuni; mentre nel secondo è la prestazione delle energie lavorative che il prestatore d’opera pone a disposizione del datore di lavoro ed effettua sotto le direttive, la vigilanza e il controllo di quest’ultimo nell’ambito dell’organizzazione dell’impresa. (Nella specie la Suprema Corte ha cassato per vizio di motivazione la pronuncia del giudice del merito il quale aveva qualificato come appalto il rapporto tra un comune ed un operaio cantoniere senza tener conto che l’ampiezza e complessità della manutenzione delle strade e dei cimiteri municipali nonché la mancanza di una seppure rudimentale organizzazione d’impresa non consentivano di identificare l’oggetto della prestazione nel risultato di una attività organizzata, bensì deponevano in favore della natura subordinata del rapporto).

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. lav., 7 marzo 1986, n. 1531
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Francesco GRIMALDI Presidente
” Ettore DELLA TERZA Consigliere
” Francesco FRISINA Rel. ”
” Michelangelo D’ALBERTO ”
” Vincenzo BALDASSARRE ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
MANNI ANGELO elett. dom.to in Roma p.za Rinascimento 24 presso l’avv.
Adriano Cerquetti, che lo rappresenta e difende per procura speciale
a margine del ricorso;
Ricorrente
contro
COMUNE DI MASSA MARTANA, elett. dom.to in Roma presso la cancelleria
della Suprema Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv.
Renato Cesarini per procura speciale in calce alla copia notificata
del ricorso;
Controricorrente
per l’annullamento della sentenza del Tribunale di Perugia del
16-10-81 DEP. 11-11-81 N. 98-80 R.G.;
udita, nella pubblica udienza del 29-3-85, la relazione della causa
svolta dal Consigliere Relatore Dott. Francesco Frisina;
udito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Pietro Paolucci
che ha concluso: rigetto del ricorso;
FATTO
Con sentenza del 3 luglio 1980 il Pretore di Todi, accogliendo la domanda proposta da Angelo Manni con ricorso del 5 maggio 1976, ritenendo accertato che l’attore avesse lavorato ininterrottamente dal 1938 al febbraio 1976 al servizio del Comune di Massa Martana e che il rapporto fosse stato per tutto il tempo di lavoro subordinato, anche se non vi era stata una formale assunzione e le mansioni del prestatore rispetto alle originarie (cantoniere) erano mutate da molti anni (addetto alla cura di strade e cimiteri), condannava il predetto Comune, in persona del sindaco in carica, al pagamento di complessive lire 10 milioni dovute all’ex dipendente a titolo di differenze salariali e indennità di anzianità. La soccombente amministrazione proponeva appello. Sosteneva che il Manni era stato cantoniere comunale avventizio sino al 1948, quando era stato licenziato per la soppressione del posto da lui occupato e liquidato delle sue spettanze, e perciò nel periodo successivo, come da regolari delibere della giunta municipale n 23 del 21 aprile 1948 e n. 161 del 31 dicembre 1962 e secondo l’oggetto e le modalità specificati in apposito capitolato, era intervenuto un nuovo rapporto di carattere autonomo, qualificabile di appalto. L’appellante si doleva che il primo giudice avesse basato la sua contraria decisione, che considerava il rapporto di lavoro in contestazione di natura subordinata, unico ed ininterrotto nella lunga indicata durata, su elementi scarni ed evanescenti, e non avesse invece valutato i dati forniti dalla documentazione acquisita agli atti che avrebbero consentito la configurabilità del rapporto di lavoro autonomo nei termini prospettati nelle sue difese, e chiedeva quindi che la domanda del Manni venisse rigettata e, comunque, i presunti crediti fossero dichiarati prescritti. Il Tribunale di Perugia con sentenza depositata in data 11 novembre 1981 riteneva fondato il gravame e rigettava la domanda del Manni, osservando che l’attività di costui risultava essersi svolta in aderenza agli obblighi contrattuali dettagliatamente descritti nel capitolato di appalto ed al di fuori dei vincoli che caratterizzano il rapporto di lavoro subordinato. In particolare, il prestatore d’opera non era obbligato a rispettare un orario di lavoro e si era avvalso anche del lavoro dei propri figli per conseguire il risultato, al quale si era impegnato, di assicurare la manutenzione di strade e cimiteri. I termini della questione non cambiavano per la circostanza che le modeste attrezzature, quali pale e picconi, erano previsti a carico dell’amministrazione comunale e non del gestore del servizio in appalto. Avverso questa sentenza il Manni ha proposto ricorso per cassazione deducendo un unico motivo di annullamento. L’intimata Amministrazione ha resistito con controricorso.
DIRITTO
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia nella sentenza impugnata, violazione degli artt. 116 cod. proc. civ., 2697 e 2721 Cod. Civ. e dei principi giuridici in materia di prova, nonché vizio di motivazione in relazione alle contraddizioni, incongruenze e lacune dell’iter logico-giuridico seguito dal Tribunale nell’accertamento dei fatti, con omissione di valutazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.). Le censure del ricorrente si accentrano e convergono sull’essenziale rilievo che il giudice d’appello, nel negare l’esistenza del controverso rapporto di lavoro subordinato (già ritenuta accertata dal Pretore), abbia tratto gli elementi del proprio convincimento esclusivamente da un atto formale, quale il c.d. capitolato d’appalto, peraltro, predisposto unilateralmente dalla P.A. al solo scopo (cosi dichiarato apertamente in una delle delibere municipali che vi seguirono, datata 28 gennaio 1955) di evitare, regolando il rapporto nella forma dell’appalto, la possibilità della insorgenza di un rapporto di impiego, e non abbia invece tenuto conto delle reali modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative rese dal Manni e delle circostanze documentate che confermavano la natura subordinata di tali prestazioni, né abbia valutato il comportamento del Sindaco in giudizio che chiamato a rispondere, in sede di interrogatorio formale, a specifici quesiti sui fatti, non si era presentato in udienza ingiustificatamente. La doglianza nel complesso si appalesa fondata. È noto che il criterio di differenziazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato risiede nel fatto che nel primo oggetto della prestazione è il risultato di un’attività organizzata che il prestatore d’opera si impegna a fornire con i mezzi che ritiene più opportuni; mentre nel secondo oggetto è la prestazione di una energia lavorativa che il prestatore d’opera pone a disposizione ed esplica come elemento inserito nella organizzazione dell’impresa, secondo le direttive e sotto la vigilanza ed il controllo del datore di lavoro. Il giudice, quindi, chiamato ad accertare se un determinato rapporto dedotto in giudizio realizzi gli estremi di una delle due anzidette figure negoziali, deve compiere una indagine accertata e specifica al fine di identificare, al di là di quegli elementi che prima facie, sia pure desumibili dal contenuto di un contratto scritto in relazione alla definizione giuridica che le parti allo stesso abbiano dato, potrebbero militare a favore di una soluzione piuttosto che per l’altra, gli elementi essenziali sui quali si fonda la distinzione tra locatio operis e locatio operarum e specialmente se possa ravvisarsi in qualche modo l’assoggettamento del prestatore d’opera al potere direttivo dell’imprenditore quale conseguenza immediata dell’inserimento del medesimo nell’ambito della struttura aziendale, elementi che rappresentano il lato determinante della discriminazione concettuale in questione. Perciò è evidente che sempre possano essere assoggettati a censura di legittimità i criteri astratti e generici seguiti dal giudice per l’applicazione al caso concreto delle norme relative alle due forme negoziali, ma che neppure esula dallo stesso giudizio di legittimità la valutazione fatta dal giudice sulle circostanze di fatto che hanno condotto alla qualificazione del rapporto, allorquando venga anche in discussione, come nel caso in esame, la completezza indispensabile dell’analisi critica delle fonti probatorie. La concreta fattispecie prospetta la posizione, invero singolare, di un cantoniere comunale avventizio, rimasto in tale qualifica operaia per un decennio (dal 1938 al 1948) senza che fosse intervenuto mai un regolare atto di assunzione e, poi, però, formalmente dimesso dall’impiego per soppressione di posto, pur continuando di fatto nella sua attività lavorativa mai interrotta, investito altrettanto formalmente, mediante ricorso a “capitolato di appalto”, dell’incarico di provvedere autonomamente alla manutenzione oltre che delle strade municipali anche dei cimiteri dislocati nelle frazioni, incarico rinnovato sino al 1976 (quando verosimilmente il prestatore d’opera aveva raggiunto i limiti dell’età del pensionamento). Ora, si sa benissimo che i cantonieri (statali, provinciali o comunali) sono agenti tecnici stradali od operai addetti alla sorveglianza e alla manutenzione di determinati tratti di strada. In particolare le funzioni loro devolute per la manutenzione sono diverse e nell’ambito di un piccolo comune possono anche essere esplicate da una sola persona, la quale abbia altresì il compito di attendere alla manutenzione dei cimiteri ed abbia la facoltà di avvalersi della collaborazione dei propri familiari, ma richiede pur sempre un’adeguata organizzazione che faccia capo alle pubbliche amministrazioni interessate (che non consiste solamente e tanto nella somministrazione dei manuali arnesi di lavoro, quali scope o picconi e pale) oppure a quella sostitutiva di una impresa appaltatrice che sia in grado di assicurare a proprio rischio il risultato. Infatti, il servizio di manutenzione delle strade pubbliche è abbastanza complesso ed impegna chi vi è addetto in operazioni varie: sgomberare le strade dal fango e dalla polvere, appianare gli avvallamenti che venissero a formarsi, spargere ghiaia, scavare le fosse laterali e tenere pulite le chiaviche, riferire qualsiasi guasto alla strada, ed alle linee telegrafiche e telefoniche, vigilare che non vengano commessi furti di materiale o danneggiate le piantagioni lungo la strada ecc. Dunque, in termini di ragionevolezza, non sembra agevole supporre che l’amministrazione del comune di Massa Martana, a prescindere da quanto emerge da un’attenta lettura del capitolato di appalto prodotto in atti che la gravata decisione considera sufficiente a fugare ogni perplessità circa il carattere autonomo attribuito al rapporto in contestazione, abbia effettivamente inteso affidare il servizio della manutenzione di strade e cimiteri municipali, con tutte le inerenti responsabilità, ad un singolo operaio, ex cantoniere avventizio, che, sprovvisto di una sia pur rudimentale organizzazione di impresa, dovesse agire al di fuori di ogni direttiva o ingerenza o vigilanza dell’apparato burocratico dell’Ente locale. Sennonché il Tribunale – nel rilevare che l’attività in cui si sarebbe tradotta di fatto quella assunta in regime contrattuale di appalto, rispondesse a tutti gli elementi costitutivi della prestazione di opera autonoma – non si è curato di svolgere al riguardo la benché minima verifica sulla scorta delle risultanze probatorie acquisite. E, tra gli altri documenti prodotti agli atti del giudizio – sottolinea efficacemente il ricorrente – vi era una lettera del servizio di vigilanza dell’INPS, in data 30.10.1961, che confermava come il Comune di Massa Martana avesse regolarmente versato in quel periodo i contributi obbligatori per il Manni, ed ancora una lettera in data 28.4.1951 dello stesso Comune con la quale in sostanza si riconosceva al Manni la qualifica di lavoratore subordinato e gli si negava l’indennità di caropane per l limitatezza dell’orario di lavoro prestato. In conclusione il ricorso non può che essere accolto, e la sentenza impugnata deve essere cassata con il rinvio della causa ad altro giudice di pari grado perché la decida nell’osservanza dei principi e dei rilievi innanzi esposti e prendendo in considerazione gli elementi probatori che comunque afferiscono agli aspetti qualificanti del rapporto intercorso tra le parti. Si demanda altresì al giudice di rinvio – che si designa nel Tribunale di Terni – il regolamento delle spese di questa fase processuale.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa al Tribunale di Terni, il quale provvederà anche a regolare le spese del giudizio di cassazione. Roma, 29 marzo 1985

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