Cassazione civile, Sez. II, 5 marzo 1986, n. 1388

Norme correlate:
Art 1145 Regio Decreto n. 262/1942

Massima:
Cassazione civile, Sez. II, 5 marzo 1986, n. 1388
A norma dell’art. 1145, l° comma, c.c., il possesso dei beni appartenenti al demanio dello Stato e di quelli appartenenti alle province ed ai comuni e soggetti al regime dei beni demaniali, è tutelata, in via eccezionale e per ragioni di ordine pubblico, nei rapporti tra privati, con l’azione di spoglio (art. 1145, 2° comma c.c.) quando sui beni stessi si esplichino atti di godimento analoghi a quelli che si eserciterebbero su cose di pertinenza esclusiva, mentre l’azione di manutenzione è consentita soltanto se si tratta di esercizio di facoltà le quali possono formare oggetto di concessione da parte della P.A. (art. 1145, 3° comma).

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. II, 5 marzo 1986, n. 1388
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati
Dott. Corredo MARZIANO Presidente
” Silvio PIERI Consigliere
” Antonio BUCCARELLI ”
” Giuseppe ROTUNNO Rel. ”
” Aldo MARCONI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
PIZZICHEMI Fortunato Carmelo, nato a Montebello J. il 21.3.1938 ivi
res. fraz. Fossato, via IV novembre, FOTI Natale ,FOTI Alfredo e ZEMA
Alfredo e ZEMA Consolato; elett. dom. a Roma, via Sistina, 123,
presso l’avv.to Alberto Panuccio che li rapp. e difende insieme
all’avv. Cesare Pannuti per delega a margine del ricorso.
Ricorrenti
contro
Antonino MANTI MAZZACUVA, res.te in Montebello Jonico, P.zza F.ndo
Mazzacuva n. 1; elett. dom. a Roma via Madonna del Riposo, 13, presso
lo studio dello avv. Antonino Battiati, rapp. e difeso dall’avv,to
Natale Altomonte per delega in calce al controricorso.
Controricorrente
per l’annullamento della sentenza del Trib. di Reggio Calabria del
5.4.84 – 7.5.84.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
12.6.85 dal Cons. Rotunno.
Per il ricorrente è comparso l’avv. Panuccio che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.
Udito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dottor Pietro Paolucci
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
Con ricorso del 24 ottobre 1974, Antonino Manti chiedeva al Pretore di Melito Porto Salvo di essere reintegrato nel possesso di una zona del suo fondo sito in Montebello Ionico, di cui assumeva essere stato spogliato ad opera di Fortunato Carmelo Pizzichemi. Esponeva il manti che il Pizzichemi, per congiungere il proprio terreno a un tronco dismesso della vecchia strada provinciale, aveva iniziato a costruire un ponticello al di sopra di un piccolo torrente, occupando con un’impalcatura di tavole una parte del fondo di esso ricorrente.
Il convenuto deduceva l’assoluta infondatezza del ricorso, assumendo che la parte di terreno, sulla quale intendeva costruire il ponticello, era di proprietà e nel possesso della Provincia di Reggio Calabria, che aveva regolarmente autorizzato l’opera.
Nel corso della trattazione del merito, al giudizio veniva riunito il procedimento promosso con ricorso del 22 gennaio 1975 da Natale Foti, Alfredo Foti, Fortunato Carmelo Pizzichemi, Alfredo Zema e Consolato Zema: costoro, esponendo che il Manti aveva scaricato, lungo la vecchia strada, materiale vario, che impediva l’accesso ai loro rispettivi terreni, chiedevano che fosse ordinato lo sgombero del materiale insieme col ripristino dello stato dei luoghi e che il Manti fosse condannato al risarcimento dei danni.
Durante l’ispezione giudiziale, nella quale si accertava l’effettiva presenza di terreno di risulta, però senza ostacolo per il comodo transito degli automezzi, il Manti dichiarava trattarsi di materiale scaricato abusivamente da terzi.
Il Pretore, con sentenza 20 ottobre 1978, in accoglimento del ricorso del Manti, ordinava al Pizzichemi la demolizione delle opere eseguite e la reintegrazione del ricorrente nel possesso. Respingeva invece il secondo ricorso.
Avverso tale sentenza proponevano appello Fortunato Foti, Alfredo Zema e Consolato Zema, lamentando, in riferimento al primo procedimento, che il Pretore non avesse considerato trattarsi di opere regolarmente autorizzate dall’Amministrazione Provinciale, peraltro su terreno non posseduto dal ricorrente, e che, in ogni caso, quella piccolissima parte di terreno non era nemmeno suscettibile di possesso tutelabile; in riferimento al secondo procedimento, lamentavano il mancato accoglimento della richiesta di prova testimoniale formulata in sede di precisazione delle conclusioni e, nel merito, l’omessa valutazione delle dichiarazioni del Manti sull’avvenuta discarica abusiva del materiale. Gli appellanti, in sede di precisazione delle conclusioni, invocavano, infine, in via subordinata, l’ammissione di consulenza tecnica, per stabilire sia la natura demaniale del suolo, di cui l’appellato vantava il possesso, sia l’esecuzione dell’opera del punto indicato dall’Amministrazione Provinciale.
Il Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza 7 maggio 1984 rigettava l’impugnazione, osservando nella motivazione relativamente al primo dei due procedimenti riuniti dal Pretore:
a) che nelle azioni possessorie, le quali trovano i loro presupposti nell’esistenza di un possesso, anche se illegittimo o abusivo, e nella realizzazione di un fatto configurabile come spoglio, è superflua ogni indagine sul titolo, e che nella specie apparivano estranee alla materia strettamente possessoria le doglianze rivolte contro la mancata valutazione del terreno adiacente al dismesso tronco di strada come appartenente alla Provincia e inoltre del rilascio di autorizzazione da parte dell’Amministrazione provinciale per la costruzione di un accesso al fondo del Pizzichemi;
b) che era risultato dalle raccolte deposizioni di testi il pieno e indisturbato possesso esercitato dal manzi sulla zona in contestazione e, dal prodotto materiale fotografico, l’idoneità delle opere e degli scavi eseguiti dal Pizzichemi a concretare gli estremi dello spoglio, poggiando i sostegni del ponticello sul terreno, con la conseguente ostruzione di uno spazio, sia pure modesto.
Considerava poi, nella motivazione concernente il secondo procedimento, che il materiale, di cui era stato lamentato lo scarico, non impediva il comodo transito degli automezzi, secondo quanto era risultato dall’ispezione dei luoghi.
Fortunato Carmelo Pizzichemi, Natale Foti, Alfredo Foti, Alfredo Zema e Consolato Zema hanno proposto ricorso per cassazione, seguito dal controricorso del Manti.
DIRITTO
Col primo motivo i ricorrenti, denunziando, in riferimento all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione degli artt. 1145, 822, 824 c.c., 22 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. F e vizio di motivazione, deducono che, avendo essi ottenuto dall’Amministrazione Provinciale la relativa concessione, avevano realizzato il diretto accesso ai loro terreni mediante il collegamento con un ponticello sovrastante un torrentello tra il relitto della strada provinciale e le loro proprietà. Poiché la tutela possessoria invocata dal Monti si riferiva, secondo gli stessi ricorrenti, a una piccola zona di terreno di metri 1,40 X metri 1,30, costituita da una scarpata naturale della strada provinciale oppure da una sponda del torrentello, i giudici di appello, per giudicare sulla proponibilità dell’azione possessoria, avrebbero dovuto accertare la natura demaniale del bene. Si addebita pertanto agli stessi giudici di aver omesso al riguardo ogni motivazione e di aver trascurato le numerose acquisizioni probatorie circa la demanialità, per essersi limitati ad asserire che nel giudizio possessorio conta la situazione di fatto violata, senza tener conto che non è accordata la tutela possessoria là dove il potere di fatto si eserciti illegittimamente o abusivamente su un bene demaniale.
La censura è senza pregio.
A norma dell’art. 1145 – 1 comma c.c., il possesso dei beni, appartenenti al demanio pubblico dello Stato e di quelli appartenenti alle province o ai comuni e soggetti al regime dei beni demaniali, è senza effetto. Tuttavia, in relazione a tali beni, in via eccezionale e per ragioni di ordine pubblico, nei rapporti tra privati è concesso l’azione di spoglio (art. 1145 – 2 comma c.c.), mentre quella di manutenzione è consentita soltanto se si tratta di esercizio di facoltà, le quali possono formare oggetto di concessione da parte della pubblica amministrazione (art. 1145 – 3 comma). Pertanto, rispetto a cose fuori commercio, quali i beni demaniali e quelli soggetti al regime demaniale, è ben configurabile, attraverso l’azione di reintegrazione, la tutela possessoria a favore del privato e nei confronti di altri privati, quando sui beni stessi si esplichino atti di godimento analoghi a quelli che si eserciterebbero su cose di pertinenza esclusiva.
Ne consegue che, una volta che sia accertata da una parte l’esistenza del presupposto del possesso in chi invoca la tutela possessoria e dall’altra l’esistenza degli estremi dello spoglio, diviene irrilevante, di fronte all’azione di reintegrazione, la natura demaniale del bene, la quale non può in alcun modo incidere negativamente sulla proponibilità dell’azione e quindi sulla concessione della tutela.
Ciò in effetti ritennero i giudici di appello, nell’affermare l’assoluta preminenza della tutela possessoria in presenza di un possesso tutelabile, accertato con valutazione di merito sulla base degli atti di godimento compiuti, e di un fatto configurabile come spoglio, in quanto implicante una concreta lesione nella sfera del possesso.
Ne conseguì ovviamente la superfluità di ogni altra indagine e, nello stesso tempo, il riconoscimento della non attinenza, alla materia strettamente possessoria, delle questioni concernenti la qualifica del terreno come demaniale.
Col secondo motivo i ricorrenti, denunziando, in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., violazione dell’art. 1145 c.c. e difetto di motivazione, assumono che si sarebbe dovuta ritenere improponibile l’azione possessoria, avendo nella specie il concessionario di un uso eccezionale su un bene demaniale agito quale “longa manus” della pubblica amministrazione e mantenuto l’esercizio dei poteri nell’ambito del conferimento.
La deduzione è senza fondamento.
Indubbiamente, la concessione di uso eccezionale di un bene demaniale attribuisce al concessionario la potestà di svolgere quelle attività e di compiere quelle opere contemplate nel decreto di concessione ed occorrenti per l’utilizzazione del bene, il cui sfruttamento si ricollega a un interesse della pubblica amministrazione.
Pertanto, ove il concessionario, nella esplicazione di tali attività, leda l’altrui possesso, l’azione possessoria è improponibile nei suoi confronti, giacché egli agisce quale “longa manus” dell’amministrazione per l’esecuzione di un atto amministrativo. Cessa invece il divieto dell’azione possessoria quante volte il concessionario stesso agisca al di fuori dei poteri conferitigli e degli obblighi imposti dalla pubblica amministrazione (Cass. 7 dicembre 1974 n. 4087).
Ma se la concessione, trasferendo al privato facoltà spettanti alla pubblica amministrazione, fa sorgere nel privato stesso un potere che questi altrimenti non avrebbe, si resta al di fuori dell’ambito della concessione, almeno per la parte in cui l’atto della pubblica amministrazione è destinato a incidere esclusivamente sull’attività privatistica, quando si tratta di rimuovere un ostacolo che si opponeva all’esercizio di un diritto o di una facoltà preesistente potenzialmente.
In tal caso, l’autorizzazione amministrativa non può pregiudicare diritti di terzi e l’attività compiuta sulla base e nell’ambito dell’autorizzazione stessa non è riferibile in alcun modo alla pubblica amministrazione.
Pertanto, tutto ciò che venne compiuto nella sfera del possesso di un altro soggetto non poteva sottrarsi alle esigenze di tutela che la legge appresta nei rapporti tra privati.
In tali sensi va corretta la motivazione dei giudici di appello in riferimento alla questione di proponibilità dell’azione possessoria, fatta rientrare dagli stessi, pur senza specifica indicazione, tra le “questioni petitorie”, che non trovano ingresso nei giudizi sul possesso.
Col terzo motivo, i ricorrenti, deducendo “violazione ed erronea applicazione dell’art. 1168 c.c. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”, denunziano: omessa ed insufficiente motivazione in riferimento alle risultanze probatorie, avendo i giudici di appello ritenuto l’esistenza di un possesso tutelabile solo in base ad alcune deposizioni testimoniali sull’utilizzazione di erbe spontanee mediante il pascolo di animali, senza fare alcun accenno al materiale documentale acquisito (atto di concessione, rapporto dell’Ufficio Tecnico dell’Amministrazione Provinciale, certificato della stessa Amministrazione relativamente all’opera realizzata, sentenza emessa in un procedimento penale a carico del Monti per il reato di danneggiamento, da cui risultava che lo stesso, non essendogli stata consentita dall’Amministrazione Provinciale l’occupazione del tratto di strada dismesso, vi aveva intrapreso abusivamente alcuni lavori); l’omessa valutazione dell’eventuale incompatibilità del possesso vantato dal Monti con l’uso della scarpata come pertinenza di bene demaniale (strada provinciale o fiume) e perciò della idoneità dell’opera realizzata (ponticello che lasciava intatta la possibilità del pascolo ) ad arrecare lesione nella stessa sfera possessoria; la totale omissione di indagine sulla sussistenza dell’”animus spoliandi”; l’omesso accertamento, nonostante l’esplicita richiesta di ispezione giudiziale e di consulenza tecnica, circa la suscettibilità della piccola zona di terreno in controversia, per ubicazione, natura e consistenza, di costituire oggetto di utilizzazione e di possesso.
La complessa deduzione non merita accoglimento.
I giudici di appello misero in evidenza i presupposti dell’azione di reintegrazione, costituiti dall’esistenza di un possesso tutelabile, anche se illegittimo o abusivo, purché avente i caratteri esteriori dell’esercizio della proprietà (o di un altro diritto penale), e da un fatto configurabile come spoglio, consistente cioè nella privazione totale o parziale del possesso, e verificarono, alla stregua delle risultanze probatorie, l’esistenza dell’uno e dell’altro presupposto.
In particolare, per l’esercizio del possesso, gli stessi giudici tennero conto delle deposizioni testimoniali, specificamente indicate nelle loro fonti e nei loro dettagli, circa l’uso che il Monti a suo piacere faceva della piccola parte di terreno, ricavandone dell’erba (venduta talvolta a terzi) e utilizzandola direttamente per il pascolo degli animali.
Dall’altro lato, tennero altresì conto, anche attraverso il materiale fotografico esaminato, dell’operata modificazione dello stato dei luoghi nella zona posseduta dal Monti e del detrimento conseguitone nella sfera possessoria del medesimo, concludendo alla fine che nella specie soccorreva la tutela invocata.
Così facendo, i giudici del merito fecero riferimento a tutto ciò che si rivelava essenziale e assorbente in relazione ai presupposti per l’esercizio dell’azione di reintegrazione nei rapporti tra privati e, nella valutazione delle risultanze probatorie, si avvalsero degli ampi poteri loro consentiti ai fini dell’utilizzazione di quelle ritenute preminenti e di maggiore efficacia, con l’esclusione, sia pure per implicito, delle altre considerate senza rilievo.
Non si appalesa perciò sindacabile sul punto il loro operato, che è sorretto da congrua motivazione e che quindi si sottrae a censura per quanto concerne la mancata ammissione di ulteriori mezzi istruttori, la cui superfluità era resa evidente dalla sufficienza degli elementi esaminati e dalla loro idoneità a costituire valida base del convincimento raggiunto.
Si osserva infine che la contestazione relativa all’”animus spoliandi”, formulata per la prima volta in questa sede, implica una questione nuova, come tale non proponibile. Infatti, nel giudizio di appello, gli odierni ricorrenti, allora nella veste di appellanti, nel contestare la esistenza di un possesso tutelabile, negarono di tale situazione giuridica sia “il corpus” sia lo “animus possessionis”, ma non estesero la loro contestazione, quanto allo spoglio, anche alla ricorrenza dell’estremo dell’”animus spoliandi”.
Con l’ultimo motivo i ricorrenti, denunziando, in riferimento al rigetto dell’azione possessoria da loro proposta nei riguardi del Monti, la violazione degli artt. 1168, 1145, 2697 c.c., nonché difetto di motivazione, in relazione con l’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., lamentano che il Tribunale di Reggio Calabria abbia affermato che il materiale collocato all’ingresso del loro fondo non impediva il comodo transito degli automezzi, omettendo al riguardo ogni motivazione ed esame, pur avendo essi richiesto l’ammissione di mezzi istruttori, per dimostrare il fatto compiuto dal Monti e l’impedimento derivatone all’esercizio del loro possesso.
Il motivo è infondato.
I giudici del merito in realtà trassero delle constatazioni risultanti dal verbale di ispezione giudiziale dei luoghi, il convincimento che nessuna ostruzione derivava dallo scarico di materiali all’ingresso del fondo degli odierni ricorrenti (chiunque ne fosse stato l’autore), tanto che non ne era impedito e risultava ugualmente comodo il transito degli automezzi. Ciò, evidentemente, rendeva superfluo ogni altro accertamento, anche senza un’esplicita pronunzia al riguardo, ed era sufficiente nello stesso tempo a sorreggere il giudizio negativo circa l’incidenza del fatto sul modo di essere del possesso e del suo esercizio.
In definitiva, il ricorso deve essere rigettato nella sua integralità, con la conseguenza della condanna dei ricorrenti, in solido, alle spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso, a favore del resistente, delle spese del giudizio di legittimità, complessivamente liquidate in lire 532.300 (di cui, lire 500.000 per onorari).
Roma, 12 giugno 1985.

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