Tempo sospeso

Tempo sospeso

Da febbraio di quest’anno, il tempo di questo Paese si è fermato nell’infuriare della pandemia Covid-19. Abbiamo assistito a situazioni eccezionali e che sembravano provenire dagli annali della storia della medicina. Confinamenti di massa, blocco dei viaggi e delle attività economiche, ospedali al collasso, creazione di lazzaretti, decine e decine di migliaia di morti con centinaia di migliaia di contagiati sicuri e qualche altro milione di probabili.
La comunità scientifica e le istituzioni preposte alla salute pubblica e dei luoghi di lavoro, dopo un iniziale periodo di generiche rassicurazioni, hanno scelto la strada della chiusura totale delle scuole e delle fabbriche, salvando poche filiere considerate essenziali.
Ed oggi, compiuta la prima decade di maggio, sulla scorta del decrescere dei colpiti dal virus e delle vittime del Covid-19, si lanciano cauti segnali di riavvio delle attività, per cercare di scongiurare il collasso delle attività economiche e produttive rimaste a lungo ferme, pur nella preoccupazione di una ripresa a breve dei contagi.
È sicuramente troppo presto per formulare previsioni riguardo all’epidemia, purtuttavia un breve bilancio di periodo ci consegna l’impressione che questa eccezionale emergenza, più che produrre soluzioni nuove in grado di orientare il Paese verso un unico obiettivo, abbia sostanzialmente amplificato inerzie, contraddizioni e criticità già presenti nella forma dello Stato, negli ordinamenti e nel tessuto produttivo e sociale.
Limitando lo sguardo ai temi che hanno come perimetro il nostro settore, tanto il sistema dei poteri e delle autonomie locali, quanto quello delle imprese funebri hanno fronteggiato – malamente – le severe prove emergenziali dell’epidemia, fratturandosi in egoismi particolaristici ed in rimbalzi di responsabilità, mentre, da parte dello Stato, la produzione normativa che ne è susseguita è stata debole e confusa, dando l’impressione che su queste materie non vi fossero indirizzi o strumentazioni definite, quando sarebbe, in gran parte, bastato partire, aggiornandole, dalle disposizioni del vecchio regolamento di polizia mortuaria del 1892 in tema di periodo d’osservazione, di trasporto funebre, di depositi temporanei e di operazioni cimiteriali.
Non è questa la sede per formulare giudizi, ma lo scopo di questo contributo è delineare alcuni versanti non risolti, sui quali sarebbe opportuno condurre una riflessione critica, per evitare di farsi trovare impreparati ad una ripresa dell’epidemia, o davanti alla prossima.
Statalismo/Regionalismo. Nelle vicende italiane, mentre la legislazione emergenziale si accaniva su diritti fondamentali della Parte Prima della Costituzione, tanto da far paventare pulsioni securitarie, sono sciaguratamente rimaste inalterate le incertezze interpretative sulla ripartizione dei poteri tra Stato e Regioni, prevista dall’oggettivamente meno fondamentale Titolo V della Parte Seconda, che non hanno certo giovato ad un efficace coordinamento degli interventi. L’evidenza che il Sars-Cov-2 attraversi i continenti, e che lo faccia con rapidità inusitate, avrebbe invece dovuto muovere ad un monitoraggio rafforzato dei fenomeni e alla pronta ed indiscussa assunzione delle misure di contrasto. Anche la polarizzazione delle competenze sanitarie emergenziali in capo ad ogni Sindaco, ad un tempo capo della comunità e funzionario statale periferico, e che pure nell’Ottocento aveva avuto molte ragioni di essere, si è infranto su evidenze di una nuova geografia, con espressioni demografiche, economiche e sociali in aree più grandi e fortemente interconnesse. Le normative statali e regionali che sono state emanate poco hanno costruito in tema di procedure e strumentazioni telematiche in grado di ricondurre ad una chiara visione d’insieme fenomeni che, invece, ogni Comune ha dovuto affrontare a suo modo, facendo solo conto sulle proprie risorse.

Prossimità/Distanza
Dopo decenni di ripetuta insistenza sul tema della rimozione della morte nelle società moderne, molto scalpore ha, invece, fatto il divieto di celebrazione dei funerali e la chiusura dei cimiteri, a testimonianza della necessità di un migliore approfondimento di quella chiave interpretativa.
Ma se i riti funebri e le sepolture (come andiamo sostenendo da anni) sono fra gli elementi su cui si fonda la coesione sociale e luogo di esercizio di diritti fondamentali, allora occorre chiedersi se questi argomenti non rivestano, al pari di altri, un ruolo importante per l’espressione in questo Paese del principio di ‘cittadinanza’.
Occorre, allora, interrogarsi circa un perdurante ideologismo, secondo il quale questi diritti possono solo esplicitarsi sola-mente nel segno dell’impresa e del profitto, come bisogni materiali rivolti ad un ‘mercato’.
Oppure, invece, se non sia opportuno approfondire, anche su un piano etico, i modi con i quali individui e famiglie, desolati da una perdita, possano trovare, nel sistema pubblico o nei corpi intermedi, già presenti nelle comunità di assistenza e di cura dei malati, elementi di prossimità effettiva e non speculativi di orientamento e di supporto.
Non pare particolarmente commendevole la storia delle recenti legislazioni regionali (cioè di enti peraltro preposti alla sanità ed all’assistenza) tutta all’insegna, diremmo, di una illusione mercatistica, né tranquillizzano i propositi (anche sensati) di procedure telematiche, che, tuttavia, portano con sé il rischio di creare un ulteriore abbandono nei confronti di coloro che hanno la sventura di soffrire un lutto, lasciandoli da soli a fronteggiare marketing aggressivi di un mercato funerario fortemente competitivo (e con scarsi controlli).

Crisi epidemica/crisi economica
Il disvelamento del Sars-Cov-2 ci ha condotti in un tempo nuovo nel quale sono cresciute le preoccupazioni riguardo alla previsione che, dopo il cavaliere della peste, fosse il turno di quello della fame. Uscendo da metafore apocalittiche, è prevedibile che, nonostante gli sforzi e le provvidenze, il Paese si avviti in una doppia crisi – ad un tempo di offerta e di domanda – eccedente le possibilità di indebitamento statale.
Sono davvero tutti da scoprire gli impatti che, l’attesa riduzione della capacità di spesa delle famiglie, avranno su un mercato notevolmente sovraffollato come quello funebre e del suo indotto? E l’ambito pubblico – già soggetto ad una perdurante crisi – potrà considerarsi al riparo di pressioni per l’abbassamento tariffario, se non per l’accesso gratuito, riguardo a prestazioni funebri e cimiteriali, da assicurare tuttavia con criteri imprescindibili di qualità e decoro?
Occorre, quindi, chieder-si fino a che punto il settore funerario potrà acconsentire a quegli sprechi e a quelle diseconomie nei quali lo hanno portato decenni di locali ‘accomodamenti’ pubblico/privato, complice anche un ordinamento mortuario obsoleto e malamente aggiustato. E se non sia invece il caso di affermare finalmente che dietro quegli stessi sprechi non vi sia una insufficiente comprensione analitica dei processi, ma la strenua difesa di prerogative, privilegi e riserve. Potremo in futuro continuate a permetterceli?
Questi mesi di sospensione tra fase 1 e fase 2 , con la riforma di settore che si trova attualmente in esame dalla Camera dei deputati e mentre il Governo – senza peraltro indicare linee di cambiamento organico – persegue, con ripetuti ricorsi alla Corte Costituzionale, un disegno di assoggettamento della materia funeraria al dettato statale, potrebbero, invece, assicurare lo spazio perché i vari soggetti, che costellano il nostro mondo e quello, non meno rilevante, dell’assistenza nell’avvicinarsi della morte e del supporto al lutto, abbiano modo di riflettere su quanto accaduto, su ciò che si appressa, e sui possibili rimedi.
Occorre trasformare questo tempo, sospeso tra tragedie passate e catastrofi annunciate, e consentire che esso venga impiegato utilmente. Pertanto, sarebbe importante che, di qui a breve, potesse svolgersi una vera e propria convocazione degli Stati generali del comparto funerario, dove le varie associazioni, al posto di affollare qui e là le varie anticamere della politica, e pensare, così, di poter ricavare marginali rendite di posizione, potessero ragionare sul cambio di paradigmi che la realtà imporrà a breve, e cercare insieme di essere le protagoniste di un effettivo stimolo al cambiamento delle arretratezze e delle maldestre opacità, che alla prova dei fatti si sono dimostrate persino funeste (come nella vicenda della inavvertita strage nelle RSA) e che ammorbano, oggi, il nostro settore.

Editoriale di Antonio Dieni, pubblicato su I Servizi Funerari 3/2020.

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Antonio Dieni

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