510 thoughts on “Elenchi risposte

  1. X Jacopo,

    La cremazione si distingue in un punto, che sembra abbastanza poco conosciuto al di fuori dell’ambiente dei gestori di impianti di incinerazione, per il quale occorre prestare particolare attenzione ai cadaveri portatori di elettrostimolatore cardiaco (pace maker), dispositivo che alle temperature di cremazione reagisce in termini esplosivi, producendo danni di notevole consistenza all’impianto e misurabili in termini di alcune centinaia di milioni di lire.

    Per altro, tale problema risulta di facile soluzione, dal momento che l’espianto del pace maker costituisce un’operazione di lieve entità e agevolmente praticabile, senza che ciò comporti manipolazioni sul cadavere particolarmente complesse.

    Il vero nodo è quello dell’informazione, siccome la normativa non prevede ancora, in modo omogeneo, a differenza di altri Stati, che il medico attesti l’inesistenza dell’elettrostimolatore cardiaco, e ciò sarebbe particolarmente auspicabile, se non altro per questa constatazione di fatto: neppure moltissimi medici sono a conoscenza degli effetti che il pace maker potrebbe provocare in occasione della cremazione.

    Sulla questione dei pace-maker, vi sono delle criticità, in quanto solo in alcune regioni, spesso con meri atti amministrativi, fanno, esplicito, riferimento ai pace-maker, anche se le prassi dei gestori degli impianti di cremazione tendano (non casualmente) a richiedere o la rimozione o una dichiarazione da cui risulti che il defunto non ne era portatore. Le motivazioni che stanno a fondamento delle posizioni dei gestori nascono sia da standard, pur se di prassi, diffusi pressoché in tutta Europa (e non solo) (sia le Linee guida dell’I.C.F. che dell’U.C.E. indicano la necessità della rimozione del pace-maker), sia per indicazioni (a volte) fornite dai costruttori dell’impianto (alcuni “manuali d’uso” forniti da qualche costruttore, dicono chiaramente che non può procedersi alla cremazione di cadaveri portatori di pace-maker, se non vi sia la previa asportazione del dispositivo.

    Le motivazioni sono, sostanzialmente, di due ordini, il primo di carattere ambientale (che, in genere, interessa di più le regioni), il secondo di carattere tecnologico. Infatti, specie nel passato, i pace-maker erano alimentati da radio-nuclidi (pace-maker di vecchia o vecchissima generazione), per cui l’eventuale cremazione potrebbe produrre l’emissione in atmosfera di radio-nuclidi (incidentalmente, la pericolosità di tali (eventuali) emissioni dovrebbe essere valutata “proporzionalmente” (come sempre in materia di inquinamento ambientale o, nello specifico, atmosferico), aspetto difficile da affrontare, mandando ancora quanto considerato all’art. 8 L. 30 marzo 2001, n. 130. Oltretutto, in alcune regioni, è stato affermato che i pace-maker alimentati da radio-nuclidi non sono più utilizzati …, il ché è anche vero per gli impianti recenti (ma ciò trascura il fatto che oggetto di cremazione non sono solo i cadaveri, appena deceduti, ma possono essere anche i resti mortali estumulati (od esumati), cioè di soggetti morti da tempo e che, astrattamente, potrebbero, allora, avere avuto l’impianto di pace-maker alimentato da radio-nuclidi (situazione di cui può anche essersi persa la memoria, anche da parte dei famigliari). Sotto il secondo profilo, il pace-maker, prevalentemente se si tratti di dispositivi non recentissimi, può essere oggetto di “esplosione” nel corso della cremazione, e questo può determinare danni, anche significativi, all’impianto di cremazione (anzi, le situazioni “peggiori” potrebbero essere quelle in cui l’esplosione non provochi un danno immediatamente rilevabile, quanto micro-fessurazioni, in particolare interessanti il materiale refrattario, che, magari sommandosi nel tempo con altre, provocano poi danni nel tempo, in quanto ciò non permetterebbe un’individuazione puntuale di responsabilità (come si avrebbe nel caso del danno immediatamente rilevabile), la quale consentirebbe un’eventuale azione risarcitoria).

    Ad ogni modo, richiamata la Legge 26 febbraio 1999, n. 42, in merito all’eventuale espianto del pace maker si ritiene debba provvedere personale con qualifica sanitaria, medico necroscopo in primis, non essendo, ancora, questa operazione legittimamente ascrivibile alle competenze del necroforo addetto al trasporto, come invece, accade, già in molte realtà locali per la puntura conservativa.

  2. X Gisella,

    …poi mi accusano di esser noioso e pedante, ma sono d’obbligo alcuni chiarimenti:

    ancora oggi non esiste, in sede legislativa, una trattazione organica del sepolcro e delle sue relative di gestione, inizialmente affidate alla tradizione popolare e legate al sentimento di pietà verso i defunti, il tessuto normativo, assai scarno e lacunoso è stato integrato, nel corso del tempo, dai giudici civili ed amministrativi, ma si ribadisce la centralità della regolamentazione in sede locale, come norma positiva, al fine di prevenire liti e dissidi tra gli aventi diritto (o presunti tale) e di consentire un’ottimale uso degli spazi sepolcrali che, notoriamente, non sono dilatabili all’infinito.

    La volontà del fondatore di realizzare, ab origine, un sepolcro familiare o ereditario può trovare innanzitutto espressione nell’atto concessorio.

    In questa sede il concessionario primo che concentra il sé lo Jus Sepulchri, attivo e passivo (Jus Sepeliri e Jus Inferendi mortuum in Sepulchrum) ed il diritto sul sepolcro in sé (cioè la proprietà delle opere murarie e di suppellettili o arredi votivi) può decidere se il diritto di sepoltura sorga in capo esclusivamente ai suoi successori oppure alle persone che rientrano nella cerchia della sua famiglia.

    La definizione del sepolcro (familiare o ereditario) in forma scritta è ovviamente la soluzione da preferire giacché riduce al minimo le situazioni di possibile contenzioso tra soggetti interessati all’uso della tomba.

    In assenza dell’atto scritto, il volere può essere espresso in qualunque forma, potendo esso emergere anche da elementi indiziari presuntivi, la cui prudente valutazione è rimessa al giudice di merito, tra l’altro la Magistratura può accedere a qualunque mezzo di prova, anche testimoniale, a differenza dell’Autorità Amministrativa Comunale, la quale non può discostarsi dall’esame dei soli titoli formali.

    L’elaborazione giurisprudenziale di questi ultimi decenni ha, infatti, ammesso che, in assenza di specifiche disposizioni del fondatore (o comunque di un atto ricognitivo della sua volontà), il sepolcro si presuma avere carattere familiare e solo la prova contraria della volontà del costruttore originario di destinare il sepolcro alle spoglie degli eredi consentirebbe di superare la presunzione della natura familiare e non ereditaria del sepolcro.

    In altri termini, secondo i giudici, per stabilire quale specie di sepolcro sussista in concreto, occorre interpretare la volontà del costruttore, la quale, in difetto di elementi univoci, deve ritenersi indirizzata ai familiari

    Tale convincimento, che opera, come già sottolineato, a prescindere dalla destinazione che l’edificio sepolcrale, nella sua componente patrimoniale, possa aver subìto in seguito alla successione ereditaria costituisce giudizio di fatto non suscettibile di sindacato in sede di legittimità se sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logico-giuridici.

    Il diritto alla tumulazione di natura ereditaria può derivare fin dall’inizio dall’atto di concessione, laddove il fondatore statuisca che il sepolcro viene edificato per sé e per i propri eredi. Costui si limita a compiere una mera destinazione del diritto di sepoltura ai propri eredi in considerazione di tale loro qualità, con la conseguenza che ciascuno di essi (subentrandogli “iure haereditatis”) è legittimato alla tumulazione di salme estranee alla famiglia di origine, entro i limiti della propria quota ereditaria.

    L’identificazione dei soggetti titolari dello ius sepulchri va effettuata in base alle norme che regolano la successione mortis causa o i trasferimenti in genere dall’originario titolare a i suoi aventi causa, trattandosi di un diritto che si trasferisce nei modi stessi di ogni altro bene, che può persino essere alienato in tutto o in parte e può essere lasciato, anche in legato, a persone non facenti parte dalla famiglia.

    Il diritto alla tumulazione di natura ereditaria può promanare, altresì, come detto appena sopra, dallo ius sepulchri che, trasferito per vincolo di consanguineità all’ultimo superstite della cerchia degli aventi diritto, all’apertura della successione di tale soggetto diventa trasmissibile per via ereditaria quale parte del suo patrimonio.

    In altre parole, con l’estinzione della cerchia dei familiari, esso si trasforma da familiare in ereditario con riviviscenza dello ius successionis sullo jus sanguinis e della trasmissibilità per atto inter vivos o mortis causa.

    Il problema su cui dibatte annosamente la dottrina tutta, con posizioni ora oscillanti ora più sfumate è il seguente: data la possibile divaricazione tra il diritto sul sepolcro in sé (sostanzialmente diritto di proprietà sul manufatto sepolcrale, seppur con vincolo di destinazione ad uso funebre ,ed in quando tale solo strumentale ed intermedio rispetto allo jus sepulchri vero e proprio) e il diritto personalissimo di sepolcro (personalissimo al pari del nome, dell’onore…) l’eventuale erede subentra solo nella componente materiale della tomba (tradotto: nella sola assunzione degli obblighi manutentivi) rimanendo scevro dello jus sepeliri o dello jus inferendi mortuum in sepulchrum, o diviene partecipe anche dello stesso jus sepulchri assumendo su di sé il titolo ad esser sepolto in quella determinata sepoltura che l’originario concessionario riservò alla sua persona ed ai famigliari? Cioè: lo Jus Sepulchri può sorgere a titolo derivativo su un soggetto non legato al fondatore da vincoli di consanguineità data la natura putativamente gentilizia del sepolcro?

  3. X Gisella,

    …poi mi accusano di esser noioso e pedante, ma sono d’obbligo alcuni chiarimenti:

    ancora oggi non esiste, in sede legislativa, una trattazione organica del sepolcro e delle sue relative di gestione, inizialmente affidate alla tradizione popolare e legate al sentimento di pietà verso i defunti, il tessuto normativo, assai scarno e lacunoso è stato integrato, nel corso del tempo, dai giudici civili ed amministrativi, ma si ribadisce la centralità della regolamentazione in sede locale, come norma positiva, al fine di prevenire liti e dissidi tra gli aventi diritto (o presunti tale) e di consentire un’ottimale uso degli spazi sepolcrali che, notoriamente, non sono dilatabili all’infinito.

    La volontà del fondatore di realizzare, ab origine, un sepolcro familiare o ereditario può trovare innanzitutto espressione nell’atto concessorio.

    In questa sede il concessionario primo che concentra il sé lo Jus Sepulchri, attivo e passivo (Jus Sepeliri e Jus Inferendi mortuum in Sepulchrum) ed il diritto sul sepolcro in sé (cioè la proprietà delle opere murarie e di suppellettili o arredi votivi) può decidere se il diritto di sepoltura sorga in capo esclusivamente ai suoi successori oppure alle persone che rientrano nella cerchia della sua famiglia.

    La definizione del sepolcro (familiare o ereditario) in forma scritta è ovviamente la soluzione da preferire giacché riduce al minimo le situazioni di possibile contenzioso tra soggetti interessati all’uso della tomba.

    In assenza dell’atto scritto, il volere può essere espresso in qualunque forma, potendo esso emergere anche da elementi indiziari presuntivi, la cui prudente valutazione è rimessa al giudice di merito, tra l’altro la Magistratura può accedere a qualunque mezzo di prova, anche testimoniale, a differenza dell’Autorità Amministrativa Comunale, la quale non può discostarsi dall’esame dei soli titoli formali.

    L’elaborazione giurisprudenziale di questi ultimi decenni ha, infatti, ammesso che, in assenza di specifiche disposizioni del fondatore (o comunque di un atto ricognitivo della sua volontà), il sepolcro si presuma avere carattere familiare e solo la prova contraria della volontà del costruttore originario di destinare il sepolcro alle spoglie degli eredi consentirebbe di superare la presunzione della natura familiare e non ereditaria del sepolcro.

    In altri termini, secondo i giudici, per stabilire quale specie di sepolcro sussista in concreto, occorre interpretare la volontà del costruttore, la quale, in difetto di elementi univoci, deve ritenersi indirizzata ai familiari

    Tale convincimento, che opera, come già sottolineato, a prescindere dalla destinazione che l’edificio sepolcrale, nella sua componente patrimoniale, possa aver subìto in seguito alla successione ereditaria costituisce giudizio di fatto non suscettibile di sindacato in sede di legittimità se sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logico-giuridici.

    Il diritto alla tumulazione di natura ereditaria può derivare fin dall’inizio dall’atto di concessione, laddove il fondatore statuisca che il sepolcro viene edificato per sé e per i propri eredi. Costui si limita a compiere una mera destinazione del diritto di sepoltura ai propri eredi in considerazione di tale loro qualità, con la conseguenza che ciascuno di essi (subentrandogli “iure haereditatis”) è legittimato alla tumulazione di salme estranee alla famiglia di origine, entro i limiti della propria quota ereditaria.

    L’identificazione dei soggetti titolari dello ius sepulchri va effettuata in base alle norme che regolano la successione mortis causa o i trasferimenti in genere dall’originario titolare a i suoi aventi causa, trattandosi di un diritto che si trasferisce nei modi stessi di ogni altro bene, che può persino essere alienato in tutto o in parte e può essere lasciato, anche in legato, a persone non facenti parte dalla famiglia.

    Il diritto alla tumulazione di natura ereditaria può promanare, altresì, come detto appena sopra, dallo ius sepulchri che, trasferito per vincolo di consanguineità all’ultimo superstite della cerchia degli aventi diritto, all’apertura della successione di tale soggetto diventa trasmissibile per via ereditaria quale parte del suo patrimonio.

    In altre parole, con l’estinzione della cerchia dei familiari, esso si trasforma da familiare in ereditario con riviviscenza dello ius successionis sullo jus sanguinis e della trasmissibilità per atto inter vivos o mortis causa.

    Il problema su cui dibatte annosamente la dottrina tutta, con posizioni ora oscillanti ora più sfumate è il seguente: data la possibile divaricazione tra il diritto sul sepolcro in sé (sostanzialmente diritto di proprietà sul manufatto sepolcrale, seppur con vincolo di destinazione ad uso funebre ,ed in quando tale solo strumentale ed intermedio rispetto allo jus sepulchri vero e proprio) e il diritto personalissimo di sepolcro (personalissimo al pari del nome, dell’onore…) l’eventuale erede subentra solo nella componente materiale della tomba (tradotto: nella sola assunzione degli obblighi manutentivi) rimanendo scevro dello jus sepeliri o dello jus inferendi mortuum in sepulchrum, o diviene partecipe anche dello stesso jus sepulchri assumendo su di sé il titolo ad esser sepolto in quella determinata sepoltura che l’originario concessionario riservò alla sua persona ed ai famigliari? Cioè: lo Jus Sepulchri può sorgere a titolo derivativo su un soggetto non legato al fondatore da vincoli di consanguineità data la natura putativamente gentilizia del sepolcro?

  4. X Gisella,

    qui si delinea un work in progress, sarà, infatti, opportuno sentirci a più riprese (io, a tal proposito sono sempre a disposizione su questo blog!) anche per inquadrare meglio la questione dal punto di vista “freddamente” giuridico, anche se attorno ai diritti di sepolcro gravitano anche interessi morali, sentimenti ed emozioni… crepuscolari.

    Sono d’uopo alcune considerazioni preliminari sul caso, invero piuttosto complesso, rappresentato: in buona sostanza le Sue doglianze verso il Comune, come mi par di capire, vertono su questo punto: perché mai a Matteo, mio padre, è negato il diritto di sepolcro nella prestigiosa tomba di famiglia, di cui lo Zio Paolo era divenuto titolare, tramite l’istituto del subentro nell’intestazione della concessione ed (aggiungo io) nella titolarità del diritto primario di sepolcro consistente nella duplice facoltà attiva e passiva di esser sepolti o dar sepoltura in quella particolare cappella gentilizia.

    Consiglio vivamente di maneggiare con prudenza i Pronunciamenti della Suprema Corte di Cassazione, essi sono sì un orientamento giurisprudenziale importante, ma non vincolante, nel nostro sistema giudiziario, in effetti, non vale la regola dello Stare Decisis, cioè il precedente (= la soluzione di un caso analogo) non è automaticamente applicabile alla nuova fattispecie in esame.

    Domanda mia: ma secondo il regolamento comunale di polizia mortuaria (principalmente quello vigente all’atto della stipula del contratto di concessione, ma anche quello attualmente in vigore) lo Jus Sepulchri si trasmette solo e solamente jure sanguinis, ossia per consanguineità tra il concessionario primo ed i suoi aventi causa o segue anche le comuni regole patrimoniali del diritto successorio?

    Il sepolcro familiare, difatti, costituisce la fattispecie ordinaria, paradigmatica, rispetto alla quale il sepolcro ereditario dà luogo ad un’eccezione, a cui il fondatore ricorre in genere quando è privo di discendenti. In tale fattispecie residuale, il fondatore compie una mera destinazione del diritto di sepoltura ai propri eredi (sibi heredibusque suis) in considerazione di tale loro qualità, e indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di parentela o di coniugio con il fondatore stesso. Oltre che per fonte volontaria, il sepolcro ereditario può costituirsi per via legale consuetudinaria in un’ipotesi di sepolcro in origine familiare. Infatti, con la morte dell’ultimo componente la cerchia familiare, determinandosi l’estinzione della classe degli aventi diritto alla sepoltura, lo ius sepulchri si trasforma in ereditario

    Procedo, quindi per gradi e continui affinamenti:

    Per autorevole letteratura di settore poiché la concessione cimiteriale è un’”entità” (= rapporto giuridico) dotata di propria caratterizzazione, ben individuata ed individuabile (quel determinato sepolcro), attorno cui ruotano diritti (o legittime aspettative?), il problema del subentro si pone sostanzialmente non tanto rispetto alla concessione, quanto ai diritti e doveri che da essa nascono e si connettono all’ l’esistenza stessa della concessione, riferendosi ai diritti di tipo personale (Jus Sepulchri) e di gerenza (diritto di uso).

    Nel dettaglio, per la questione della voltura nella concessione, alla morte del concessionario, la dottrina prospetta due percorsi: il primo consiste nella limitazione del subentro per il solo diritto di Jus Sepulchri, fermo restando la posizione del concessionario (leggasi fondatore del sepolcro) nella persona originariamente firmataria dell’atto concessorio, il secondo, invece, comporta il subentro nello Jus Sepulchri ed anche nelle prerogative del concessionario (c.d. concessionario mobile o scorrevole). L’autore, per la scelta dell’una o dell’altra, massimamente “politica”, sottolinea il ruolo centrale del regolamento comunale di polizia mortuaria, il cui silenzio dovrebbe far propendere, a mio avviso, per la soluzione del fondatore quale unico concessionario (c.d. concessionario fisso)

    Allora: quale tipo di subentro realizzò lo Zio Paolo, subentro pieno o limitato all’assunzione dei soli oneri manutentivi?

    1) Fatte salve le diverse previsioni del Regolamento comunale di polizia mortuaria in proposito, cioè concernenti la successione delle persone alla morte del concessionario in relazione alla concessione, dato che il concessionario risulta non avere discendenti che jure sanguinis siano succeduti nei diritti concernenti la concessione, il sepolcro deve considerarsi trasformato in ereditario

    Ne consegue che gli eredi, se previsto dal Regolamento Comunale di Polizia Mortuaria, subentrano al concessionario defunto, quando questi non abbia disposto con atto di ultima volontà o altrimenti con atto pubblico in modo diverso.

    Il problema di fondo è questo: l’originario fondatore del sacello gentilizio (Filippo?) nell’atto di concessione statuì anche, come, per altro, d’obbligo, la lex sepulchri (= la cosiddetta “riserva” ossia la rosa delle persone riservatarie, una volta decedute, dello jus sepulchri) se i posti nel sepolcro fossero stati tutti nominativamente assegnati in anticipo nulla quaestio, ma in questo frangente la lex sepulchri è a clausole aperte, ossia subordina l’ingresso di collaterali ed affini entro il quarto grado entro ovviamente la massima capacità fisica ricettiva della tomba (se il sepolcro è già saturo lo jus sepulchri naturalmente spira ovvero si estingue senza mai esser stato esercitato) ad un autorizzazione di volta in volta rilasciata dallo stesso concessionario non libera (= consento anche la tumulazione di estranei) ma pur sempre vincolata al criterio fissato con la lex sepulchri. Questa previsione è coerente con la formulazione dell’Art. 93 dell’attuale Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria approvaato con DPR 10 settembre 1990 n. 285. la lex sepulchri, sottratta alla disponibilità dei privati in quanto “agganciata” all’intima caratteristica familiare del sepolcro è stabilita solo e solamente quando viene rogato l’atto di concessione, dopo non può esser modificata dalle parti, se non attraverso una novazione, cioè una rinegoziazione consensuale tra concessionario e comune del rapporto concessorio.

    In ultima istanza bisogna capire chi adesso, sia il titolare del rapporto concessorio (= il concessionario), ancorché subentrato a Filippo, affinchè autorizzi la legittima tumulazione di Matteo, Suo padre.

    In subordine: Suo Padre è erede universale di Paolo subentrato a sua volta a Filippo, per effetto della voltura della concessione? Il sepolcro in oggetto è entrato a pieno titolo nell’asse testamentario? Il Comune, in base al proprio regolamento ha registrato questo nuovo ingresso nella titolarità della sepoltura?

    E’importante conoscere questi aspetti amministrativi e legali perchè se Suo Padre fosse, quale erede universale, subentrato a Paolo nella titolarità del sepolcro vanterebbe, jure proprio, lo Jus Sepulchri, senza più bisogno di altra autorizzazione.

  5. X Gisella,

    qui si delinea un work in progress, sarà, infatti, opportuno sentirci a più riprese (io, a tal proposito sono sempre a disposizione su questo blog!) anche per inquadrare meglio la questione dal punto di vista “freddamente” giuridico, anche se attorno ai diritti di sepolcro gravitano anche interessi morali, sentimenti ed emozioni… crepuscolari.

    Sono d’uopo alcune considerazioni preliminari sul caso, invero piuttosto complesso, rappresentato: in buona sostanza le Sue doglianze verso il Comune, come mi par di capire, vertono su questo punto: perché mai a Matteo, mio padre, è negato il diritto di sepolcro nella prestigiosa tomba di famiglia, di cui lo Zio Paolo era divenuto titolare, tramite l’istituto del subentro nell’intestazione della concessione ed (aggiungo io) nella titolarità del diritto primario di sepolcro consistente nella duplice facoltà attiva e passiva di esser sepolti o dar sepoltura in quella particolare cappella gentilizia.

    Consiglio vivamente di maneggiare con prudenza i Pronunciamenti della Suprema Corte di Cassazione, essi sono sì un orientamento giurisprudenziale importante, ma non vincolante, nel nostro sistema giudiziario, in effetti, non vale la regola dello Stare Decisis, cioè il precedente (= la soluzione di un caso analogo) non è automaticamente applicabile alla nuova fattispecie in esame.

    Domanda mia: ma secondo il regolamento comunale di polizia mortuaria (principalmente quello vigente all’atto della stipula del contratto di concessione, ma anche quello attualmente in vigore) lo Jus Sepulchri si trasmette solo e solamente jure sanguinis, ossia per consanguineità tra il concessionario primo ed i suoi aventi causa o segue anche le comuni regole patrimoniali del diritto successorio?

    Il sepolcro familiare, difatti, costituisce la fattispecie ordinaria, paradigmatica, rispetto alla quale il sepolcro ereditario dà luogo ad un’eccezione, a cui il fondatore ricorre in genere quando è privo di discendenti. In tale fattispecie residuale, il fondatore compie una mera destinazione del diritto di sepoltura ai propri eredi (sibi heredibusque suis) in considerazione di tale loro qualità, e indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di parentela o di coniugio con il fondatore stesso. Oltre che per fonte volontaria, il sepolcro ereditario può costituirsi per via legale consuetudinaria in un’ipotesi di sepolcro in origine familiare. Infatti, con la morte dell’ultimo componente la cerchia familiare, determinandosi l’estinzione della classe degli aventi diritto alla sepoltura, lo ius sepulchri si trasforma in ereditario

    Procedo, quindi per gradi e continui affinamenti:

    Per autorevole letteratura di settore poiché la concessione cimiteriale è un’”entità” (= rapporto giuridico) dotata di propria caratterizzazione, ben individuata ed individuabile (quel determinato sepolcro), attorno cui ruotano diritti (o legittime aspettative?), il problema del subentro si pone sostanzialmente non tanto rispetto alla concessione, quanto ai diritti e doveri che da essa nascono e si connettono all’ l’esistenza stessa della concessione, riferendosi ai diritti di tipo personale (Jus Sepulchri) e di gerenza (diritto di uso).

    Nel dettaglio, per la questione della voltura nella concessione, alla morte del concessionario, la dottrina prospetta due percorsi: il primo consiste nella limitazione del subentro per il solo diritto di Jus Sepulchri, fermo restando la posizione del concessionario (leggasi fondatore del sepolcro) nella persona originariamente firmataria dell’atto concessorio, il secondo, invece, comporta il subentro nello Jus Sepulchri ed anche nelle prerogative del concessionario (c.d. concessionario mobile o scorrevole). L’autore, per la scelta dell’una o dell’altra, massimamente “politica”, sottolinea il ruolo centrale del regolamento comunale di polizia mortuaria, il cui silenzio dovrebbe far propendere, a mio avviso, per la soluzione del fondatore quale unico concessionario (c.d. concessionario fisso)

    Allora: quale tipo di subentro realizzò lo Zio Paolo, subentro pieno o limitato all’assunzione dei soli oneri manutentivi?

    1) Fatte salve le diverse previsioni del Regolamento comunale di polizia mortuaria in proposito, cioè concernenti la successione delle persone alla morte del concessionario in relazione alla concessione, dato che il concessionario risulta non avere discendenti che jure sanguinis siano succeduti nei diritti concernenti la concessione, il sepolcro deve considerarsi trasformato in ereditario

    Ne consegue che gli eredi, se previsto dal Regolamento Comunale di Polizia Mortuaria, subentrano al concessionario defunto, quando questi non abbia disposto con atto di ultima volontà o altrimenti con atto pubblico in modo diverso.

    Il problema di fondo è questo: l’originario fondatore del sacello gentilizio (Filippo?) nell’atto di concessione statuì anche, come, per altro, d’obbligo, la lex sepulchri (= la cosiddetta “riserva” ossia la rosa delle persone riservatarie, una volta decedute, dello jus sepulchri) se i posti nel sepolcro fossero stati tutti nominativamente assegnati in anticipo nulla quaestio, ma in questo frangente la lex sepulchri è a clausole aperte, ossia subordina l’ingresso di collaterali ed affini entro il quarto grado entro ovviamente la massima capacità fisica ricettiva della tomba (se il sepolcro è già saturo lo jus sepulchri naturalmente spira ovvero si estingue senza mai esser stato esercitato) ad un autorizzazione di volta in volta rilasciata dallo stesso concessionario non libera (= consento anche la tumulazione di estranei) ma pur sempre vincolata al criterio fissato con la lex sepulchri. Questa previsione è coerente con la formulazione dell’Art. 93 dell’attuale Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria approvaato con DPR 10 settembre 1990 n. 285. la lex sepulchri, sottratta alla disponibilità dei privati in quanto “agganciata” all’intima caratteristica familiare del sepolcro è stabilita solo e solamente quando viene rogato l’atto di concessione, dopo non può esser modificata dalle parti, se non attraverso una novazione, cioè una rinegoziazione consensuale tra concessionario e comune del rapporto concessorio.

    In ultima istanza bisogna capire chi adesso, sia il titolare del rapporto concessorio (= il concessionario), ancorché subentrato a Filippo, affinchè autorizzi la legittima tumulazione di Matteo, Suo padre.

    In subordine: Suo Padre è erede universale di Paolo subentrato a sua volta a Filippo, per effetto della voltura della concessione? Il sepolcro in oggetto è entrato a pieno titolo nell’asse testamentario? Il Comune, in base al proprio regolamento ha registrato questo nuovo ingresso nella titolarità della sepoltura?

    E’importante conoscere questi aspetti amministrativi e legali perchè se Suo Padre fosse, quale erede universale, subentrato a Paolo nella titolarità del sepolcro vanterebbe, jure proprio, lo Jus Sepulchri, senza più bisogno di altra autorizzazione.

  6. Eliminare commento precedente per errori di digitazione.

    Salve ho un serio dilemma.
    Cappella gentilizia, consessionario mio zio Filippo (1° cugino di mio padre), celibe e senza figli.
    Fratelli di Filippo sono Paolo e Laura anch’essi non sposati e senza figli.

    Nel contratto di concessione si dice “viene concessa 99 anni al sig. Filippo…. per uso dello stesso, del fratello, sorella, genitori, ascendenti paterni e materni e, con il consenso di esso concessionario o del fratello o della sorella, per parenti ed affini entro il quarto grado.

    Dopo la morte di Laura gli zii Paolo, Filippo e mio padre Matteo rinunciano al diritto di sepolcro nella tomba del loro nonno Carlo, in favore di Lucio (2° cugino di Paolo e Filippo e Matteo, figlio una cugina di 1° grado), Carlo è il suo bisnonno.
    L’intenzione di Paolo e Filippo è quella di accogliere la zia Angela e il marito (genitori di Matteo), sorella della propria madre, nella cappella gentilizia e i suoi discndenti: il 1° cugino Matteo (con la moglie ed i figli), e la cugina nubile, sorella di Matteo, Marina.

    Lo zio Filippo muore e viene tumulato nella cappella.
    Lo zio Paolo chiede ed ottiene dal Comune la trascrizione del proprio nominativo nel registro delle concessioni cimiteriali, accanto a quella del fratello concessionario e si accinge immediatamente, con regolare autorizzazione comunale, a compiere la volontà propria e di suo fratello deceduto, estumulando la zia Angela, il marito Fabio e la cugina Marina figlia di Angela e Fabio da altra tomba, tumulandoli nella propria Cappella Gentilizia. Paolo chiede verbalmente a Matteo di occuparsi liberamente della Cappella, consegna una copia delle chiavi a lui e a noi figli, nessun altro ha le chiavi della Cappella. Anche le tasse cimiteriali annuali della Cappella sono intestate e indirizzate a Matteo (mio padre).

    Muore Paolo, e Matteo (mio padre), assieme a me e mio fratello provvediamo alla tumulazione presso la Cappella Gentilizia. Il testamento dello zio Paolo vede erede universale Matteo, legati da un rapporto fraterno.

    Muore Matteo ed io e mio fratello pensiamo che nostro padre abbia diritto all’uso del sepolcro ma il comune ci dice che non ha diritto ad alcuna tumulazione lì, perchè accanto al nome del concessionario non c’è quello di Matteo. Chiediamo al comune che come da concessione la tumulazione potrebbe esserci per i parenti entro il 4° grado e Matteo è di 4° grado. Il Comune ci dice che per far ciò manca il “consenso” del concessionario, come dice la stessa concessione.
    Ribadiamo che il consenso è tacito in quanto questi aveva già avviato alla tumulazione della famiglia di Matteo compresa la sorella di Matteo, anch’essa 4°grado rispetto a Paolo e Filippo. La madre, il padre e la sorella di Matteo sono lì tumulati per volontà del concessionario.

    In attesa di far luce alla vicenda, il Comune ci concede una tumulazione in via provvisoria.
    Dopo 3 mesi mi arriva una comunicazione ufficiale da parte del Comune che mi intima l’estumulazione entro 3 anni della salma di mio padre.

    Mi sento disperato.
    Con la volontà espressa in vita dai miei zii, il volere fattivo, con la cugina nella propria cappella di famiglia non si presume ad un consenso ai parenti entro il quarto grado come scritto nella concessione?
    Presume…
    La sentenza della Cassazione del 29 settembre 2000 n. 12957 dice:
    “parla di volontà, espressa o presunta, del fondatore in stretto riferimento alla cerchia dei familiari presi in considerazione come destinatari”.
    Cassazione, sentenza del 27 settembre 2012 n. 16430 dice:
    “..Sotto questo profilo la sentenza non presta il fianco a rilievi di sorta, avendo correttamente osservato che la volontà del fondatore nel senso di ricomprendere i collaterali emergeva dall’avere C.L. consegnato le chiavi della cappella ai fratelli, l’inumazione nella stessa della sorella e del cognato…”. Le chiavi ci erano state consegnate direttamente dagli zii.

    Il quesito:
    Dilemma 1: intraprendendo una causa civile, avrò la possibilità di mantenere la salma di mio padre dentro quella Cappella dando anche la possibilità a mia madre (moglie di Matteo), ancora in vita, di potervi accedere un domani?

    Dilemma 2:
    Un funzionario del comune qualche giorno addietro, ed in via del tutto ufficiosa, ci ha ventilato un possibile accordo. Il concessionario ed i suoi fratelli sono morti senza lasciare coniugi e figli. La Cappella così facendo potrebbe passare da familiare ad ereditaria… si potrebbe trovare l’accordo di abbandonare un eventuale contenzioso legale, aprendo la possibilità di tumulazione ad altri appartenenti alla “famiglia” di Filippo, Paolo e Laura. Alla nostra domanda, “chi?”
    Lui ci ha fatto il nome del pro-cugino Lucio ed i suoi eredi. Mi chiedo, se Filippo, Paolo e laura avessero voluto Lucio e la sua famiglia nella cappella, lo avrebbero fatto in vita e, soprattutto non avrebbero rinunciato al diritto di sepoltura nella tomba del nonno a favore di Lucio che era solo il pro-nipote, inoltre, come per gli zii Fabio e Angela e la cugina Marina, avrebbero estumulato anche la madre di Lucio per tumularla nella propria Cappella.
    Noi non siamo assolutamente d’accordo a questo accordo. Mi chiedo però, la legge potrebbe permettere questo a Lucio? Grazie. Gisella

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    Salve ho un serio dilemma.
    Cappella gentilizia, consessionario mio zio Filippo (1° cugino di mio padre), celibe e senza figli.
    Fratelli di Filippo sono Paolo e Laura anch’essi non sposati e senza figli.

    Nel contratto di concessione si dice “viene concessa 99 anni al sig. Filippo…. per uso dello stesso, del fratello, sorella, genitori, ascendenti paterni e materni e, con il consenso di esso concessionario o del fratello o della sorella, per parenti ed affini entro il quarto grado.

    Dopo la morte di Laura gli zii Paolo, Filippo e mio padre Matteo rinunciano al diritto di sepolcro nella tomba del loro nonno Carlo, in favore di Lucio (2° cugino di Paolo e Filippo e Matteo, figlio una cugina di 1° grado), Carlo è il suo bisnonno.
    L’intenzione di Paolo e Filippo è quella di accogliere la zia Angela e il marito (genitori di Matteo), sorella della propria madre, nella cappella gentilizia e i suoi discndenti: il 1° cugino Matteo (con la moglie ed i figli), e la cugina nubile, sorella di Matteo, Marina.

    Lo zio Filippo muore e viene tumulato nella cappella.
    Lo zio Paolo chiede ed ottiene dal Comune la trascrizione del proprio nominativo nel registro delle concessioni cimiteriali, accanto a quella del fratello concessionario e si accinge immediatamente, con regolare autorizzazione comunale, a compiere la volontà propria e di suo fratello deceduto, estumulando la zia Angela, il marito Fabio e la cugina Marina figlia di Angela e Fabio da altra tomba, tumulandoli nella propria Cappella Gentilizia. Paolo chiede verbalmente a Matteo di occuparsi liberamente della Cappella, consegna una copia delle chiavi a lui e a noi figli, nessun altro ha le chiavi della Cappella. Anche le tasse cimiteriali annuali della Cappella sono intestate e indirizzate a Matteo (mio padre).

    Muore Paolo, e Matteo (mio padre), assieme a me e mio fratello provvediamo alla tumulazione presso la Cappella Gentilizia. Il testamento dello zio Paolo vede erede universale Matteo, legati da un rapporto fraterno.

    Muore Matteo ed io e mio fratello pensiamo che nostro padre abbia diritto all’uso del sepolcro ma il comune ci dice che non ha diritto ad alcuna tumulazione lì, perchè accanto al nome del concessionario non c’è quello di Matteo. Chiediamo al comune che come da concessione la tumulazione potrebbe esserci per i parenti entro il 4° grado e Matteo è di 4° grado. Il Comune ci dice che per far ciò manca il “consenso” del concessionario, come dice la stessa concessione.
    Ribadiamo che il consenso è tacito in quanto questi aveva già avviato alla tumulazione della famiglia di Matteo compresa la sorella di Matteo, anch’essa 4°grado rispetto a Paolo e Filippo. La madre, il padre e la sorella di Matteo sono lì tumulati per volontà del concessionario.

    In attesa di far luce alla vicenda, il Comune ci concede una tumulazione in via provvisoria.
    Dopo 3 mesi mi arriva una comunicazione ufficiale da parte del Comune che mi intima l’estumulazione entro 3 anni della salma di mio padre.

    Mi sento disperato.
    Con la volontà espressa in vita dai miei zii, il volere fattivo, con la cugina nella propria cappella di famiglia non si presume ad un consenso ai parenti entro il quarto grado come scritto nella concessione?
    Presume…
    La sentenza della Cassazione del 29 settembre 2000 n. 12957 dice:
    “parla di volontà, espressa o presunta, del fondatore in stretto riferimento alla cerchia dei familiari presi in considerazione come destinatari”.
    Cassazione, sentenza del 27 settembre 2012 n. 16430 dice:
    “..Sotto questo profilo la sentenza non presta il fianco a rilievi di sorta, avendo correttamente osservato che la volontà del fondatore nel senso di ricomprendere i collaterali emergeva dall’avere C.L. consegnato le chiavi della cappella ai fratelli, l’inumazione nella stessa della sorella e del cognato…”. Le chiavi ci erano state consegnate direttamente dagli zii.

    Il quesito:
    Dilemma 1: intraprendendo una causa civile, avrò la possibilità di mantenere la salma di mio padre dentro quella Cappella dando anche la possibilità a mia madre (moglie di Matteo), ancora in vita, di potervi accedere un domani?

    Dilemma 2:
    Un funzionario del comune qualche giorno addietro, ed in via del tutto ufficiosa, ci ha ventilato un possibile accordo. Il concessionario ed i suoi fratelli sono morti senza lasciare coniugi e figli. La Cappella così facendo potrebbe passare da familiare ad ereditaria… si potrebbe trovare l’accordo di abbandonare un eventuale contenzioso legale, aprendo la possibilità di tumulazione ad altri appartenenti alla “famiglia” di Filippo, Paolo e Laura. Alla nostra domanda, “chi?”
    Lui ci ha fatto il nome del pro-cugino Lucio ed i suoi eredi. Mi chiedo, se Filippo, Paolo e laura avessero voluto Lucio e la sua famiglia nella cappella, lo avrebbero fatto in vita e, soprattutto non avrebbero rinunciato al diritto di sepoltura nella tomba del nonno a favore di Lucio che era solo il pro-nipote, inoltre, come per gli zii Fabio e Angela e la cugina Marina, avrebbero estumulato anche la madre di Lucio per tumularla nella propria Cappella.
    Noi non siamo assolutamente d’accordo a questo accordo. Mi chiedo però, la legge potrebbe permettere questo a Lucio? Grazie. Gisella

  8. Grazie mille per i ragguagli Carlo. adesso provo a vedere se sul sito del comune c’è la modulistica relativa.

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