Concessioni cimiteriali fatte ad enti: il diritto d’uso

Introduzione
L’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. definisce il diritto d’uso nei sepolcri privati nei cimiteri in termini di riserva, che importa che le persone che si trovino in una data posizione giuridica abbiano titolo ad esservi accolte e, contestualmente, che esclude che possano esservi accolte le persone che non si trovino nella posizione giuridica considerata. In particolare, nelle concessioni cimiteriali fatte ad enti hanno titolo, rientrando nella riserva, le persone contemplate dal relativo ordinamento e dall’atto di concessione.
Ora, la natura degli enti che possano riscontrarsi titolari di concessione cimiteriale è ampia, più di quanto non si creda, anche se alla fin fine prevalgano alcune tipologie, cioè quelle degli ordini, congregazioni, istituti, ecc. (non importa il nomen iuris, le singole denominazioni) e quelle di quanto nel Codex iuris canonici – C.I.C. rientra nel quadro delle associazioni di fedeli.
Nelle prime rientrano le “aggregazioni” di religiosi, siano queste persone “ordinate” o meno (e, per questo, nel C.I.C., chiamate “laici”, in senso proprio). Come noto, la seconda tipologia, come nel caso di “associazioni di fedeli” possono appartenervi persone di diverso genere, anche se, a volte ma non sempre, con distinzioni organizzative.
Essendo queste due tipologie quelle maggiormente presenti, di seguito si affronta la questione del diritto d’uso, distinguendo tra le prime e le seconde.

Circa le prime (ordini, congregazioni), va rilevato come l’”appartenenza“, sia permesso usare questo termine) all’ente concessionario sia in genere regolata diversamente rispetto alle seconde che, avendo natura di “associazioni di fedeli” (a volte denominate quali: confraternite o simili) importano un’”appartenenza” (non sembri una inutile ripetizione) avente carattere associativo e, quindi, spesso richiedendo un’”associazione volontaria”, anche se non manchino realtà che ammetterebbero l’adesione post mortem, cioè in momento in cui la volontà non può essere espressa.

Il caso degli ordini, congregazioni e simili
È stato volutamente utilizzato il termine di “appartenenza”, qui da intendere nel senso di effetto dell’ordinamento dell’ente, cui spetta di definire, regolare e qualificare le persone che vi siano pertinenti e, quindi, tali da essere “contemplate” ai fini dell’esercizio del diritto d’uso del sepolcro in concessione.
Quando si tratti di ordini, congregazioni, ecc. il cui ordinamento preveda la condizione di “ordinazione”, non può ignorarsi come siano anche presenti enti che accanto agli “ordinati” (in linguaggio comune: sacerdoti) possono a volte essere considerate persone “non ordinate” (cioè, “laici” nel linguaggio canonico).
Altro aspetto da considerare è quello per cui in alcuni ordini, congregazioni, ecc. possono essere presenti criteri di “appartenenza” diversi, alcuni “pieni”, altri temporanei, provvisori, “in prova” (se sia ammesso) in vista di raggiungere le condizioni di “appartenenza” piena, posizioni che possono andare sotto la denominazione di “noviziato” (anche qui la cautela sul nome ha rilievo, proprio per la numerosità degli “ordinamenti”): in questi casi, diventerebbe importante valutare se l’ordinamento dell’ordine, congregazione, ecc. consideri i “novizi” quali “appartenenti” all’ente anche sotto il profilo del diritto d’uso del sepolcro in concessione.

Diventa quindi importante, anche ai fini dell’applicazione dell’art. 102 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., la conoscenza dell’”ordinamento” dell’ente concessionario del sepolcro, per cogliere questi aspetti, ma anche quali siano gli “strumenti” di prova della qualità di “appartenenza” all’ordine, congregazione, ecc., in genere riferibile a qualche specifica dichiarazione da parte di chi abbia la rappresentanza dell’ente concessionario o chi abbia una posizione in qualche modo sovraordinata all’interno dell’ordine, congregazione, ecc., sovra-ordinamento che talora può avere rilievo solo locale, spesso anche molto locale.

Il caso delle “associazioni di fedeli
Nel caso di “associazioni di fedeli” la questione dell’”appartenenza” appare in genere maggiormente semplice in ragione della natura associativa, che comporta un’adesione (atto di volontà), magari anche la corresponsione periodica di qualche somma, l’iscrizione in elenchi, registri o simili, per cui, all’evenienza, risulta, o dovrebbe risultare, più agevole la prova dell’”appartenenza” all’ente concessionario.
Sia permesso, unicamente, di dubitare della coerenza rispetto al sistema, delle previsioni che ammetterebbero l’ipotesi dell’appartenenza all’ente in un momento successivo al decesso, sia per il fatto che queste ipotesi contrastano con il carattere associativo (e, quindi, volontario), sia per il fatto di esporre ad n uso del tutto strumentale dell’adesione, appartenenza all’ente concessionario. Per altro, si tratta di questioni che attengono ad ordinamenti diversi da quelli propri dell’ordinamento civile.

Aspetti comuni alle due tipologie
Sotto questi profili non mancano previsioni dei Regolamenti comunali di polizia mortuaria che prevedono per le concessioni cimiteriali fatte ad enti la presentazione, spesso periodica (es.: annuale) degli “elenchi” degli iscritti, allo scopo esplicito di favorire, all’evenienza, una verifica documentale della sussistenza del titolo di accoglimento nel sepolcro in concessione.
Sia nel caso delle “associazioni di fedeli”, sia nel caso degli ordini, congregazioni, ecc., queste modalità, per quanto chiaramente funzionali, ed efficienti, sono esposte a potenziali valutazioni di criticità in relazione ai principi del D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e s.m. (incluso il D. Lgs. 10 agosto 2018, n. 101 di adeguamento al Regolamento qui di seguito richiamato), nonché del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), richiamandosi, di quest’ultimo, in particolare l’art. 9.
Per altro, la questione ora posta è ben meno critica di quanto non appaia dal fatto di averla posta, solo che si consideri come l’appena citato art. 9 del Regolamento UE consideri, al suo alinea 2, i casi di non applicazione del generale divieto di cui all’alinea 1, portando alla conclusione che queste finalità di trattamento dei dati relativi a convinzioni religiose (e la qualificazione di “appartenenza” all’ente concessionario vi rientra) – ai fini dell’esercizio del diritto d’uso del sepolcro – rientrino a pieno titolo nelle condizioni di non applicazione di tale divieto.
Si tratta di questione che, in altro contesto e materia, è stata in qualche modo considerata anche dal ricorso per conflitto di attribuzione n. 2 del 26 agosto 2021 promosso dalla Provincia autonoma di Bolzano/Bozen contro il Provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali n. 244 del 2021, che impone alla Provincia autonoma di Bolzano e all’Azienda sanitaria dell’Alto Adige una limitazione definitiva dei trattamenti relativi all’utilizzo delle certificazioni verdi COVID-19, effettuati in attuazione delle ordinanze del Presidente della Provincia n. 20 e n. 23 del 2021; la comunicazione del Garante prot. n. 0035891 del 6 luglio 2021 con la quale diffida le Regioni e le Province autonome dall’adottare o dal dare attuazione a iniziative territoriali che prevedano l’uso delle certificazioni verdi COVID-19, per finalità ulteriori e con modalità diverse rispetto a quelle previste dalla legge nazionale ed il Provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 18 giugno 2021, n. 244; la comunicazione del Garante per la protezione dei dati personali del 6 luglio 2021, prot. n. 0035891.
Non si entra nel merito delle questioni, ma la pronuncia della Corte Costituzionale che ne conseguirà potrebbe proiettare luce anche sull’approccio qui seguito.

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Sereno Scolaro

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