TECNICHE “BORDER LINE” PER OTTENERE, AI SENSI DELL’ART. 75 COMMA 2 DPR n.285/90, SOLUZIONE DI CONTINUITA’ NELLA LAMIERA DI ZINCO

Cara Redazione,

richiediamo un parere relativamente ad una richiesta di inumazione in campo comune (o campo di mineralizzazione per indecomposti) di feretro, per diverse ragioni, confezionato con la doppia cassa.
L’empasse sta nello spiegare ai familiari la necessità di togliere lo zinco interno alla cassa prima dell’inumazione traslando il cadavere in altra cassa; a tal proposito sono a chiederle se vi è una norma di legge che imponga l’asportazione dello zinco in caso di inumazione in campo comune o quanto meno ne consigli la foratura (come Servizio cimiteriale si preferibbe la traslazione in altro cofano). Insomma si può almeno bucare la cassa di metallo?

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P1010006Premessa: quanto disposto dall’art. 75, comma 2 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 costituisce la sola ed unica fattispecie in cui è consentita, anzi prevista ed obbligatoria, l’apertura del feretro, disposizione che trova applicazione anche nei casi di cui all’Art.. 86, commi 2 e ss. d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285. In nessun altro frangente è ammessa la manomissione del feretro almeno per tutto il periodo legale di sepoltura. Quindi abbastanza problematico, soppo il profilo legale, ma anche operativo sarebbe il trasbordo del defunto in una nuova cassa predisposta per l’inumazione, ossia del tutto priva della controcassa di zinco.

Il problema dell’inumazione di bare costituite anche da cassa di zinco è, infatti, affrontato in modo espresso all’art. 75, comma 2 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 il quale impone, in tali ipotesi, la realizzazione di tagli di opportune dimensioni della cassa metallica (zinco), ammettendo (se si vuole, “tollerando”) le differenze di caratteristiche (es.: spessori) previste per la cassa di legno a seconda che si tratti di inumazione o di tumulazione (cfr. artt. 30 e 75 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285).

I precedenti regolamenti di polizia mortuaria non contemplavano questa norma per neutralizzare l’impermebilità della lastra metallica nell’evenienza di sepoltura nella nuda terra, lasciando la risoluzione del problema alla fonte regolamentare comunale o a singole ordinanze sindacali.

La questione, in sè molto spinosa, del feretro costituito dalla doppia cassa e delle modalità ” a basso impatto igienico-sanitario” al fine di provocare soluzione di continuità nel nastro di zinco, in modo da favorire la naturale decomposizione cadaverica merita approfondimenti maggiori, al di là del fatto contingente riferito nel quesito.

 

Per i cadaveri portatori di malattia infettivo-diffusiva, ai sensi dell’Art. 25 DPR 285/90, è d’obbligo la duplice cassa, lignea e metallica, qualunque sia la destinazione finale del feretro.

Solo in caso di incinerazione, secondo i decreti Ministeriali emanati dal Ministero della Salute ai sensi dell’Art. 31 e 75 comma 3 DPR n. 285/1990, vasca e coperchio metallici possono esser sostituiti da un dispositivo plastico ad effetto “diaframma impermeabilizzante”. (i cosiddetti dispositivi barriera).

 

Quindi anche un feretro contenente un cadavere infetto da avviare ad inumazione deve esser confezionato come se fosse una bara da tumulazione con tutti i requisiti tecnici di cui all’Art. 30 DPR 285/90.

 

Il senso di questa disposizione è piuttosto chiaro: la vasca di lamiera deve trattenere la percolazione dei liquidi cadaverici ed evitare che quest’ultimi si diffondano negli strati più profondi del terreno e contaminino la vena acquifera.

 

Si tratta di una misura supplementare, dettata dall’eccezionalità del caso (malattia infettivo-diffusiva), in via ordinaria la legge prescrive tassativamente uno spessore minimo di almeno 50 cm tra il fondo della fossa e la falda freatica, proprio perchè questo strato di terreno deve contenere, filtrare e “pulire” la lisciviazione del percolato cadaverico composto in buona parte da nitrati.

 

Il DPR 285/90 con l’Art. 75 comma 1 è categorico in merito ai materiali da introdurre nel ciclo cimiteriale dei campi di terra, vietando tassativamente i materiali non biodegradabili come, appunto, bare costruite con nastro metallico.

 

Qualora, però, in cimitero giunga un feretro proveniente dall’estero, da un altro comune con distanza superiore ai 100 km, oppure per il quale, come succederebbe, appunto, per gli infetti, sussista l’obbligo della duplice cassa, l’interro, ai sensi dell’Art. 75 comma 2 DPR 285/90, deve esser subordinato all’apertura sulla cassa zincata (o di piombo) di tagli dalle opportune dimensioni, anche asportando temporaneamente, se necessario, il coperchio della cassa di legno.

 

Queste disposizioni si applicano anche in caso di infetti?

 

Assolutamente sì; occorre, però, una precisazione.

 

L’Autorità Sanitaria, per i cadaveri portatori di malattia infettivo diffusiva, può proibire l’inumazione, per le ragioni prima esplicate (rischio di percolazione di liquami altamente patogeni); se non si registra l’opposizione motivata dell’AUSL anche gli infetti, al momento della loro sepoltura in fossa di terra, debbono esser inumati solo quando si sia rispettato il dettato del sullodato Art. 75 comma 2 DPR 285/90, così da facilitare i processi di naturale mineralizzazione rallentati o, addirittura, bloccati dalla bara a tenuta stagna.

 

La scabrosità di queste manomissioni nell’assetto del cofano ha spesso prodotto disposizioni illegittime come quella del comune di Milano, adottata il 14 maggio 1993 per motivi di opportunità operativa e a tutela della salute dei lavoratori e dei congiunti (pericoli di contagio di malattie infettive diffusive, schizzi da tali corpi, esalazioni cadaveriche, fuoriuscita di gas e liquami, A.I.D.S. febbri virali…)in cui si stabiliva il divieto di effettuare per i cadaveri, inseriti in duplice cassa, operazioni di aperture della cassa di legno per tagliare la cassa metallica; naturalmente oggetto di questa regola erano i feretri in cui la cassa lignea fosse esterna rispetto a quella di zinco.

 

Tali provvedimenti, seppur comprensibili, non sono conformi alla legge e sconfinano nell’abuso perchè vincolerebbero, senza il decisivo parere dell’autorità sanitaria, la sepoltura di una bara al ricorso implicito ad altre forme di destinazione atipiche o peggio ancora, spurie, proprio perché non previste dal DPR 285/90.

 

L’Articolo 75 comma 2 del DPR 285/90 è cogente e priva i comuni di qualsiasi potestà d’intervento in materia o di deroga allo stesso DPR 285/90.

 

E’bene ricordare ancora una volta come proprio sul piano tecnico giuridico siano assolutamente inaccettabili prescrizioni volte ad imporre obbligatoriamente l’uso della cassa di zinco esterna rispetto al cofano ligneo; si sono già pronunciati su questa querelle sia il Ministero della Sanità con la circolare n. 24 del 24 giugno 1993 sia il T.A.R. Emilia Romagna con ordinanza sospensiva n. 1735/95 del 3 novembre 1995.

 

In effetti il taglio della copertura metallica nella bara, per quanto poco gradito al personale necroforo, neppure sotto il profilo della sicurezza, alla luce del D.LGS n. 81/2008, presenta particolari inconvenienti, purché si ricorra sempre a dispositivi di protezione individuale come guanti, camici, tute monouso e maschere.

 

La prassi in uso presso molte aree sepolcrali ha prodotto ed elaborato, nel corso degli anni, e nel silenzio del legislatore, espedienti border line, ossia al limite della legalità formale e sostanziale, soprattutto in termini di tutela della salute per i lavoratori, in modo da facilitare i processi disgregativi cui nel post mortem è sottoposta la materia organica.

 

La decomposizione, del tutto naturale in determinati contesti ambientali, potrebbe esser oltremodo rallentata dall’azione inibitrice di metalli pesanti, come lo zinco, che, in particolari forme di sepoltura, si trovano a diretto contatto con il cadavere, come accade per gli esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo conservativo (cadaveri corificati, ma anche saponificati) provenienti da estumulazione ordinaria. Altissima, in quest’ipotesi è l’incidenza di cadaveri inconsunti sul numero totale di bare scoperchiate.

 

Vi proponiamo questa piccola antologia di operazioni “top secret” da effettuare prima dell’interro, non per sfacciata connivenza con quelle sacche d’illegalità diffusa ed imperante così presenti nel nostro sistema funerario, ma per offrire materiale di seria discussione nel serrato dibattito sulla sempre più necessaria riforma della polizia mortuaria.

 

In diversi cimiteri italiani quando arriva un feretro da inumare, ma confezionato con doppia cassa (trasporto molto distante, trasporto dall’estero) per facilitarne la decomposizione non solo si aprono squarci sul coperchio metallico (pratica già molto discutibile, tuttavia contemplata dall’Art. 75, comma 2 del DPR 285/90), ma si schiude completamente la bara in lamiera, si solleva il cadavere, che magari sta già colliquando, con abbondante perfusione di liquami ammorbanti, si sfila la vasca metallica ed, infine, si ripone la salma, avvolta nell’imbottitura, nella sola cassa di legno. Tale intervento è assolutamente contra legem soprattutto se il cadavere da seppellire è portatore di malattia infettivo diffusiva per le ragioni prima indicate negli stessi Decreti Ministeriali ex Art. 31 e 75 comma 3 DPR n. 285/1990.

 

Questo atto, tecnicamente, dovrebbe impedire ai liquami cadaverici di ristagnare sul fondo della cassa zincata, senza la possibilità di disperdersi liberamente nel sottosuolo.

 

La mancata percolazione dei fluidi cadaverici, infatti, è la principale responsabile dei fenomeni di adipocera (saponificazione)

 

In altri casi, quando gli affossatori sono più accorti (o meno spericolati?), con un trapano si realizzano fori sul fondo della cassa e sul coperchio, così da favorire la percolazione di umori corporei ed acque piovane attraverso la cassa.

 

Naturalmente nessuno ha mai pensato a quale incidente gravissimo potrebbe succedere se la punta del trapano, invece di bucare lamiera ed assi di legno, perforasse i tessuti e l’addome cadavere: quella bara diverrebbe una bella “bomba chimica” di germi altamente patogeni.

C’è poi un terzo stratagemma, appena meno pericoloso: dalla superficie interna della bara si strappano pezzi di zinco, così da provocare una soluzione di continuità nel nastro metallico da cui trafileranno acque piovane, umidità e liquidi postmortali.

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Carlo Ballotta

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5 thoughts on “TECNICHE “BORDER LINE” PER OTTENERE, AI SENSI DELL’ART. 75 COMMA 2 DPR n.285/90, SOLUZIONE DI CONTINUITA’ NELLA LAMIERA DI ZINCO

  1. con l’uso delle bare zincate lo scoppio del feretro è pressochè inevitabile e i liquami cadaverici percolano imbrattando le lapidi, propongo di usare solo cofani ecologici di cartone, legno o cellulosa biodegradabile da mettere nella nuda terra perchè possano distruggersi facilmente, oppure urne cinerarie, mai più bare zincate, loculi e catacombe sotterranee

  2. X Alberto,

    Secondo il paragrafo 9.1 della Circolare Ministeriale 24 giugno 1993 n. 24 E’ opportuno che per i cofani destinati all’inumazione o alla cremazione vengano realizzati gli spessori minimi consentiti ed essenze lignee tenere, facilmente degradabili.

    I materiali da impiegare per la costruzione dei contenitori atti al trasporto dei cadaveri devono assicurare la resistenza meccanica per il necessario supporto del corpo e l’impermeabilità del feretro (legno massiccio e lastra di zinco o piombo quando richiesta). La cassa di legno può essere indifferentemente interna o esterna a quella metallica anche se per motivi estetici è invalso l’uso di disporla all’esterno.

    Per i trasporti da un comune ad un altro comune si usano criteri diversi per la confezione del feretro a seconda della distanza da compiere e ciò, indipendentemente dal tipo di sepoltura prescelta.

    Oltre i 100 km, è d’obbligo la doppia cassa, anche se il feretro è destinato ad inumazione o cremazione. Quella in legno sarà di spessore minimo di 25 mm; quella di zinco di 0,660 mm e quella di piombo di 1,5 mm.

    La funzione della bara è duplice:

    1) facilitare la movimentazione del cadavere durante il trasporto
    2) nascondere alla vista dei dolenti le ripugnanti trasformazioni post-mortali del defunto e preservare la salute pubblica da eventuali forme di contagio dovute ai miasmi cadaverici, poiché nei corpi ormai privi di vita frequenti sono le perdite, dagli orifizi, di liquidi biologici, assolutamente antigienici e maleodoranti.

    La ratio della norma (Art. 30 DPR n. 285/1990) allora è prescrivere per trasporti particolarmente lunghi (> 100 KM) l’impiego di un cofano capace di garantire per tutto il tempo necessario la tenuta stagna contro la perfusione di eventuali liquami cadaverici.

  3. X Alberto,

    il metallo, lavorato in lastre molto sottili, come, appunto, accade per lo zinco destinato ad uso funebre, può, in ogni caso fondere.

    Lo zinco, tra l’altro, trascorre dallo stato solido a quello liquido attorno ai 419,4 Gradi (giusto per esser precisi!), mentre l’ordinaria temperatura d’esercizio del forno, durante la cremazione si attesta su una temperatura leggermente superiore agli 800 gradi centigradi, da mantenersi durante tutto il ciclo della combustione.

    Quasi tutti i moderni impianti di cremazione sono “a riverbero” e non a fuoco vivo, ossia, per ragioni squisitamente morali e non certo tecniche il bruciatore non sprigiona fiamme e vampe capaci di lambire direttamente (o…aggredire?) il feretro, così da bruciarlo brutalmente in stile “rogo medioevale”, la bara, che, durante il processo, dovrà comunque incinerarsi, allora s’incendia spontaneamente, solo in forza del grande calore prodotto nelle sue immediate vicinanze.
    Erroneamente Il risultato di una completa cremazione di cadavere è definito “ceneri” ex Art. 343 comma 1 Regio Decreto n.1265/1934, in realtà si dovrebbe più correttamente ragionare di “ossa calcinate”, ovvero polverizzate, poiché quando residui da una cremazione è appunto un insieme di piccoli frammenti ossei irriconoscibili ad un primo sguardo.

    Il disposto di cui all’Art. 75 comma 2 DPR n.285/1990 (tagli e squarci, di opportune dimensioni da aprire sul coperchio della cassa metallica) è stato pensato in funzione dell’inumazione e non della cremazione, per la quale, come spiegato prima, tale metodo sarebbe del tutto inadeguato nonché inefficiente. Il senso della sullodata norma è produrre soluzione di continuità nel nastro di zinco, così da favorire la lisciviazione del percolato cadaverico e delle acque meteoriche, siccome senza lo scambio di liquidi o composti aeriformi, così come accadrebbe in ambiente stagno (cadavere racchiuso entro cassa metallica sigillata) la normale decomposizione della materia organica risulta del tutto, perniciosamente, inibita.

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