Scoppio del feretro ed azioni legali di risarcimento nel sistema funerario americano

Il rèportage per quest’oggi consiste in una dichiarazione della signora Danell D. Pepson, resa alla commissione d’inchiesta del Senato americano sui problemi di polizia mortuaria negli USA, in data 10 aprile 2000.
Ci hanno colpito la forza e la lucidità delle sue argomentazioni ed abbiamo rilevato tantissimi punti in comune con il caso italiano. Forse, un giorno, anche nel nostro Paese si potrà adire il tribunale per chiedere giustizia dei dolorosi disservizi cimiteriali…

[…]  Il mio nome è Danell D. Pepson.
Ho 37 anni e vivo nella contea di Loudoun, nello stato della Virginia.
Sono una vittima di un increscioso episodio, secondo me causato dalla mancanza di professionalità e dalle avide inclinazioni al denaro facile dei business-men del “caro estinto”, veri padroni senza scrupoli nel deserto senz’anima dell’industria funeraria americana.

In primo luogo, lasciatemi solo qualche secondo della vostra attenzione per introdurre le mie osservazioni, saprete così di quale scabroso argomento parlerò in maniera davvero diffusa e precisa.
Forse, a causa di questa mia schiettezza espositiva, in qualche auditore troppo sensibile potrò anche suscitare ribrezzo e nausea.
Il fatto è senza dubbio raccapricciante e mi assumo “in toto” le responsabilità, in ogni sede, anche giudiziaria, delle mie affermazioni, perché è ora di abbattere quel muro di colpevole ipocrisia e omertà di cui, da sempre, sono circondate le pratiche del post mortem, affinché più nessun cittadino di questo mondo occidentale e civile sia più sottoposto allo strazio prolungato che io ho dovuto subire.

Il 1 aprile 1983, per i funerali di mia nonna Bertha A. Pepson, come erede designata, e, sotto l’aspetto legale, quale avente titolo a disporre della spoglia mortale, ho comprato un solido cofano con vasca interna di metallo, per destinare la cara salma ad una sepoltura in superficie, sopra il livello del campo di terra, costituita da una nicchia muraria, ricavata, a sua volta in un colombario, ossia in un blocco cementizio.

Le informazioni del prospetto che illustrerò a questa Commissione d’inchiesta provengono dai vari manuali e testi di medicina legale e tanatologia forense (come Storia, teoria e Practica, Mayer, 1990; Principi e pratica di imbalsamazione, di Strub e di Frederick, 1986; e “Dalla Morte Alla Polvere”, del Dott. Kenneth Iserson, 1994).

Esistono due fondamentali categorie di fenomeni, che, post mortem, interessano la materia organica:
1. Il DEPERIMENTO, ossia la scomposizione progressiva, grazie ad un ambiente aerobico delle strutture proteiche in composizioni molecolari sempre più semplici, con conseguente produzione di residui privi di ripugnanti odori.
2. La PUTREFAZIONE, processo che, invece si rileva in un contesto anaerobico (con assenza d’ossigeno) con produzione di vapori nauseabondi (solfuro dell’idrogeno, fosfuro dell’idrogeno ed ammoniaca gassosa). È accelerata in presenza d’aria umida. È causata dai batteri anaerobici nelle cellule e nei tessuti che producono velocemente enormi quantità di gas dall’odore acre e putrido, causando il rigonfiamento delle cellule e dei tessuti.
All’interno di una cassa sigillata, quindi, senza nessuno scambio di composti aeriformi con l’esterno, si attivano, con maggior facilità, i batteri anaerobi.
Tali microrganismi, durante la decomposizione, sono i principali responsabili nella produzione spontanea di enormi quantità di gas e contribuiscono ad una veloce distruzione del corpo siccome il cadavere è sottoposto all’attacco di numerosi batteri.

Nei primi mesi del 1990 ho rilevato i primi segnali di quel terribile fenomeno cadaverico-putrefattivo che, in breve, conduce allo scoppio della cassa mortuaria.

I liquidi organici, misti al formolo [4] dall’irresistibile lezzo, usato negli interventi di tanatoprassi, cui il corpo della nonna fu sottoposto, iniziarono a fuoriuscir lentamente dalla cassa; si accumularono vicino all’apertura del tumulo ed, in poco tempo, riuscirono ad infiltrarsi tra le fessure del muro con cui era stato tamponato il loculo, riversandosi fuori della sepoltura, che, badate bene, dovrebbe esser studiata per garantire l’assoluta impermeabilità a fluidi e composti aeriformi.

Per la cronaca, mia nonna era stata tumulata nel cimitero in Uniontown, nella contea di Fayette, Pennsylvania.
Solo a novembre dello stesso anno mi capacitai di questo disgustoso problema, di cui avevo sempre, per paura, ignorato l’esistenza.

Durante i precedenti mesi, i liquami organici continuavano a percolare dalla tomba, spargendosi, in un denso rigagnolo brunastro, sino a raggiungere il prato antistante al colombario, zona in cui il concessionario della sepoltura può anche coltivare fiori.
Ho continuato, per diversi mesi, a visitare regolarmente il cimitero, anche per prendermi cura delle mie piante, sistemate, proprio là, poco dinnanzi alla lapide, in una graziosa aiuola.
Non mi è mai sovvenuto di parlare di quest’anomala situazione con il custode o il personale del cimitero, sebbene gli affossatori in servizio in quella zona dell’area sepolcrale fossero, già da aprile, informati di quest’orribile vicenda.

Se i necrofori svolgono un pubblico servizio, si configura, allora, il reato di omissione in atti d’ufficio, perché nessuno ha provveduto a risanare il loculo ed io non sono mai stata informata sul serio pericolo di contagio che correvo, seguitando a recar visita alle spoglie di mia nonna, senza alcuna protezione, anche in presenza di tracce di formaldeide, sostanza notoriamente cancerogena se inalata o introdotta accidentalmente nell’organismo.
Nessuno si è premurato di recintare la zona ed interdirla all’ingresso del pubblico, io ogni volta mi presentavo al camposanto e, sistematicamente, armata solo della nuda mano, dovevo rimuovere, raschiare con forza dalla mensola della lastra tombale i grumi ispessiti del liquame rappreso.

Pensavo erroneamente, e con molta ingenuità, che quella sostanza torbida e maleodorante fosse d’origine vegetale, dovuta ai residui dell’erba sfalciata dal prato.
Forse innocenti foglie o fili d’erba erano stati “sparati” dalla falciatrice sul ripiano collocato nella zona inferiore della lapide, poi il caldo torrido dell’estate aveva innescato qualche strana reazione chimica, capace di decomporli.

Solo nell’autunno del 1990, alla fine, la perdita d’umori organici divenne più consistente e di portata inarrestabile.
Il marmo della tomba ed il cemento del marciapiede erano ormai continuamente rigati da un rivolo viscido e disgustoso di materia putrida, liquefatta, finché non mi sono accorta io stessa d’aver dita e vestiti impiastricciati con residui guasti di carne umana.
Anche i fiori erano infradiciati e dai petali colavano un umore nerastro, marcio; non sapevo come maneggiarli, così, per non imbrattarmi, senza troppi complimenti, li ho gettati al volo nel cestino della spazzatura, non prima di essermi sporcata l’abito.
L’aria intorno era ammorbata da esalazioni mortifere, allora mi sono decisa a contattare il caposquadra dei necrofori da cui ho scoperto l’indicibile.

Dall’inizio dell’anno diverse persone avevano notato come dal tumulo di mia nonna si sprigionassero i miasmi della decomposizione cadaverica, segno che il trattamento con l’aldeide formica non era stato sufficiente a preservare le sue spoglie dalla corruzione, quindi, da lunghi mesi, ormai, l’intero cimitero, nell’indifferenza generale della direzione, viveva sotto la minaccia di una possibile contaminazione, a causa di quei vapori avvelenati.

Venni poi a conoscenza di un altro macabro, sconvolgente dettaglio: a mia insaputa nell’aprile del ’90 il feretro di mia nonna era stato segretamente estumulato per un’operazione di risanamento.
Il piano d’appoggio del forno, una volta sfilata la cassa, era stato cosparso con una generosa quantità di polvere assorbente, anche il coperchio della cassa (orrore nero) era stato rimosso per versare sui poveri resti, invasi dalla putrefazione, un composto idrofilo, forse calce viva, nel disperato tentativo di contenere l’ormai tumultuosa percolazioni dei liquidi organici.

Perché invece di violentare la salma non è stato predisposto un avvolgimento del feretro danneggiato con un nuovo contenitore [5] metallico o, comunque, impermeabile?
Per quale ragione si è lasciato che dagli squarci nella vasca metallica del feretro fuoriuscissero ancora ed in abbondanza liquidi cadaverici?

Quell’apertura clandestina del sepolcro è stata un atto arbitrario ed illegittimo.
Bisogna ricordare che, nella legislazione americana, per ottenere l’estumulazione straordinaria di una salma gli aventi diritto (ossia i successori del de cuius secondo lo jure sanguinis) debbono presentarsi davanti all’autorità giudiziaria della contea per ottenere, previa testimonianza, l’autorizzazione necessaria al disseppellimento.

Il comportamento dell’amministrazione del cimitero è stato oltraggioso ed arrogante.
La tumulazione, così come è concepita, è una pratica aberrante e barbara, nulla è più osceno di conservare dietro ad un muro il corpo delle persone amate, illudendosi con lo specchietto per le allodole della sepoltura perpetua, quando, poi, i nostri cari subiscono l’estrema ingiuria di microrganismi, batteri e larve che li degradano a poltiglia nauseabonda, con tutta questa brodaglia infetta che si riversa all’esterno, dove tutti i visitatori transitano, vicino alle aiuole e lungo i camminamenti asfaltati.

Chiaramente, questo scandalo viola non soltanto i codici più elementari di sanità pubblica ma anche il sentimento di pietà verso i nostri morti.
A mio avviso, l’industria funeraria è a conoscenza di simili problemi e sta colpevolmente nascondendo queste informazioni ai consumatori [6].
È, inoltre, mio parere che il comparto funerario americano, così come oggi è strutturato, stia perpetrando una colossale frode sul cittadino statunitense, la più grande truffa del secolo passato e corrente.

Quali rigorose norme [7] sono previste per proteggere sia “gli utenti” passivi di questi prodotti, cioè i morti, sia le famiglie che acquistano a prezzi assai esosi [8] cofani a tenuta stagna?
Perché le imprese di servizi funerari si rendono complici di questo doloroso raggiro?
Quando, come società, abbiamo cominciato a permettere tale negligenza e mancanza di dignità riguardo ai nostri morti?
La pubblica autorità ha la necessaria cognizione della compatibilità tecnica di certe casse con la sepoltura in loculo [9]?

In questa battaglia di civiltà che mi vede impegnata da tanto tempo ho scoperto diversi gravi peccati dell’industria funeraria americana.
L’episodio di cui ho parlato non rappresenta certo un caso isolato, sempre più spesso gli stessi necrofori in servizio presso i “mausoleums” confessano di essere in più occasioni convocati d’urgenza la mattina presto (quando le visite dei dolenti consono ancora iniziate) sul luogo di lavoro per riparare casse particolarmente danneggiate.

Da più parti, ormai, si rilevano diversi problemi igienici dovuti alla tumulazione di salme nei colombari epigei [10].
Anche le direzioni dei grandi cimiteri cominciano ad ammettere che siamo dinnanzi alla punta di un immenso iceberg, ma l’informazione fatica ancora a circolare, e questo comportamento omertoso è dovuto ai grandi interessi che il mercato funerario sviluppa.

 


[1] Paradossalmente negli “STATES” molte legislazioni locali di polizia mortuaria non contemplano le esumazioni ordinarie allo scadere del periodo legale di sepoltura; là è del tutto normale che il feretro ed i suoi resti permangano nella fossa in cui furono originariamente inumati per molti decenni o addirittura per sempre. Si configura così una sorta di concessione perpetua anche per i campi di terra.
[2] In presenza di un costante flusso d’aria calda e asciutta che circoli liberamente all’interno dei colombari (come è in uso anche presso parecchi cimiteri europei), il processo naturale di mineralizzazione dei cadaveri, dovuto soprattutto alla progressiva disidratazione a livello dei tessuti molli, consente alla spoglia di mantenere per lungo tempo i connotati e l’aspetto fisico originari, senza alcuna disgustosa deformazione, dovuta alla fase enfisematosa.
[3] Bisogna, però, ricordare che il loculo areato, nell’esperienza americana, almeno, è una scelta praticabile e ragionevole, perché la salma destinata a tumulazione è sempre sottoposta ad un profondo trattamento di tanatoprassi.
Tale azione è capace di ridurre sensibilmente gli effetti della decomposizione, come appunto la fase colliquativa. In un corpo, in cui il sangue sia stato sostituito da formolo oppure altri periossidanti, ai processi putrefattivi si sostituiscono facilmente quelli ossidativi, molto più graduali ed inodori.
[4] L’aldeide formica ed, in genere, i composti del formolo presentano un odore acre e penetrante che, in casi limite, di prolungata esposizione a tali vapori, possono condurre al danneggiamento della mucosa nelle cavità nasali.
[5] In America invece del cassone esterno in zinco o piombo si preferisce attuare il rifascio della bara attraverso un grande sacco di plastica con chiusura perfettamente ermetica.
[6] Le associazioni dei consumatori, particolarmente attive e vigili in ambito funerario invitano pressantemente le famiglie, che si rivolgono all’impresa funebre, ad evitare i cofani dotati di chiusura a tenuta stagna oppure a richiedere che gli impresari stessi rimuovano le guarnizioni o le saldature, tra cassa e coperchio, prima della sepoltura.
[7] In diversi cimiteri, con posti salma destinati soprattutto alla tumulazione, gli addetti aprono di nascosto le guarnizioni o le saldature adducendo specifici motivi d’igiene, sicurezza dei locali adibiti a sepolcreto o sentimenti di pietà verso i defunti, anche se l’operazione sul piano giuridico-formale risulta illegale, proprio perché consiste in una manomissione del feretro senza la necessaria autorizzazione.
Solo i famigliari sono sempre legittimati a richiedere la rimozione o, quanto meno la fessurazione dell’involucro ermetico, appena prima la sepoltura nel loculo o nella cappella gentilizia.
[8] Si ha notizia di bare realizzate addirittura in titanio o con altri metalli “esotici”, mutuati dall’industria aerospaziale.
[9] Molti colombari sono dotati di condotti e sifoni che sfogano i miasmi all’esterno (quasi sempre sul tetto, per questioni di maggior dispersione), naturalmente simili dispositivi debbono essere muniti di valvole depuratrici e filtri.
Il piano d’appoggio dei loculi è, quasi sempre, inclinato nonché munito di una canalina. Questa pendenza permette di convogliare in un apposito pozzetto di stoccaggio e smaltimento eventuali liquami organici percolati dalle ampie fenditure che la vasca metallica ormai denuncia a causa dell’eccessiva pressione sopportata.
[10] Si intenda con questo termine i blocchi murari più alti rispetto al piano di campagna.

 


Written by:

Carlo Ballotta

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