Il “NON” uso reiterato dei sepolcri privati: quali le conseguenze?

Cara Redazione,

alcuni loculi, nominativamente concessi, in modo inspiegabile sono rimasti vuoti, anche dopo la morte dei beneficiari, sugli stessi avelli, del diritto di sepolcro. Quid Juris, per evitare un pesante immobilizzo del sempre più risicato spazio sepolcrale?

Risposta:

In particolare, sulla condizione di incuria, è di ausilio quanto espresso dalla giurisprudenza, con riferimento alla sussistenza dello stato di trascuratezza di un’area cimiteriale, per cui debbono presentarsi precisi requisiti: temporali, nel senso che deve potersi agevolmente dimostrare come da lungo tempo il titolare, o chi per lui, con preciso animus, non si sia recato in loco, ed oggettivi, siccome l’area stessa deve riuscire davvero impraticabile o comunque, il manufatto sulla stessa insistente gravemente deteriorato in seguito al lungo stato di abbandono e degrado[1].

Alla luce delle sullodate considerazioni, il Comune potrà dunque valutare, con la discrezionalità[2] che è propria dell’attività amministrativa, se, in relazione alle previsioni del contratto di concessione, in particolare sulla destinazione impressa ai loculi e sugli obblighi di manutenzione posti in capo al concessionario ed ai suoi aventi causa a lui subentrati, ricadano i presupposti perché possa prospettarsi l’inadempimento[3] contrattuale e, dunque, debba determinarsi la decadenza della concessione.
Possiamo, ora focalizzarci su alcune ultime conclusioni: in linea generale e di massima (e quindi anche senza conoscere il Regolamento nel singolo Comune), allorquando un contratto di concessione di un sepolcro privato (sono tali tutte le “allocazioni” cimiteriali diverse dall’inumazione in campo comune) indichi espressamente i nominativi dei defunti per cui esso è predisposto; il mancato utilizzo o il parziale uso o, ancora, l’estumulazione ex art. 88 D.P.R. 285/90, comportano l’estinzione (naturale o…per causa patologica?) della concessione, come conseguenza dell’esaurimento dei fini per cui era sorta: infatti la consegna di un loculo, ad esempio, da parte del Comune al concessionario potrebbe essere assimilata, in termini civilistici, ad una sorta di obbligazione di risultato (con questa ratio: chi lo riceve in concessione d’uso si impegna ad utilizzarlo per ivi collocare una determinata salma – vale a dire un famigliare – ovvero il corpo esanime di soggetto appartenente ad una determinata categoria sociale, quando ricorrano gli estremi per la concessione ad Enti ex Art. 90 D.P.R 285/90 ).

La concessione palesa profili para-contrattuali; non è, infatti, un contratto privato gestibile in piena autonomia: essa, infatti, implica degli incombenti pubblici, nell’interesse della collettività, a cui la società stessa si deve attenere.
Anche il “non uso” può esser un’inottemperanza cagione di decadenza, si pensi, ad esempio ad una “tomba prenotata”, rimasta vuota anche dopo la morte dell’avente diritto ad esservi tumulato, il quale, ovviamente sia stato sepolto in altro sito, con il conseguente animus, per facta concludentia, di lasciare definitivamente il sepolcro.
La decadenza non è pronunciata, ma dichiarata: sembra solo nominalismo, ma è importante sottolineare come la dichiarazione di decadenza non abbia effetti costitutivi, bensì puramente ricognitivi (la decadenza si attiva per effetto dell’inadempimento da parte dei concessionari).

Accantonando, per un attimo, questi dibattiti un po’ sofistici, una volta che sia intervenuta la decadenza, non essendovi più concessione, il manufatto edificato sull’area, a suo tempo concessa, rientra, per accessione, ex art. 934 e ss. Cod. Civile, nel demanio del Comune, che procede ad assegnazione a terzi, all’abbattimento, o ad ogni altra modalità di utilizzo che ritenga, nel singolo caso, utile.
Di norma i materiali (lapidei e d’arredo) di cui consti il sepolcro possono essere avviati ad impieghi di vario ordine (molti regolamenti comunali di polizia mortuaria, ad esempio, ne prevedono (quando possibile) un riciclo sempre in ambiente cimiteriale, anche ai sensi dell’art. 13 D.P.R. n.254/2003.

Diverso sarebbe se si dovesse constatare l’avvenuta sottoposizione, con atto formale, ad un vincolo da parte della Sovraintendenza per i beni culturali ed ambientali, giusta il D.Lgs 22 gennaio 2004 n. 42.
La titolarità dell’atto è dirigenziale (esclusiva e non derogabile, si veda l’art. 107, comma 4 D.Lgs. n. 267/2000), sia per l’eventuale demolizione delle opere e quanto altro (lett. g), sia per la decadenza vera e propria (lett. f), costituendo quest’ultima il risvolto negativo della concessione.
Sulla ventilata opportunità di procedere con l’adozione di un unico provvedimento: essa senz’altro è percorribile, salvo quando il regolamento comunale di cui agli Artt. 48 comma 3 e 89 D.Lgs. 267/2000 non attribuisca i due compiti a distinti uffici (ma, per come posta la domanda, non sembrerebbe esistere tale distinzione di mansioni per uffici e servizi di polizia mortuaria).
La decadenza è un atto dovuto da parte del Comune (si veda anche T.A.R. Campania, sede di Napoli, Sez. 7^, sent. n. 4589 del 14 ottobre 2013) se non si vuole incorrere nella responsabilità patrimoniale per danno erariale ex Art. 93 D.Lgs n. 267/2000 con segnalazione, di rigore, alla Corte dei Conti, Sez. regionale (l’azione si prescrive in 5 anni).


[1] TAR Piemonte, 3 aprile 1987, n. 130.

[2] Consiglio di Giustizia Amm. Sicilia, 27 Giugno 1978, n. 140:
“Il mero accertamento della trasgressione degli obblighi del titolare della concessione di un’area cimiteriale non comporta “ipso jure” l’estinzione del rapporto, essendo necessario che la p.a. valuti se, avuto riguardo al complesso delle circostanze in cui l’inadempienza si è verificata, sia opportuno o no, il mantenimento del rapporto stesso, dal punto di vista dell’interesse pubblico”.

[3] Gli inadempimenti, reiterati e permanenti, che possono consistere in violazione di legge oppure di atti amministrativi, devono essere in primo luogo tali per cui, se ipotizzabili dall’inizio, avrebbero impedito l’emanazione del provvedimento, ed in secondo luogo non siano dovuti a caso fortuito o a forza maggiore.

Written by:

Carlo Ballotta

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