Cambi nell’organizzazione del lavoro cimiteriale dopo l’emergenza pandemica – 1/2

Il manifestarsi, purtroppo ben noto, della pandemia da COVID-19 ha imposto a tutte le aziende, in particolare quelle ricomprese nei servizi di pubblica utilità ad alta intensità di interazioni umane, come quelle appartenenti al settore cimiteriale, di adottare rapidamente formule di riorganizzazione delle attività lavorative finalizzate alla riduzione – per quanto possibile – dei rischi di infezione del personale, garantendo contestualmente la continuità aziendale.
Le azioni possibili differiscono ovviamente in funzione delle tipologie di attività svolte dalle sotto-unità aziendali, il che rende inevitabile – come primo passo – l’effettuazione (o l’integrazione) di un’analisi focalizzata che delinei con chiarezza i processi aziendali, da reinterpretare in funzione del contesto emergenziale.
In effetti, ferma restando l’importanza del principio generale della riduzione delle interazioni tra le persone, e quindi tra i dipendenti all’interno dell’azienda e tra i dipendenti e i clienti/utenti, i fornitori, i visitatori del cimitero e in genere con persone non appartenenti alla struttura aziendale, le iniziative di riorganizzazione attivabili per le strutture commerciale e amministrativa sono, ad esempio, evidentemente diverse da quelle attivabili per la struttura operativa.
In questo breve contributo ci si concentrerà in particolare sul valore, sulla regolamentazione e sui possibili sviluppi futuri di una delle azioni attivabili, ovvero le forme di forme di lavoro “smart”, che hanno dato un buon contributo per reggere all’urto della prima fase della pandemia e che hanno particolare significato in aziende – come quelle cimiteriali – che gestiscono un servizio pubblico essenziale; si tralasceranno invece altre azioni di riorganizzazione, comunque rilevanti, quale ad esempio la ristrutturazione dei turni dei dipendenti in modo da creare ‘camere stagne’ non comunicanti.
Il lavoro da remoto, nei primi mesi di lockdown generale, ha consentito comunque (e per fortuna) la continuità di una attività produttiva che sarebbe stata impossibile se organizzata in maniera ordinaria.
Seguendo ad esempio quanto accaduto concretamente in un contesto specifico, l’attivazione di forme di lavoro in smart working ha comportato una serie di azioni non banali:
a) la ridefinizione complessiva delle procedure tradizionali seguite quando i dipendenti lavorano in azienda, in uno sforzo di ‘omogeneizzazione’ tra i due schemi di lavoro, quando possibile;
b) la fornitura ai dipendenti da parte dell’azienda di computers portatili e, contestualmente, di chiavette per il collegamento alla rete aziendale – qualora i dipendenti non fossero forniti di (o disposti a rendere disponibile) propria rete wifi casalinga;
c) l’attivazione di linee vpn in grado di garantire tale collegamento con la rete aziendale;
d) la fornitura ai dipendenti di cellulari ai quali girare le chiamate degli utenti/clienti;
e) l’attivazione della possibilità che i dipendenti comunichino con gli utenti/clienti tramite applicativi di videochiamata, in modo da poter restituire quanto più possibile fedelmente l’esperienza del ‘rapporto diretto’;
f) l’utilizzo più intensivo della comunicazione e dell’invio dei documenti via posta elettronica, anche certificata, sia con i clienti/utenti ‘evoluti’, sia con le aziende (es. le Agenzie di Onoranze Funebri);
g) laddove necessario, l’attivazione di una formazione specifica ai dipendenti sulle procedure e sugli applicativi utilizzati per la connessione e per la gestione del rapporto con gli utenti/clienti, nonché il rafforzamento delle competenze sui ‘normali’ applicativi aziendali e sull’uso della posta elettronica, divenuto ancor più uno strumento privilegiato di comunicazione;
h) la ridefinizione del sistema di comunicazione tra responsabili e collaboratori, nonché delle attività di controllo delle attività effettivamente gestite;
i) la sostituzione della presenza di personale in sedi distaccate con sistemi di videochiamata e di stampa remota della documentazione e dei contratti, gestibili anche dai dipendenti in smart working.
Si tratta di azioni che impattano significativamente su un’organizzazione aziendale, ma che hanno un peso ancora maggiore nel momento in cui ci si rende conto, come ci si sta rendendo conto, che lo smart working ha cambiato e cambierà radicalmente il rapporto tra le persone, il lavoro e l’impresa: e il riferimento al futuro non è casuale.
L’Osservatorio del Politecnico di Milano prevede che in Italia post Covid ci saranno almeno un terzo delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti in Smart working, mentre Il sociologo De Masi ha paragonato la portata del cambiamento a quello della rivoluzione fordista e taylorista di inizio secolo.
L’impatto non sarà neutro né già preordinato, dipenderà dalle scelte che si faranno e dalla capacità di gestire il cambiamento su molti livelli.
In termini di organizzazione aziendale, lo smart working ha accelerato in maniera formidabile la trasformazione digitale dei processi organizzativi, ponendo l’impresa di fronte a sfide culturali, organizzative e manageriali senza precedenti.
L’introduzione ‘forzata’ di una soluzione organizzativa preesistente, ma probabilmente sottoutilizzata, ha imposto ai ruoli guida, a chi gestisce team di lavoro, l’impegno ad evolvere il proprio stile di leadership, passando da una gestione del collaboratore “a vista” e con un’obbligazione di tempo, ad una “ad obiettivi”, dove la responsabilità diventa il risultato; il cambiamento quindi non si limita ai ruoli operativi, in quanto sono gli stessi leader a dover acquisire e sviluppare nuove capacità, quali la delega ed il controllo, la gestione del feedback e la capacità di motivare le Risorse a distanza.
Per sviluppare queste capacità è necessario allenarsi praticando valori agiti come l’inclusività, lo stimolo alla partecipazione attiva e l’ascolto verso i propri collaboratori costruendo, alla fine del percorso, un nuovo patto tra impresa e lavoratore che si fonda sullo scambio di maggior fiducia e autonomia da un lato, che deve avere come contropartita una maggior responsabilità e coinvolgimento dall’altro.
Gli obiettivi di questo patto, in estrema sintesi, sono una maggior produttività da parte dell’impresa ed un maggior livello di libertà ed autonomia di conciliazione dei tempi vita-lavoro per i lavoratori.

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