TAR Campania, Sez. VII, 22 gennaio 2015, n. 441

Testo completo:
TAR Campania, Sez. VII, 22 gennaio 2015, n. 441
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 498 del 2013, proposto da:-OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avv. Francesco Saverio Orlando, con domicilio eletto presso il medesimo in Napoli, Via Bartolo Longo n. 333;
contro
Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Gabriele Romano, Giuseppe Dardo, Barbara Accattatis Chalons D’Oranges, Antonio Andreottola, Eleonora Carpentieri, Bruno Crimaldi, Annalisa Cuomo, Anna Ivana Furnari, Giacomo Pizza, Anna Pulcini, Bruno Ricci, domiciliato in Napoli, piazza Municipio;
nei confronti di
-OMISSIS-
per l’annullamento,
della disposizione dirigenziale n. -OMISSIS-avente ad oggetto la revoca della concessione di suolo cimiteriale di cui alla disposizione dirigenziale n.-OMISSIS-nonchè per l’effetto l’acquisizione del manufatto funebre ivi realizzato;
nonché per il risarcimento dei danni;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2014 la dott.ssa Diana Caminiti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- I ricorrenti impugnano il provvedimento del Comune di Napoli che ha disposto la revoca decadenziale della concessione di suolo cimiteriale rilasciata nel Cimitero cittadino di Poggioreale, deducendone l’illegittimità per violazione di legge (artt. 53 e 44 del vigente Regolamento Comunale di Polizia Mortuaria, approvato con delibera di C.c. n. 11 del 21 febbraio 2006; violazione artt. 62 e 108 del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria approvato con D.P.R. n. 285/90; artt. 3,42 e 97 Cost.; artt. 3,7, 10 bis, 21 quinquies, octies e nonies della legge 241/1990; art. 11 delle preleggi) e per eccesso di potere sotto molteplici profili, chiedendone l’annullamento. Hanno altresì richiesto il risarcimento dei danni.
2.- L’amministrazione comunale, ritualmente costituita in giudizio, conclude per il rigetto.
3.- All’udienza del 5 giugno 2014, fissata per la trattazione dell’incidente cautelare, parte ricorrente ha richiesto la cancellazione della causa dal ruolo delle cautelari.
4.- All’udienza pubblica del 4/12/2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
5.- Il Tribunale giudica il ricorso infondato, alla stregua del costante orientamento espresso in relazione ad identiche fattispecie, orientamento che è stato confermato dal Consiglio di Stato in molteplici e recenti pronunce (da ultimo Consiglio di Stato, ex multis sez. V, sent. 6113 del 11/12/2014; Consiglio di Stato sez. Vsent. 05371 del 29/10/2014).
6.- Lo jus sepulchri.
Il Collegio ritiene opportuno premettere una breve ricostruzione dello jus sepulchri. Il diritto al sepolcro intorno al quale è causa costituisce in generale, secondo dottrina e giurisprudenza consolidata, un istituto complesso, scomponibile in più fattispecie: si distingue anzitutto un diritto primario al sepolcro, inteso come diritto ad essere seppellito ovvero a seppellire altri in un determinato sepolcro, diritto distinto a sua volta in sepolcro ereditario e sepolcro familiare o gentilizio; si distingue ancora un diritto sul sepolcro inteso in senso stretto, come diritto sul manufatto che accoglie le salme; si identifica infine, ed è un accessorio dei due precedenti, un diritto secondario al sepolcro inteso come diritto di accedervi fisicamente e di opporsi ad ogni atto che vi rechi oltraggio o pregiudizio (per la distinzione fra diritto primario al sepolcro e diritto sul manufatto, si veda per tutte la motivazione di Cass. civ., sez. III, 15 settembre 1997, n. 919).
7.- La normativa in materia.
Sempre in generale, va affermato, che, anche prima dell’entrata in vigore del codice del 1942, i cimiteri erano beni di proprietà comunale, come tali in linea di principio non liberamente disponibili; di conseguenza la costituzione di cappelle private nell’ambito degli stessi si configurava pacificamente non come cessione del relativo spazio ad un privato acquirente, ma come concessione dello stesso.
Sul punto specifico, una norma nazionale espressa fu introdotta con l’art. 71 del R.D. 21 dicembre 1942 n. 1880 (G.U. 16 giugno 1943), sostitutivo di un regolamento del 1892, ai sensi della quale la cessione a terzi delle tombe di famiglia era consentita se non “incompatibile con il carattere del sepolcro” e “sempre che i regolamenti comunali ed i singoli atti di concessione non dispongano altrimenti”.
Il regolamento del 1942 fu poi superato dal D.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803 (G.U. 26 gennaio 1976), che all’art. 94 lo innovò prevedendo un divieto assoluto di cessione, nel senso che “il diritto di uso delle sepolture private è riservato alla persona del concessionario ed a quelle della propria famiglia ovvero alle persone regolarmente iscritte all’ente concessionario, fino a completamento della capienza del sepolcro”: divieto confermato dall’identico primo comma dell’art. 93 del D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 (G.U. 12 ottobre 1990), succeduto al precedente (Art. 93: “1. Il diritto di uso delle sepolture private concesse a persone fisiche è riservato alle persone dei concessionari e dei loro familiari; di quelle concesse ad enti è riservato alle persone contemplate dal relativo ordinamento e dall’atto di concessione. In ogni caso, tale diritto si esercita fino al completamento della capienza del sepolcro. 2. Può altresì essere consentita, su richiesta di concessionari, la tumulazione di salme di persone che risultino essere state con loro conviventi, nonché di salme di persone che abbiano acquisito particolari benemerenze nei confronti dei concessionari, secondo i criteri stabiliti nei regolamenti comunali.”).
Tale regime giuridico è comprovato dall’art. 824, comma secondo, del codice civile del 1942 secondo il quale i cimiteri comunali sono soggetti al regime giuridico del demanio pubblico, e quindi sono in primo luogo inalienabili ai sensi dell’art. 823 c.c., comma primo, prima parte. In tal modo il codice civile ha introdotto una conformazione generale delle aree cimiteriali, e quindi dei relativi diritti, che non fa in alcun modo salve le situazioni preesistenti: ne consegue che la natura semplicemente concessoria del diritto di sepolcro andrebbe, in tesi, tenuta attualmente ferma anche se per ipotesi fosse stata esclusa dal regime previgente.
In termini riassuntivi, la cessione di un diritto di sepoltura privata, anche qualora consentita, non si può configurare come una semplice alienazione da privato a privato, ma richiede –e tale è un punto dirimente della presente vicenda – l’intervento dell’autorità concedente. Ciò risulta anzitutto dai principi in tema di concessioni, che nei rapporti fra privati sono fonte di diritti soggettivi perfetti, i quali però degradano a diritti affievoliti nei rapporti con la p.a. (cfr. ex pluris, Cass. civ., sez. II, 25 maggio 1983 n. 3607).
Risulta, inoltre, anche da un esplicito dato normativo, pur riferito ad una norma non più vigente, ovvero dal già citato art. 71 del R.D. 21 dicembre 1942 n. 1880, che nel disciplinare la vicenda traslativa del diritto di sepolcro, allora consentita, configurava –significativamente– l’acquirente come “nuovo concessionario” e prevedeva la possibilità di un “veto” del Comune alla cessione.
8.- Il regime giuridico della concessione cimiteriale.
Su queste premesse, è agevole ricostruire i dicta giurisprudenziali in materia che si sostanziano nella affermazione secondo cui la cessione di un diritto al sepolcro, tanto nel suo contenuto di diritto primario di sepolcro quanto nel suo contenuto di diritto sul manufatto, va in astratto configurata come voltura di concessione demaniale, sottoposta al requisito di efficacia della autorizzazione del concedente, ovvero del Comune (cfr. in tali termini esplicitamente Cass. civ. sez. II, 25 maggio 1983, n. 3607, nonché T.A.R. Calabria, 26 gennaio 2010 n. 26; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 24 dicembre 1997, n. 2675; T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 1 giugno 1994 n. 989; T.A.R. Lombardia, Brescia, 30 aprile 2010, n. 1659).
L’autorizzazione, a sua volta, si sostanzia in “un nuovo esercizio del potere discrezionale dell’ente concedente di attribuire la concessione a terzi” (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 1 giugno 1994, n. 989), e come tale, deve di necessità seguire il regime giuridico vigente nel momento in cui essa deve essere pronunciata: in altri termini, si potrà rilasciare solo se in quel dato momento la concessione è, alla stregua dell’ordinamento, considerata cedibile.
Coglie, dunque, con precisione la “doppia” natura della posizione del privato il Consiglio di Stato quando testualmente afferma: “il diritto sul sepolcro già realizzato è un diritto soggettivo perfetto di natura reale assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di possesso e soprattutto di trasmissione sia “inter vivos” che per via di successione “mortis causa”, e come tale opponibile agli altri privati, atteso che lo stesso nasce da una concessione amministrativa avente natura traslativa di un’area di terreno o di una porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale; peraltro nei confronti della p.a. tale diritto è suscettibile di affievolimento, degradando ad interesse legittimo, nei casi in cui esigenze di pubblico interesse, per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, impongano o consiglino all’Amministrazione di esercitare il potere di revoca della concessione “(cfr. in termini Consiglio di Stato, sez. V, 26 giugno 2012, n. 3739).
Come evidenziato dal Consiglio di Stato sez. V 8 marzo 2010, n. 1330 e ribadito da ultimo – in relazione a fattispecie identica a quella di cui è causa, relativa del pari alla “revoca decadenziale disposta dal Comune di Napoli, per violazione degli artt. 44 e 53 del Regolamento di Polizia Mortuaria, da Consiglio di Stato sez. V, sent. 6113 del 11/12/2014 – in coerenza con gli indirizzi consolidati del giudice ordinario, “lo “ius sepulchri”, ossia il diritto, spettante al titolare di concessione cimiteriale, ad essere tumulato nel sepolcro, garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene e si atteggia come un diritto reale nei confronti dei terzi. Ciò significa che, nei rapporti interprivati, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di godimento. Tuttavia, laddove tale facoltà concerna un manufatto costruito su terreno demaniale, lo ius sepulchri costituisce, nei confronti della pubblica amministrazione concedente, una posizione che soggiace ai poteri regolativi e conformativi di stampo pubblicistico. In questa prospettiva, infatti, dalla demanialità del bene discende l’’intrinseca “cedevolezza” del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su bene pubblico (Consiglio Stato, sez. V, 14 giugno 2000, n. 3313)”.
E’ stato quindi sottolineato che “…come accade per ogni altro tipo di concessione amministrativa di beni o utilità, la posizione giuridica soggettiva del privato titolare della concessione tende a recedere dinnanzi ai poteri dell’amministrazione in ordine ad una diversa conformazione del rapporto”, trattandosi “…di una posizione soggettiva che trova fonte, se non esclusiva, quanto meno prevalente nel provvedimento di concessione”, così che “…a fronte di successive determinazioni del concedente” sussistono posizioni di interesse legittimo.
È stato precisato che il rapporto concessorio deve rispettare tutte le norme di legge e di regolamento emanate per la disciplina dei suoi specifici aspetti, osservando che “In particolare, lo “ius sepulchri” attiene ad una fase di utilizzo del bene che segue lo sfruttamento del suolo mediante edificazione della cappella e che soggiace all’applicazione del regolamento di polizia mortuaria. Questa disciplina si colloca ad un livello ancora più elevato di quello che contraddistingue l’interesse del concedente e soddisfa superiori interessi pubblici di ordine igienico-sanitario, oltre che edilizio e di ordine pubblico”.
E’ stata anche ritenuta non persuasiva la tesi “…secondo cui, una volta costituito il rapporto concessorio, questo non potrebbe essere più assoggettato alla normativa intervenuta successivamente, diretta a regolamentare le concrete modalità di esercizio dello ius sepulchri, anche con riferimento alla determinazione dall’ambito soggettivo di utilizzazione del bene”, non essendo “…pertinente…il richiamo al principio dell’articolo 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall’amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti” (in termini anche Cons. St., sez. V, 27 agosto 2012, n. 4608).
E’ stato altresì evidenziato che il rapporto concessorio in questione è “…pienamente sottoposto alla disciplina contenuta nell’articolo 92, comma 4, del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, il quale, a sua volta, riprende, sostanzialmente, i principi cardine della regolamentazione contenuta nell’articolo 93, comma 4, del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, in vigore sin dal 10 febbraio 1976”, tra cui è ricompressa anche “…la nullità degli atti di cessione totale o parziale del diritto di uso dei sepolcri”.
In definitiva nel nostro ordinamento il diritto sul sepolcro già costituito nasce da una concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno o di porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.) e tale concessione, di natura traslativa, crea a sua volta nel privato concessionario un diritto soggettivo perfetto di natura reale (suscettibile di trasmissione per atti inter vivos o mortis causa) e perciò opponibile iure privatorum agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che dà luogo a posizioni di interesse legittimo, nei confronti degli atti della pubblica amministrazione nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero impongono o consigliano alla pubblica amministrazione il potere di esercitare la revoca della concessione (Cassazione civile, sez. II, 30 maggio 2003, n. 8804; 7 ottobre 1994, n. 8197; 25 maggio 1983, n. 3607; Consiglio di Stato, sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294).
9. – La fattispecie per cui è causa.
In relazione alla presente contesa, si evidenzia come il Comune di Napoli, a seguito di indagini della Polizia Giudiziaria, abbia constatato che molteplici edicole funerarie non erano gestite dai rispettivi concessionari, ma, inaudito domino, erano state alienate a terzi.
Deve poi aggiungersi che il Regolamento di Polizia Mortuaria e dei Servizi Funebri e Cimiteriali, approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 11 del 21 febbraio 2006, per quanto qui interessa, all’art. 44 ha fissato i principi generali del regime concessorio, prevedendo, tra l’altro, che “Ai sensi degli articoli 823 e 824 del Codice Civile, il Cimitero ha carattere demaniale. La concessione di sepoltura privata è concessione amministrativa di bene demaniale con diritto di uso non alienabile, data la natura demaniale dei beni cimiteriali, il diritto d’uso di una sepoltura lascia integro il diritto alla nuda proprietà dell’Amministrazione Comunale. I manufatti costruiti da privati su aree cimiteriali poste in concessione diventando di proprietà dell’Amministrazione Comunale, come previsto dall’art. 953 del C.C., allo scadere della concessione, se non rinnovata” (comma 1); che “non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone o enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione” (comma 5) e che “La concessione può essere soggetta: a. a revoca per esigenze di pubblico interesse, assegnando però fino alla scadenza della concessione originaria altra area e sistemazione equivalente; b. a decadenza, per inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere oppure per inadempienza agli obblighi del concessionario in fase di costruzione dei manufatti e di mantenimento degli stessi; c. a rinuncia da parte del concessione con retrocessione del bene” (comma 9).
L’articolo 49, disciplinando specialmente l’ipotesi della decadenza, dispone al comma 4 che “il concessionario è tenuto a provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’area in concessione e del manufatto in diritto d’uso…In difetto dovrà essere dichiarata la decadenza della concessione del suolo e dal diritto d’uso del manufatto”, aggiungendo al comma 5 che “Il Dirigente del Servizio competente procederà alla determinazione della declaratoria della decadenza dalla concessione del suolo e contestuale incameramento del deposito cauzionale e del corrispettivo versato per la concessione del suolo ovvero degli importi a qualunque titolo versati e delle opere edilizie eventualmente realizzate”.
L’articolo 53 (“Cessione tra privati”) afferma che “E’ vietata qualunque cessione diretta tra privati”.
Ciò posto, premesso che è insito nel sistema concessorio che l’amministrazione deve costantemente essere messa a parte, in forma giuridica, della cessione, instaurando –se del caso – un nuovo rapporto concessorio, nella fattispecie da esaminare, è dirimente che l’atto di compravendita per notaio -OMISSIS-, da un lato, e -OMISSIS-dall’altro, sia posteriore al Regolamento di Polizia Mortuaria del Comune di Napoli, approvato con delibera consiliare 26.2.2006 n. 11.
Non spetta a questo giudice definire in termini completi la leggibilità di tali evenienze in ottica penalistica ovvero civilistica: resta tuttavia evidente che la cessione, per poter essere efficace doveva essere notificata secondo lo schema di cui agli articoli 1264 e 980 c.c. (richiamando, inoltre, le forme proprie, per analogia, di cessione ex art. 69 R.D. 2440/1923).
In tutte le fattispecie in cui, come la presente, i relativi atti notarili sono stati rogati dopo il 2006, non si pone, peraltro, alcuna questione di retroattività, alla stregua di quanto dianzi osservato, ma solo di adeguamento alla disciplina amministrativa –che sempre continua a connotare il diritto acquisito con la concessione – vigente in base al generalissimo criterio tempus regit actum, trattandosi di rapporto di durata, come tale, suscettibile di essere sottoposto, per l’avvenire allo ius superveniens, secondo i principi al riguardo anche enunciati dalla giurisprudenza della Suprema Corte allorquando ha enucleato la fattispecie della nullità sopravvenuta, rectius della “nullità successiva” (cfr., al riguardo ex multis Cassazione civile sez. III, 26 gennaio 2006, n. 1689, secondo cui “Relativamente ai rapporti di fideiussione per obbligazioni future la cui durata era in corso alla data di efficacia della norma del comma 2 dell’art. 1956 c.c., aggiunta dall’art. 10 della legge n. 154 del 1992, in virtù della corretta applicazione dell’art. 11, comma 1 preleggi della norma, mentre non comporta la nullità sopravvenuta fin dalla nascita del rapporto contrattuale della clausola di rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione dalla garanzia ai sensi del comma 1 dell’art. 1956, ove ne ricorrano i presupposti, con la conseguenza che la clausola, dovendo ritenersi valida ed efficace fino al momento dell’entrata in vigore del suddetto comma 2, è idonea ad escludere la liberazione del fideiussore riguardo alle obbligazioni principali sorte prima di quel momento, viceversa, determina la nullità sopravvenuta , con effetto da quel momento ed in forza dell’applicazione dell’art. 1339 c.c., della clausola convenzionale stessa, con la conseguenza che l’esclusione della liberazione del fideiussore da tale clausola disposta, ove ricorrano i presupposti del citato comma 1, non può trovare giustificazione in essa, riguardo ad obbligazioni principali che siano sorte soltanto dopo quel momento”).
Perspicua, in argomento, la richiamata pronuncia del Consiglio di Stato ove ha affermato: “si tratta, in sostanza, di una posizione soggettiva [lo jus sepulchri] che trova fonte, se non esclusiva, quanto meno prevalente nel provvedimento di concessione. Quindi, a fronte di successive determinazioni del concedente, la facoltà del concessionario degrada al rango di mero interesse legittimo. Ne deriva che gli strumenti di tutela del titolare, nei confronti del concedente, si riducono a quelli che assistono l’interesse legittimo anziché il diritto soggettivo, senza alcuna connotazione di assolutezza e pienezza, come avviene, invece, nei riguardi dei soggetti privati. E’ quindi indubbio che il rapporto concessorio debba rispettare tutte le norme di legge e di regolamento emanate per la disciplina dei suoi specifici aspetti. (…) Non è persuasiva, allora, l’affermazione del ricorrente in primo grado, secondo cui, una volta costituito il rapporto concessorio, questo non potrebbe essere più assoggettato alla normativa intervenuta successivamente, diretta a regolamentare le concrete modalità di esercizio del ius sepulchri, anche con riferimento alla determinazione dall’ambito soggettivo di utilizzazione del bene. Non è pertinente, quindi, il richiamo al principio dell’articolo 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall’amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti.” (cfr. in termini Consiglio di Stato, sez. V, 8 marzo 2010 n. 1330).
10. – Il provvedimento impugnato.
Dalla documentazione allegata emerge che il Comune di Napoli con disposizione dirigenziale n. 2 del 24/01/2003 ha concesso l’area di estensione di mq. -OMISSIS- – -OMISSIS-, e che la stessa è medio tempore pervenuta a-OMISSIS-che lo avevano acquistato da -OMISSIS- su tale area è stato poi realizzato il manufatto funebre oggetto poi di cessione a -OMISSIS-con l’atto di compravendita del 27 gennaio 2009, che ha dato causa alla “revoca demenziale” qui in discussione.
Tale contratto peraltro è stato preceduto immediatamente e contestualmente dalla stesura di una procura speciale a favore dell’acquirente, rilasciata dal venditore per compiere tutti gli atti di gestione ordinaria e straordinaria inerenti al manufatto fino alla vendita.
E’ seguita la determinazione impugnata. Per quanto attiene a tale provvedimento, il Tribunale rileva che è fuori di dubbio che l’amministrazione abbia (solo) inteso stigmatizzare il venir meno del presupposto fondamentale del rapporto concessorio, vale a dire il carattere personale dello stesso che da sempre ne connota una delle principali caratteristiche.
Il regolamento locale del 2006, nella parte quinta, disciplinando il rapporto concessorio afferma, come detto, all’art. 53 che “la concessione non è cedibile fra privati”.
Tale norma non è da considerarsi però residuale ed amministrativamente “in bianco” (priva cioè di una conseguenza esplicitata), come sembra intendere la difesa di parte ricorrente, ma contribuisce a specificare quello che a chiare lettere impone l’art. 44 e seguenti.
Come infatti afferma quel capo, siamo:
– dinanzi ad un bene demaniale, rispetto al quale la p.A. non perde mai i suoi poteri regolatori;
– è ipotizzabile solo un “uso” personale e non teso ad un affaristico utilizzo dello stesso;
– dopo la disciplina della revoca e della decadenza, è sancito, quale ripetitiva esplicitazione della incommerciabilità, il divieto di cessione fra privati. (Testualmente: 1. Ai sensi degli articoli 823 e 824 del Codice Civile, il Cimitero ha carattere demaniale. La concessione di sepoltura privata è concessione amministrativa di bene demaniale con diritto di uso non alienabile, data la natura demaniale dei beni cimiteriali, il diritto d’uso di una sepoltura lascia integro il diritto alla nuda proprietà dell’Amministrazione Comunale. I manufatti costruiti da privati su aree cimiteriali poste in concessione diventano di proprietà dell’Amministrazione Comunale come previsto dall’art. 953 del C.C., allo scadere della concessione, se non rinnovata. 2. Con la concessione l’amministrazione Comunale assegna al privato una determinata area cimiteriale o un determinato manufatto con diritto di uso temporaneo ai sensi del 1° comma dell’art. 92 del D.P.R. 10-09-1990 n. 285.)
Deve allora concludersi, a giudizio del Tribunale, che, superando la definizione in concreto utilizzata dal Comune di “revoca decandenziale” la decadenza dalla concessione è in re ipsa rispetto a colui che si spoglia (a guisa quasi di rinuncia) del bene concesso, ponendo in crisi la stessa identificabilità “genetica” del rapporto concessorio.
11. – I motivi articolati in ricorso.
Sulla base di queste rilevazioni già dirimenti, il Tribunale –nelle forme sintetiche imposte dal C.P.A.– passa in rassegna i singoli motivi articolati in ricorso, avendo riguardo alla loro connessione oggettiva.
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 53 del Regolamento locale di polizia mortuaria, sulla base del rilievo che lo stesso vieterebbe la cessione della concessione di suolo cimiteriale, mentre nell’ipotesi di specie vi sarebbe stata la cessione della mera proprietà superficiaria, nonché la violazione del principio di irretroattività ex art. 11 delle preleggi, che si imporrebbe in relazione alle disposizione di carattere regolamentare ed infine la violazione dell’art. 62 del D.P.R. 285/90, che non conterrebbe alcun divieto di alienazione di diritti superficiari: Con il secondo motivo si deduce la illegittimità dell’art. 53 del Regolamento locale di polizia mortuaria, il quale limiterebbe l’esercizio di un diritto reale, limitazione possibile solo in forza di una disposizione legislativa e non di una meramente regolamentare, ex art. 42 Cost, nonché per contrasto con le disposizioni legislative di rango primario e con il Regolamento di Polizia Mortuaria adottato con D.P.R. 285/90, nonché la mancata comunicazione di avvio del procedimento in relazione all’emanazione di tale regolamento. Con il terzo motivo parte ricorrente deduce del pari la violazione del principio di irretroattività, anche in considerazione del rilievo che il precedente regolamento non poneva alcun divieto di cessione. Con il quarto motivo si deduce che erronea sarebbe la qualificazione contenuta nell’atto gravato, di nullità del contratto di compravendita per violazione di norme imperative, non potendo le norme imperative identificarsi con norme di rango regolamentare. Con il quinto motivo di ricorso viene dedotta la mancata esternazione delle ragioni di pubblico interesse poste a base dell’atto di autotutela. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta la circostanza che l’Amministrazione, nell’ipotesi di specie, avendo rappresentato il contrasto con gli artt. 44 e 53 del Regolamento di Polizia Mortuaria, avrebbe dovuto adottare un atto di annullamento ex art. 21 nonies della l. 241/90 e non procedere all’adozione di un atto di revoca, il quale dovrebbe considerarsi altresì illegittimo per violazione del disposto degli art. 21 quinquies l. 241/90, non essendo stato corrisposto il previsto indennizzo. Con il settimo motivo invece si lamenta la violazione del principio del giusto procedimento, per non essere stati ricorrenti posti in grado di partecipare al procedimento amministrativo, in violazione degli artt. 7 e 10 bis l. 241/90. Con l’ottavo motivo si deduce infine il difetto di motivazione dell’atto impugnato, per impossibilità di ricostruire l’iter logico seguito.
I motivi non possono essere accolti, stante la loro palese infondatezza.
In ordine al primo motivo di ricorso basti rinviare a quanto in precedenza osservato circa la duplice valenza dello ius sepulcri che si atteggia come diritto reale nei confronti dei terzi, mentre nei confronti della P.A. si atteggia sempre come rapporto fondato sulla concessione di suolo cimiteriale, per cui non sarebbe possibile una cessione del diritto di proprietà superficiaria senza la previa cessione della concessione di suolo cimiteriale su cui insiste la proprietà medesima. Infatti secondo quanto in precedenza osservato “laddove tale facoltà concerna un manufatto costruito su terreno demaniale, lo ius sepulchri costituisce, nei confronti della pubblica amministrazione concedente, una posizione che soggiace ai poteri regolativi e conformativi di stampo pubblicistico. In questa prospettiva, infatti, dalla demanialità del bene discende l’’intrinseca “cedevolezza” del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su bene pubblico (Consiglio Stato, sez. V, 14 giugno 2000, n. 3313)”.
Quanto alla violazione del principio di irretroattività, diffusamente articolata nei motivi di ricorso, è sufficiente rammentare, secondo quanto innanzi osservato, che l’amministrazione comunale, nel 2006, ha innovato la disciplina funeraria tramite la elaborazione di un innovativo regolamento di polizia mortuaria.
La sua applicabilità ai rapporti in corso e la sua doverosa conoscenza da parte dei destinatari, quale atto generale normativo, discende dai principi generali, alla luce di quanto innanzi osservato.
Esaustivo è, a tal proposito, il richiamo a quanto questo stesso Tribunale ha già affermato in argomento: “occorre preliminarmente respingere le censure che denunziano vizi procedimentali – con particolare riguardo alla mancanza del giusto contraddittorio – dell’approvazione del nuovo regolamento di polizia mortuaria. È evidente che il regolamento, in quanto atto normativo, sfugge alla sequenza procedimentale delineata dalla legge n. 241 del 1990, trattandosi di atto rivolto verso una generalità di destinatari. Ne consegue che i destinatari della nuova disciplina regolamentare non hanno alcuna pretesa giuridicamente rilevante alla partecipazione procedimentale prevista dalla legge generale sul procedimento amministrativo. Del pari infondata è la censura di vizio dell’atto per aver indebitamente introdotto disposizione sfavorevole con portata retroattiva. A tal proposito vale osservare che, a differenza della disciplina precedente – vedi in particolare gli artt. 267 e ss. del delibera consiliare n. 291 del 3 ottobre 1995 – con scelta non irragionevole il Consiglio comunale ha deciso di vietare qualsiasi cessione diretta fra privati della concessione cimiteriale e degli annessi manufatti. L’articolo 53 del nuovo regolamento, infatti, prevede che il privato che non abbia più interesse alla titolarità della concessione possa retrocederlo all’amministrazione comunale in cambio del corrispettivo di due terzi di quanto pagato per ottenerla (confronta il rinvio alla disciplina contenuta nell’articolo 50). È evidente che la nuova regola debba trovare applicazione nei confronti di qualsiasi concessione mortuaria, senza che abbia rilevanza il momento temporale in cui la stessa è stata rilasciata. In tale ipotesi, invero, non può correttamente parlarsi di applicazione retroattiva in senso tecnico della norma sopravvenuta, la quale si limita a regolamentare i futuri atti di cessione fra privati, onde è senza dubbio rivolta verso il futuro. È ben vero che la nuova disciplina altera le regole cristallizzate al momento del rilascio della concessione, ma tale circostanza deve trovare il suo apprezzamento nel rispetto dell’affidamento creato nel privato e non nel principio di (tendenziale) irretroattività dell’azione amministrativa. Così impostata la questione, non sembra che l’amministrazione comunale abbia inciso indebitamente sul legittimo affidamento creato nei privati titolari di concessioni già rilasciate al momento dell’entrata in vigore del nuovo regolamento di polizia mortuaria. Da un lato, infatti, sarebbe stato irragionevole prevedere una regolamentazione differenziata fra i titolari delle vecchie concessioni ed i titolari delle nuove concessioni; dall’altro il bilanciamento degli opposti interessi trova un punto di equilibrio nella previsione di un regime transitorio (art. 58), il quale consente, per dodici mesi dall’entrata in vigore del nuovo regolamento, di alienare il diritto concessorio nei termini stabiliti dalla previgente disciplina. Pertanto, tenuto conto che la negativa incidenza in termini di valutazione economica del diritto concessorio non vale di per sé a rendere illegittima la nuova disciplina, il ricorso deve essere respinto.” (cfr. in termini T.A.R. Campania, Napoli, se. I, 28 luglio 2009, n. 4427).
Da ciò l’infondatezza anche della censura riferita alla violazione dell’art. 7 l. 241/90, in relazione all’adozione del nuovo Regolamento di Polizia Mortuaria. Del pari insussistente è la violazione di tale disposto normativo in relazione all’atto oggetto di impugnativa, che, secondo quanto risultante dagli atti, è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento; del tutto inconferente è poi il richiamo al disposto dell’art. 10 bis l. 241/90, non venendo in rilievo un procedimento attivato ad istanza di parte, ma un procedimento sanzionatorio attivato d’ufficio.
Né, infine, alcuno spazio, vale sottolinearlo, è evidenziabile in tema di affidamento incolpevole da tutelare.
Come convincentemente osserva la difesa del Comune (memoria del 30.05.2014 pag. 5), le parti davanti al notaio hanno stipulato prima della compravendita una procura speciale a favore dell’acquirente, rilasciata dai venditori per compiere tutti gli atti di gestione ordinaria e straordinaria inerenti al manufatto funerario fino alla vendita. Tale procura rep.-OMISSIS-, infatti, non potrebbe avere alcuna altra causa giuridicamente apprezzabile né alcuna utile funzione giuridico-economica laddove collegata alla citata contestuale compravendita rep. n. 92602. E’ evidente allora che tale procura acquista un unico senso e una sola funzione nei rapporti con l’Ente concedente. Infatti nello schema negoziale messo su fra le parti, il contratto vige tra le parti private, mentre la procura consente all’acquirente nei confronti della p.A. di operare con pienezza di poteri seppure in nome e per conto di un venditore che si è spogliato del bene (ma la p.A. non ne è a conoscenza).
Sul versante penalistico, in una ipotesi similare, ha osservato infatti la Cassazione: “..dagli atti risulta che XX ha alienato a tale YY la Cappella avuta a suo tempo in concessione dal Comune e che contestualmente alla vendita si e’ fatto rilasciare dall’acquirente una procura speciale per effettuare tutte le operazioni di polizia mortuaria. Tale comportamento, ad avviso del ricorrente pubblico ministero, integra l’artifizio e il raggiro posto in essere nei confronti del Comune, perche’ l’ente, continuando a trattare di fatto col venditore (comparente in prima persona per le operazioni di polizia mortuaria), non viene a conoscenza dell’illecito negozio di trasferimento del manufatto funerario (in violazione del divieto regolamentare) e non ha quindi la possibilità di porre in essere la dovuta revoca della concessione, con l’ulteriore danno patrimoniale rappresentato dalla mancata stipula di nuova concessione con altri soggetti disposti al pagamento dei relativi oneri, mentre invece il venditore lucra ingiustamente il prezzo della cessione vietata. Il ragionamento e’ corretto. Nessun dubbio che la regolamentazione amministrativa –stante la natura di rapporto di durata della concessione e la posizione di supremazia della p.A. che non si elide nel tempo– incida via via che la p.A. la modifica.” (in termini Cass. Pen. sez. III , 21 gennaio 2013 nr. 3086).
Peraltro, si richiamano in argomento le osservazioni già svolte in tema di funzionalità della norma per puntualizzare il carattere vietato di un comportamento del tutto inammissibile (cessione fra privati) che trova la sua sanzione nel raccordo con la normativa sulla decadenza e con la norma che vieta di effettuarne “oggetto di lucro e di speculazione” (art. 44).
Per quanto attiene al profilo terminologico va ribadito che, al di là della formulazione, nessuna incertezza sussiste in ordine alla contestazione del Comune che è stata ben colta dalla difesa e contrastata in ogni suo aspetto.
Non appare dubitabile che la concessione è sanzionata dalla decadenza (ex art. 44 del regolamento del 2006) “per inadempienza degli obblighi del concessionario”: non vi è, infatti, più palese violazione che quella, appunto, di alterare il profilo soggettivo del rapporto concessorio, insciente et invito domino.
Comportamento complessivo che, per la sua radicalità, renderebbe legittima la decadenza, già in base ai principi generali regolanti il rapporto concessorio, stante la sua idoneità a “spezzare” ogni legittima prosecuzione dello stesso. Di qui anche l’infondatezza della censura anche nella parte in cui lamenta l’illegittimità dell’atto laddove afferma la nullità degli atti di disposizione per contrarietà a norme imperative, atteso che nell’ipotesi di specie il Comune ha inteso sanzionare con la decadenza la violazione degli obblighi imposti al concessionario. Peraltro la nullità nell’ipotesi di specie discenderebbe dalla violazione dell’ordine pubblico, di cui le norme contenute nel Regolamento di Polizia Mortuaria sono espressione, alla stregua di quanto innanzi osservato.
Deve essere, infine, disattesa per tutte le motivazioni di cui sopra, la censura con la quale il ricorrente deduce la mancata esplicitazione delle ragioni di interesse pubblico per le quali è stata disposta la revoca, nonché la mancata corresponsione dell’indennizzo ex art. 21 quinquies l. 241/90, venendo in rilievo nell’ipotesi di specie, alla luce di quanto osservato, un atto di decadenza. Per i medesimi motivi è da disattendere la censura secondo la quale il Comune avrebbe dovuto procedere all’annullamento dell’atto (ovvero il rapporto concessorio) e non alla sua revoca, atteso che la nullità afferisce ad vizio genetico, mentre nell’ipotesi di specie il vizio, in quanto di carattere funzionale, per inadempimento degli obblighi del concessionario, è stato correttamente sanzionato con la decadenza.
Né appare conferente il richiamo all’art. 42 Cost. in quanto, come detto, nei rapporti con la P.A. ciò che viene in primo piano è il rapporto concessorio e non il diritto reale. Né appare ravvisabile alcun contrasto con il principio di ragionevolezza di buon andamento della P.A., essendo per contro l’atto adottato proprio per sanzionare comportamenti che minavano detto buon andamento, contravvenendo ai principi di ordine pubblico di cui le norme regolamentari trasgredite sono espressione. Del pari alcun contrasto è ravvisabile fra la normativa regolamentare comunale e quella statale di cui al D.P.R. 285/90, in considerazione della disciplina contenuta nell’articolo 92, comma 4, del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, il quale, a sua volta, riprende, sostanzialmente, i principi cardine della regolamentazione contenuta nell’articolo 93, comma 4, del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, in vigore sin dal 10 febbraio 1976”, tra cui è ricompressa anche “…la nullità degli atti di cessione totale o parziale del diritto di uso dei sepolcri”.
12.- Il ricorso è dunque da respingere, in considerazione dell’infondatezza di tutti i motivi di gravame.
13.- Al rigetto del ricorso non può non conseguire del pari il rigetto della domanda risarcitoria, non essendo ravvisabile alcun “danno ingiusto” ex art. 2043 c.c., in presenza di un atto della P.A. del tutto legittimo.
14.- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima) pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Rigetta la domanda risarcitoria.
Condanna i ricorrenti, in solido fra loro, alla refusione delle spese di lite nei confronti del Comune resistente, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre oneri accessori se dovuti, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi dei ricorrenti, manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

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