TAR Lombardia, Milano, 11 febbraio 2011, n. 450

Norme correlate:
Art 113 Decreto Legislativo n. 267/2000

Riferimenti: cfr. Cons. Stato, Sez. V, 29/3/2010, n. 1790; id., Sez. V, 5/12/2008, n. 6049; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 29/7/2009, n. 4502; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 23/12/2008, n. 4362

Testo completo:
TAR Lombardia, Milano, 11 febbraio 2011, n. 450
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1804 del 2010, proposto da:
Epis Felice S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Enzo Robaldo, Pietro Ferraris e Francesco Caliandro, presso il cui studio ha eletto domicilio in Milano, Via Pietro Mascagni 24
contro
Comune di Calolziocorte, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni Liguori e Emilio Magnoni, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, Largo Augusto 3 nei confronti di
Ausm S.p.A., non costituita in giudizio per l’annullamento
– della deliberazione del Consiglio comunale di Calolziocorte del 7 giugno 2010, n. 42 con la quale “si è preso atto che la concessione del servizio di illuminazione votiva dei cimiteri comunali in essere tra il Comune di Calolziocorte e la ditta Epis Felice s.n.c. di Epis & c. di Scanzorosciate viene a scadere alla data del 31 dicembre 2010, stabilendo altresì di procedere all’indizione di una nuova procedura di gara ad evidenzia pubblica”;
– della nota del Comune datata 1 luglio 2010;
– della nota del Comune prot. n.13075/V.1/OF-sa del 28 maggio 2010;
– del parere dell’ANCITEL del 14 maggio 2010;
– di ogni altro atto conseguente, presupposto od attuativo;
nonché per l’accertamento del diritto della ricorrente al mantenimento della concessione in essere fino al 31 dicembre 2031.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Calolziocorte;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore la dott.ssa Laura Marzano;
Uditi, nell’udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2011, i difensori delle parti avv. Pietro Ferraris e avv. Emilio Magnoni;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso in epigrafe la Epis Felice s.r.l. ha impugnato la deliberazione del 7 giugno 2010, n. 42 con cui il Consiglio comunale di Calolziocorte ha preso atto “che la concessione del servizio di illuminazione votiva dei cimiteri comunali in essere tra il Comune di Calolziocorte e la ditta Epis Felice s.n.c. di Epis & c. di Scanzorosciate viene a scadere alla data del 31 dicembre 2010, stabilendo altresì di procedere all’indizione di una nuova procedura di gara ad evidenzia pubblica”.
La presa d’atto dell’assemblea consiliare è stata assunta in dichiarata applicazione dell’art. 113 comma 15bis del TUEL, norma secondo la quale tutte le concessioni di servizi pubblici locali non attribuite mediante gara cessano ex lege alla data indicata, nonché in applicazione dell’art. 23bis del D.L. n. 112/2008, convertito in L. n. 133/2008, il quale stabilisce il nuovo regime transitorio precisando che gli affidamenti che non rientrano in alcuna delle specifiche ipotesi ivi previste cessano, comunque, entro e non oltre il 31 dicembre 2010 senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante.
L’atto impugnato richiama, inoltre, la sentenza del Consiglio di Stato n. 1790, resa dalla Sez. V il 29 marzo 2010, con cui si ribadisce che le attività connesse all’illuminazione votiva cimiteriale costituiscono concessione di pubblico servizio e non di opera pubblica come tali soggette a decadere ex lege alla data indicata dalla norma innanzi richiamata.
In ricorso sono formulati tre articolati motivi così sintetizzabili:
– con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 113 comma 15bis del D.Lgs. 267/200, dell’art. 23bis, comma 8, del D.L. 112/2008, nonché di altre norme di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili in quanto il Comune non avrebbe tenuto conto delle argomentazioni svolte da Epis in sede procedimentale ricavate dalla sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato, n. 1498 del 15 marzo 2010 che, a dire della ricorrente, escluderebbe dall’applicazione degli artt. 113, comma 15bis del D. Lgs. 267/200 e 23bis del D.L. 112/2008 i rapporti concessori che, seppur in epoca risalente, siano stati affidati con procedura ad evidenza pubblica e poi prorogati con contratti integrativi;
– con il secondo motivo si deduce violazione delle stesse nonché di altre norme di legge ed eccesso di potere sotto ulteriori profili in quanto la gestione del servizio di illuminazione votiva cimiteriale costituirebbe, nel particolare caso di specie, non già concessione di servizio pubblico, ma concessione di costruzione e gestione, in quanto Epis avrebbe non solo gestito ma, prima ancora, realizzato l’impianto elettrico per l’illuminazione votiva, tant’è che quando il rapporto è iniziato, nel 1971, il Comune non avrebbe disposto di alcun impianto;
– con il terzo motivo si deduce, ancora, violazione delle stesse norme di legge in quanto l’attività svolta, anche se la si volesse considerare pubblico servizio, non rientrerebbe fra i servizi pubblici locali, perché tali nell’ambito dei servizi mortuari sarebbero solo i servizi di trasporto funebre, ai sensi del R.D. 15 ottobre 1925 n. 2578.
Si è costituito il Comune intimato, chiedendo la reiezione del ricorso.
Alla camera di consiglio del 29 settembre 2010 la causa è stata rinviata al merito e, previo deposito di ulteriori scritti difensivi, all’udienza pubblica del 12 gennaio 2011 la causa è stata discussa ed è stata trattenuta in decisione.
2. I motivi di ricorso possono essere congiuntamente scrutinati, afferendo a censure tra loro strettamente connesse.
Nella vicenda in esame si sono susseguiti un primo affidamento novennale, con contratto n. 551 del 28 agosto 1971, sottoscritto in seguito a regolare procedura di appalto concorso; un secondo contratto, il 16 aprile 1980, di proroga della concessione fino al 31 dicembre 1996; una seconda proroga per 10 anni, fino al 31 dicembre 2006, disposta con contratto del 9 marzo 1990; una terza proroga della gestione per ulteriori 25 anni, fino al 31 dicembre 2031, con contratto del 16 marzo 1999 con cui sono state più marcatamente rideterminate le condizioni contrattuali anche in considerazione del fatto che l’affidamento ha riguardato servizi e lavori diversi ed ulteriori quali, esemplificando, la realizzazione e manutenzione degli impianti elettrici di altre strutture quali i servizi igienici, la cappella, la fornitura impianto di microfono, l’automazione dei cancelli, l’illuminazione esterna.
Sulla base di ciò la ricorrente sostiene che si sarebbe in presenza di concessione di costruzione e gestione, dunque disciplinata dagli artt. 142-147 del codice dei contratti; al contrario il Comune ha affermato trattarsi di concessione di servizi, come tale soggetta alla disciplina dettata dalle norme di cui all’art. 113 comma 15bis del D.Lgs. 267/200 e all’art. 23bis, comma 8, del D.L. 112/2008, facendo leva su quella giurisprudenza che considera la realizzazione degli impianti attività meramente strumentale all’erogazione del servizio.
2.1. Data in premessa la distinzione concettuale tra concessioni di lavori pubblici e concessioni di servizi, alla stregua anche dell’art. 2 del D.Lgs. 163/2006, osserva il Collegio che la tesi di parte ricorrente è contraddetta dal consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità che ascrive l’attività di illuminazione votiva nella categoria delle concessioni di pubblico servizio (cfr. Cass. S.U. 31 gennaio 2008, n. 2273; id. 17 settembre 1998, n. 9261).
Si tratta di un orientamento sul quale concorda anche la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29 marzo 2010, n. 1790; id., sez. V 5 dicembre 2008, n. 6049; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 29 luglio 2009, n. 4502; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 23 dicembre 2008, n. 4362) e dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi.
Il che non significa escludere l’esistenza, in generale e nel caso di specie, di una componente di lavori (afferente, nella vicenda in esame, agli impianti e alla loro continua manutenzione ed ampliamento, nonché agli ulteriori impianti), la cui incidenza va però valutata secondo il principio, di derivazione comunitaria, dell’accessorietà stabilito dall’art. 14 del D.Lgs. 163/2006 in tema di contratti misti.
Alla stregua di tale principio deve ritenersi che, nella fattispecie in contestazione, la realizzazione di nuovi impianti e la manutenzione di quelli già esistenti presentasse una rilevanza accessoria rispetto al servizio di illuminazione votiva erogato agli utenti. Ciò appare particolarmente evidente soprattutto a far data dal 1999, in seguito alla rinnovazione del rapporto di concessione instaurato nel lontano 1971, con la sottoscrizione di un contratto recante nuovi patti e condizioni e una proroga dell’affidamento per 25 anni, quando oramai gli impianti realizzati a far data dal 1971 erano già stati completati ed ammortizzati, sicché i successivi interventi di ampliamento e di manutenzione hanno assunto appunto carattere accessorio rispetto alla gestione del servizio.
Ne discende che i nuovi affidamenti, e segnatamente l’ultimo in data 16 marzo 1999, costituiscono un vero e proprio caso di scuola di concessione di pubblico servizio assegnata senza gara la cui durata, protrattasi per quasi quaranta anni, contraddice manifestamente l’asserita inapplicabilità dell’art. 23bis, comma 8, lett. e) del D.L. 112/2008 il quale afferma che le gestioni affidate senza gara (che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d)) cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante.
Si tratta, in altri termini, di una cessazione disposta ope legis, in applicazione della norma citata, espressione di un potere autoritativo, sebbene vincolato, che non trova il suo fondamento nel contratto ma direttamente nella volontà della legge e che investe le modalità di affidamento del servizio nel rispetto dei principi comunitari.
2.2. Non coglie nel segno neanche la censura secondo cui l’attività svolta, anche se la si volesse considerare pubblico servizio, non rientrerebbe fra i servizi pubblici locali, perché tali nell’ambito dei servizi mortuari sarebbero solo i servizi di trasporto funebre, ai sensi del R.D. 15 ottobre 1925 n. 2578.
Va, infatti, condivisa la ricostruzione secondo cui l’illuminazione elettrica votiva di aree cimiteriali da parte del privato costituisce oggetto di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica e fruizione individuale perché richiede che il concessionario impegni capitali, mezzi, personale da destinare ad un’attività economicamente rilevante in quanto suscettibile, almeno potenzialmente, di generare un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto concorrenziale del mercato di settore; tanto si evince dal D.M. 31 dicembre 1983, che ricomprendeva tra i c.d. servizi pubblici a domanda individuale proprio quello di illuminazione votiva, e risulta oggi confermato dalla norma generale sancita dall’art. 172, comma 1, lett. e), del T.U. 18 agosto 2000 n. 267, e successive modificazioni, che impone di allegare al bilancio di previsione, fra gli altri documenti, le deliberazioni con le quali sono determinati le tariffe per i servizi locali, nonché per quelli a domanda individuale, nonché i tassi di copertura in percentuale del costo di gestione dei servizi stessi (Cons. Stato, sez. V, 11 agosto 2010, n. 5620). 2.3. Peraltro va disattesa la tesi di parte ricorrente secondo cui la sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato n. 1498 del 15 marzo 2010 avrebbe affermato tout court la legittimità di contratti integrativi di una concessione di servizio di illuminazione votiva in quanto “l’amministrazione, quando è addivenuta alla stipulazione del contratto integrativo, era ancora vincolata dal contratto originario in corso, stipulato a seguito di una procedura ad evidenza pubblica. E pertanto, adottando una regola di buona amministrazione fondata sul calcolo delle conseguenze vuoi di una risoluzione anticipata del contratto originario vuoi della possibile gestione affidata a due soggetti distinti (nel caso in cui la gara fosse stata aggiudicata a soggetto diverso dal gestore), ha preferito optare per una prosecuzione dell’originaria concessione con il medesimo soggetto che già gestiva il servizio, sia pure adeguandone le condizioni economiche e i tempi di durata”.
Invero, leggendo il testo della decisione si ricava che in quel caso era stata dedotta all’esame del Collegio una fattispecie completamente diversa chiaramente esplicitata: “il punto centrale della controversia è costituito dalla valutazione se il concessionario debba o meno eseguire il contratto liberamente sottoscritto e se, a giustificazione della propria intenzione di non adempiere, possa invocare la violazione da parte dell’amministrazione dell’ articolo 113, comma 15bis, del decreto legislativo n. 267 del 2000; e comunque la nullità del contratto, in quanto stipulato in contrasto con norme imperative, ai sensi dell’articolo 1418, primo comma, del codice civile”.
In altri termini in quel caso si trattava della pretesa del concessionario di sottrarsi all’adempimento degli obblighi contrattuali invocando una pretesa violazione, da parte dell’amministrazione, di norme imperative tra cui quelle relative all’affidamento del servizio secondo le regole dell’evidenza pubblica.
E’ con riguardo a detta fattispecie concreta che il Giudice di appello ha chiarito che è del tutto irrilevante stabilire se ci si trovi di fronte ad una prosecuzione della vecchia concessione o ad una nuova “in quanto è risolutivo il fatto che la cooperativa appellata ha omesso di impugnare la determinazione con la quale l’amministrazione ha deciso di stipulare il contratto con il soggetto che era già titolare della concessione in corso, ossia l’appellata, che, evidentemente, in quel momento non aveva nessun interesse, anzi aveva l’interesse contrario; tant’è che ha sottoscritto il contratto integrativo, nonostante il mancato esperimento della gara”.
Questo essendo il contenuto della pronuncia invocata dalla ricorrente anche in sede endoprocedimentale, appare infondata la doglianza secondo cui, nell’adottare l’impugnato provvedimento, il Comune non ne avrebbe tenuto conto.
Deve concludersi che il Comune ha correttamente ritenuto che la concessione per cui è causa rientri nella previsione dell’art. 23bis, comma 8, lett. e) del D.L. 112/2008 dando atto dell’intervenuta scadenza ex lege.
Per quanto attiene alla disposta cessazione automatica della concessione di servizi, deve in conclusione respingersi il ricorso, stante l’infondatezza dei motivi dedotti.
3. Del pari infondata è la domanda risarcitoria, proposta in epigrafe come domanda di accertamento del diritto della ricorrente al mantenimento della concessione in essere fino al 31 dicembre 2031 e nelle conclusioni come domanda di condanna del Comune al risarcimento in forma specifica reintegrando la ricorrente nella gestione del servizio, ovvero in subordine per equivalente.
Difetta, in entrambi i casi, il necessario presupposto della ingiustizia del danno, avendo l’amministrazione agito in esecuzione di una disposizione di legge che imponeva la scadenza anticipata della concessione in esame.
4. In ordine invece alla questione, sollevata incidentalmente ma non avanzata esplicitamente come domanda di indennizzo, per cui la deliberazione impugnata sarebbe illegittima anche perché ha determinato unilateralmente, in totale assenza di contraddittorio, “in € 13.000 l’ammontare del residuo investimento non ammortizzato”, il Collegio ritiene che gli adombrati vizi procedimentali avrebbero potuto avere rilevanza in considerazione del fatto che tale profilo non è disciplinato dall’art. 23bis del D.L. 112/2008. Tuttavia deve osservarsi che, in realtà, tale inciso non è contenuto nella parte dispositiva della deliberazione impugnata ma costituisce l’oggetto della proposta avanzata dal Direttore Generale in sede di discussione successiva. Si tratta di un aspetto, dunque, che potrà formare in concreto oggetto di trattativa tra le parti e sul quale, in ogni caso, essendo questione strettamente legata alla corretta interpretazione del contratto, il Giudice amministrativo non avrebbe la giurisdizione.
Conclusivamente, per le suesposte motivazioni, il ricorso deve essere respinto.
5. Stante la particolarità della questione trattata si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti costituite.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Mariuzzo, Presidente
Hadrian Simonetti, Referendario
Laura Marzano, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 11/02/2011

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