Corte di Cassazione, Sez. VI penale, 18 aprile 2018, n. 17531

Corte di Cassazione, Sez. VI penale, 18 aprile 2018, n. 17531

MASSIMA
Corte di Cassazione, Sez. VI penale, 18 aprile 2018, n. 17531
Le attività inerenti ai servizi cimiteriali rientrano tra quelle di pertinenza della pubblica amministrazione e sono regolate da norme di diritto pubblico (artt. 337 ss. del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265; dPR 21 ottobre 1975, n. 803, dPR 10 settembre 1990, n. 285).

NORME CORRELATE

Art. 337 RD 25/7/1934, n. 1265

Art. 52 DPR 10/9/1990, n. 285

Corte di Cassazione
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17531 Anno 2018
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: TRONCI ANDREA
Data Udienza: 07/03/2018

(Depositata: 18/4/2018)

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C. VITO nato il 10/08/1961 a POTENZA
avverso l’ordinanza del 06/12/2017 del TRIB. LIBERTA’ di POTENZA
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA TRONCI;
sentite le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore PIETRO MOLINO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, limitatamente alle esigenze cautelari, con declaratoria d’inammissibilità, nel resto, del ricorso;
sentito il difensore, aw. CAMILLO ROSSI, in sostituzione dell’aw. ROCCO PERROTFA, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Il difensore di fiducia di Vito C., dipendente dell’impresa “R. P.” incaricata deIl’esecuzione di opere cimiteriali, propone ricorso per cassazione avverso il provvedimento in data 6-21 dicembre 2017, con cui il Tribunale di Potenza, adito ex art. 309 cod. proc. pen., ha confermato la misura degli arresti domiciliari, adottata dal competente g.i.p. nei confronti del proprio assistito, indagato per peculato e corruzione, qualificando peraltro ai sensi dell’art. 319 quater cod. pen. il fatto di reato ascritto al prevenuto sub 49), a fronte della originaria ipotesi d’accusa formulata in rapporto agli artt. 319 e 321 dello stesso codice: tanto sulla scorta dell’emersione di un ampio e ramificato sistema di malaffare, avente al proprio centro il coindagato Vito V., dipendente del comune di Potenza con mansioni di custode del Cimitero Monumentale del capoluogo, sistema ruotante intorno all’interesse dei parenti dei defunti alla tumulazione dei propri cari nel detto cimitero e perciò indotti all’acquisto di singole sepolture, sulla scorta di indebite compravendite gestite dal menzionato V. unitamente ad altri fra cui l’odierno ricorrente, in spregio al divieto di cessione dei loculi fra privati, quale sancito dal Regolamento di Polizia Mortuaria vigente nel comune lucano.
In estrema sintesi, giocando sul fatto che il comune potentino, con delibera del 21.07.1998, cui altra analoga era seguita il 17.04.1999, aveva consentito la sanatoria delle illegittime cessione di loculi avvenute fino a tutto il 1997, in forza di domande suscettibili di essere presentate fino al 31.12.2015, il V. – qui con la complicità del C. – lucrando apposito corrispettivo, faceva stipulare ai privati atti di cessione su cui era falsamente apposta una data antecedente al 31.12.1997, provvedendo poi a falsificare sia gli atti amministrativi di verifica dell’effettività della sussistenza delle condizioni per la sanatoria, sia quelli finali di regolarizzazione, ai quali seguiva la consegna al privato del loculo di cui aveva necessità: donde – per quanto qui interessa – l’ipotizzato reato di induzione indebita. Mentre il fatto di peculato – anche in questo caso in concorso con il più volte citato V.: cfr. il capo 17) dell’imputazione prowisoria – ha ad oggetto l’indebita appropriazione delle somme per l’estumulazione di una defunta, spettanti al comune di Potenza.
2. Quattro sono i motivi di doglianza formalizzati dal legale ricorrente.
2.1 Il primo di essi denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, quanto alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine all’addebito di cui al capo 17). Ciò in relazione all’attribuzione al ricorrente – mero geometra dipendente, in difetto di alcuna delega di funzioni – della veste di incaricato di pubblico servizio, nonostante che lo stesso contratto di aggiudicazione dell’appalto comunale prevedesse “esclusivamente l’espletamento di semplici attività materiali” ad opera dell’impresa “R. P.”, senza l’attribuzione a quest’ultima di qualsivoglia “specifica funzione amministrativa, di certificazione e/o controllo”, rientranti invece “nella esclusiva competenza del custode della struttura cimiteriale”, non avendo asseritamente pregio, sotto altro profilo, la valorizzazione, da parte del Tribunale, del ruolo di concorrente con il V., definito “funzionario comunale e pubblico ufficiale”, stante l’eccepita assenza di prove di sorta, significative della consapevolezza, in capo al C., “della qualità soggettiva dell’intraneus”.
2.2 Eguali vizi vengono dedotti con il secondo motivo di censura, in relazione alla pretesa gravità indiziaria inerente al reato di induzione indebita, giusta l’avvenuta riqualificazione dell’illecito sub 49). Due sono i profili su cui si fonda la dogiianza in questione: l’uno ripercorre le argomentazioni di cui sopra, in ordine all’attribuzione al prevenuto della veste di incaricato di pubblico servizio, ritenuta comunque “contraddittoria, rispetto alle motivazioni addotte”; l’altro denuncia la “errata e/o contraddittoria impostazione del Tribunale del riesame” circa la pretesa tumulazione di M. Anselma, in realtà mai verificatasi, giusta la documentazione prodotta dalla difesa.
2.3 Il terzo motivo assume l’esistenza di violazione di legge e vizio di motivazione, “relativamente alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari ex art. 274 lett. c) c.p.p.”, stante il carattere congetturale della pretesa, “particolare propensione al crimine” di cui il C. è stato malamente gratificato, per di più senza adeguata considerazione, ad opera del Tribunale: dei due soli addebiti formulati a carico del prevenuto, “tra l’altro risalenti ad oltre 4 mesi prima rispetto all’emìssione dell’ordinanza cautelare”; della ulteriore retrodatazione dell’intercettazione, che costituisce il solo elemento indiziario valorizzato nei confronti dell’odierno ricorrente, peraltro valutato solo parzialmente dal giudice distrettuale, senza dare alcun riscontro della ben diversa lettura proposta dalla difesa; dell’intervenuta assegnazione di diverse mansioni, del tutto estranee ai servizi cimiteriali, al C., di cui non sarebbe stato apprezzato neppure lo stato d’incensuratezza, in funzione del giudizio prognostico circa la sua pericolosità sociale. Non senza aggiungere il difetto di motivazione in ordine al requisito dell’attualità del pericolo di recidivanza, che, in quanto distinto da quello della concretezza, abbisogna anch’esso di una propria giustificazione, qui assente.
2.4 Analogamente, si assume che, anche in ordine al parimenti ritenuto pericolo di inquinamento delle prove, di cui alla lettera a) dell’art. 274 del codice di rito, l’ordinanza impugnata “appare generica, contraddittoria ed in ogni caso manifestamente illogica”, atteso il carattere non conferente dell’eventuale conoscenza, da parte del C., degli ulteriori traffici illeciti del V., cui si deve ritenere egli sia estraneo, difettando quindi del tutto l’attualità del pericolo, come sintomaticamente desumibile dall’assenza di intercettazioni successive a quella del marzo 2017 – che costituisce elemento di carico nei riguardi dell’indagato – significative di “un comportamento del ricorrente volto ad alterare e/o inquinare il compendio probatorio”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto deve essere disatteso, alla stregua delle considerazioni che seguono.
2. Manifestamente infondato è il primo profilo di doglianza.
Si premette che il Tribunale della cautela ha rappresentato come l’impresa P., per effetto della stipulazione del contratto intercorso con l’Amministrazione comunale, si fosse fatta carico di “una serie di obblighi contrattuali che erano riferibili a prestazioni di natura pubblicistica, perché erogate nell’ambito di un pubblico servizio ed aventi ad oggetto beni demaniali”, con conseguente assunzione della qualità di incaricato di pubblico servizio in capo all’odierno ricorrente, che – si legge nell’ordinanza del Tribunale – “non esercitava mansioni meramente materiali ed esecutive, ma organizzava, coordinava e dirigeva tutte le operazioni cimiteriali di competenza dell’impresa
appaltatrice da cui dipendeva, riscuotendo addirittura i compensi versati dagli utenti”.
In ogni caso, è dirimente la veste di concorrente del custode cimiteriale V., propria senza alcun dubbio del C.: ciò in quanto, per un verso, è consolidato l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “Le attività inerenti ai servizi cimiteriali rientrano tra quelle di pertinenza della
pubblica amministrazione e sono regolate da norme di diritto pubblico (artt. 337 ss. del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265; d.p.r. 21 ottobre 1975, n. 803, d.p.r. 10 settembre 1990, n. 285). In particolare, dalle disposizioni contenute nelle norme anzidette discende che al custode dei cimitero sono attribuiti compiti di vigilanza del cimitero medesimo e di tenuta del registro delle operazioni relative ai cadaveri. Tali compiti, se non valgono all’attribuzione della qualità di pubblico ufficiale al custode, implicano ambiti concettuali di responsabilità e cognizione normativa, onde, dovendosi escludere tali attività dal quadro delle semplici mansioni di ordine o di prestazioni di opera meramente materiale, deve concludersi che al detto custode va riconosciuta la qualifica di incaricato di pubblico servizio ai sensi dell’art. 358 c.p.” (così Sez. 6, sent. n. 443 del 04.02.1999, Rv. 213661; v. già, in senso conforme, Sez. 3, sent, n. 4102 del 23.11.1973 – dep. 15.06.1974, Rv. 127145). Per altro verso, è parimenti pacifico che, pur in presenza di un reato, è configurabile il concorso dell’extraneus “che contribuisce con la sua condotta alla commissione del fatto e che ha la conoscenza della qualità di intraneus del soggetto agente” (così, da ultimo, Sez. 2, sent. n. 20182 del 22.04.2015, Rv. 263573, seppur con riferimento alla diversa fattispecie di cui all’art. 513 bis cod. pen.): il che non può qui evidentemente esser posto in discussione, malgrado la negativa di cui al ricorso in esame, che si connota, insieme, per la sua genericità ed inverosimiglianza e, di più, per essere smentita per tabulas dai dati riportati nel provvedimento impugnato.
3. Le argomentazioni testé sviluppate valgono, ovviamente, anche rispetto alla medesima censura svolta in seno al secondo motivo di doglianza. Mentre, per quanto attiene al residuo profilo, assorbente è la constatazione della radicale genericità con cui il ricorrente ha inteso confutare il quadro indiziario, documentalmente comprovato e debitamente sintetizzato dall’ordinanza in esame, ponendo in discussione il dato, che il Tribunale riferisce dedotto dalla nota 23.10.2017 della Questura di Potenza, relativo alla tumulazione della defunta Anselma M. – il cui seppellimento nel cimitero comunale è alla base dell’illecito mercimonio oggetto di contestazione, che s’inserisce a pieno titolo nell’ambito del più ampio e generalizzato “sistema” ordito ed organizzato dal V. – sulla scorta di imprecisata documentazione prodotta, che non risulta allegata al ricorso proposto.
4. Venendo, infine, alle censure di cui ai due residui motivi, che investono entrambi la problematica delle esigenze cautelari, se può senza meno convenirsi con la difesa in ordine all’assenza del requisito della concretezza, quanto al pericolo di inquinamento probatorio, desunto dal Tribunale su base meramente congetturale, non altrettanto può dirsi con riferimento allo specifico profilo di cui all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen.
In proposito, non è inutile ribadire, alla luce della deduzione critica ad hoc da parte del difensore ricorrente, che le Sezioni Unite, pur chiamate ad affrontare una diversa questione di diritto sottoposta alla loro attenzione, hanno dedicato alcuni cenni al tema che qui rileva, significando che il requisito dell’attualità è attributo distinto rispetto a quello della concretezza, posto che quest’ultimo va correlato “alla capacità a delinquere del reo”, il primo “alla presenza di occasioni prossime al reato”; dopodiché è stato osservato che, ferma la necessità della distinta valutazione dei due requisiti – in ragione, appunto, della loro autonomia concettuale – gli “indici rivelatori” da prendere in esame, ai fini della verifica della loro reale sussistenza, sono i medesimi, da individuarsi nelle “specifiche modalità e circostanze del fatto e personalità dell’indagato o imputato” (cfr., in parte motiva, Cass. Sez. Un. sent. n. 20769 del 28.04.2016).
Dunque, al di là della formale distinzione, il dato qualificante che emerge dal ricordato intervento dell’Alto Consesso consiste nel fatto che l’indagine sull’attualità delle esigenze cautelari va compiuta sulla scorta dei medesimi dati conoscitivi da apprezzarsi ai fini della valutazione sulla concretezza delle esigenze medesime, rimanendo quindi ancorata ad un giudizio prognostico, in cui rivestono rilevanza tanto le componenti oggettive, legate al fatto per cui è processo, quanto quelle discendenti dal profilo soggettivo dell’agente.
A detti parametri il Tribunale di Potenza risulta essersi correttamente attenuto, atteso che si è soffermato sulla negativa personalità dei C., discendente – al di là ed a prescindere dal dato formale dell’incensuratezza, che risulta pertanto privo di valenza determinante – sia dal quadro indiziario relativo ai due addebiti per i quali si procede a suo carico, ritenuto logicamente significativo del “rapporto di stretta collaborazione” instaurato con il V., tale perciò da evocare implicitamente pregressi trascorsi in ambito quanto meno illegittimo; sia dalla esplicita programmazione della commissione di ulteriori illeciti, grazie all’aggiudicazione, da parte dell’impresa datrice di lavoro del C., dell’appalto per le operazioni mortuarie da compiersi nel (diverso) cimitero di Avigliano (circostanza – questa seconda – del pari documentata dalle intercettazioni in atti, a tal fine richiamate dall’ordinanza di cui trattasi, il cui significato il ricorso ha inteso del tutto genericamente contestare, con operazione peraltro non consentita nella presente sede di legittimità). E, al contempo, ha tratto da tali elementi il motivato convincimento circa l’esistenza di un pericolo attuale di recidiva di condotte analoghe.
A tale ultimo riguardo, il Collegio reputa opportuno significare che l’attualità del pericolo di reiterazione ricorre allorché – come nel caso di specie, alla stregua appunto del ragionamento del Tribunale – sia possibile formulare una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, all’esito di un giudizio che, senza limitarsi alla rilevazione dell’astratta gravità del titolo di reato, risulta fondato sull’analisi della personalità dell’accusato e sulla disamina delle modalità del fatto per cui si procede, al di là della previsione – per così dire – “tangibile”, di una specifica occasione per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice, poiché la valutazione circa l’alta probabilità di una “prossima” ricaduta nel delitto non può che fare riferimento alla consistente possibilità di recidiva ove non siano attive le cautele (v., in proposito, Sez. 6, sent. n. 15978 del 27.11.2015 – dep. 2016, Rv. 266988; Sez. 5, sent. n. 33004 del 03.05.2017, Rv. 271216). Essendo solo il caso di puntualizzare, da ultimo, che il riferimento all’avvnuto spostamento del C. a mansioni diverse non appare dirimente, sia per la genericità dell’assunto – in
ragione della mancata allegazione al ricorso di tale documento – sia per la revocabilità in ogni momento di tale decisione, nell’ambito del rapporto di lavoro privatistico che lega il CLAP5 all’impresa da cui dipende.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali-
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2018
Il Consigliere estensore (Andrea Tronci) –  Il Presidente (Vincenzo Rotundo)

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Sereno Scolaro

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