Consiglio di Stato, Sez. V, 30 giugno 2014, n. 3275

Testo completo:
Consiglio di Stato, Sez. V, 30 giugno 2014, n. 3275
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8455 del 2003, proposto dalla signora Calisi Genoveffa, rappresentata e difesa dall’avvocato Corrado De Simone, con domicilio eletto presso la signora Roberta Carta in Roma, piazza Antonio Mancini, n. 4;
contro
Il Comune di San Felice Circeo, non costituitosi nel corso del secondo grado del giudizio;
nei confronti di
Il signor Calisi Ermes, in qualità di coerede del signor Calisi Fortunato, non costituitosi nel corso del secondo grado del giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – SEZ. STACCATA DI LATINA, n. 363/2003, resa tra le parti, concernente il diniego di utilizzazione area per la realizzazione di loculi cimiteriali – risarcimento del danno.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 maggio 2014 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e udito per le parti l’avvocato Corrado Morrone, su delega dell’avvocato Corrado De Simone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. A seguito del ricorso n. 115 del 2003 proposto dinanzi al TAR per il Lazio, sezione distaccata di Latina, l’odierna appellante otteneva un parziale riconoscimento delle proprie ragioni in virtù dell’annullamento della deliberazione della Giunta municipale di San Felice Circeo, n. 147 del 30 dicembre 2002, di revoca della propria precedente deliberazione n. 58 del 6 marzo 2001, con la quale la stessa Giunta aveva concesso n. 16 loculi cimiteriali ad otto eredi del signor Calisi Davide, nonché concesso un’area cimiteriale per la realizzazione di n. 3 loculi alla signora Calisi Genoveffa.
Infatti, il primo Giudice:
a) riteneva fondate le censure con le quali l’odierna appellante lamentava la violazione dell’art. 7, l. 241 del 1990 e la mancata indicazione dei motivi di interesse pubblico sottesi alla revoca;
b) accertava il difetto di interesse ad esaminare le censure inerenti gli atti presupposti impugnati, in particolare, la deliberazione consiliare n. 14 del 1990 e della Giunta municipale nn. 46 del 1994, 43 e 44 del 1995, la relazione del responsabile del settore lavori pubblici;
c) respingeva la richiesta di risarcimento del danno, tra l’altro per non avere la ricorrente fornito alcuna dimostrazione degli stessi, non potendosi supplire alla lacuna in questione in ossequio a quanto disposto dall’art. 1226 c.c.
2. Il gravame in esame ha ad oggetto i soli capi della sentenza che riguardano il risarcimento del danno e la liquidazione delle spese.
2.1. In ordine al primo aspetto, l’appellante lamenta che il Comune avrebbe taciuto dell’esistenza della nota regionale n. 1592 del 4 luglio 1994 e della relazione del 9 marzo 1944, rappresentando una realtà non veritiera.
Fra i documenti prodotti dallo stesso Comune nel giudizio definito con la sentenza n. 362 del 2003 – trattenuto in decisione nella stessa camera di consiglio – vi sarebbe la relazione del responsabile del settore dei LL.PP. del Comune del 4 settembre 2002, che farebbe presente come il cambio di destinazione di uso del terreno richiesto nel 1994 alla Regione avesse avuto esito negativo, perché quest’ultima aveva notato come lo stesso non appartenesse alla collettività.
La ricorrente, inoltre, non sarebbe stata tenuta a fornire alcuna prova dell’essere proprietaria.
Né rileverebbe il presunto contratto d’affitto che non risulta mai essere stato stipulato. A fronte degli elementi forniti dal ricorrente e ripresi dalla stessa parte, il TAR avrebbe potuto disporre una consulenza per determinare l’ammontare del danno o liquidarlo in via equitativa.
2.2. Ritiene la Sezione che le deduzioni formulate dall’appellante vanno respinte per una ragione dirimente: dalla documentazione depositata, si evince che il terreno – rispetto al quale è sorto il contenzioso e la parte privata non ha esibito alcun titolo di proprietà – era nella titolarità del Comune ed era poi stato ‘concesso in fitto’ al signor Davide Calisi, con la delibera della giunta n. 46 del 21 settembre 1944, per uso agricolo.
Risulta pertanto infondata la pretesa di ottenere un risarcimento del danno dalla emanazione del provvedimento del 30 dicembre 2002, che – come lo stesso TAR ha rilevato – va qualificato come annullamento e non come revoca della precedente concessione dei loculi (e che, in quanto tale, al di là dei suoi aspetti motivazionali ha rilevato un vizio del precedente atto).
2.3. Le affermazioni dell’appellante in merito al regime di prova dinanzi al g.a. per la determinazione del risarcimento del danno non risultano fondate anche per un secondo e autonomo ordine di considerazioni.
Infatti, il giudizio risarcitorio soggiace alla regola contenuta nell’art. 2697 c.c., secondo la quale onus probandi incumbit ei qui dicit. Da ciò deriva che l’onere probatorio non risulta soddisfatto dalla mera allegazione della tipologia di danni che si assume di aver subito, essendo, invece, necessario provare la determinazione del loro ammontare.
Ai fini della ammissibilità e della fondatezza della domanda risarcitoria davanti al giudice amministrativo è, quindi, necessario che la stessa venga formulata, fin dal ricorso di primo grado, in termini tali da consentire al giudice di formulare i propri apprezzamenti in una direzione sufficientemente determinata, e quindi assistita da sufficienti principi di prova e dalla quantificazione del danno che si assume subito (Cons. St., Sez. IV, 15 gennaio 2009, n. 148).
Va, infatti, ribadito come il potere del giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa comporta un apprezzamento che serve a colmare le lacune probatorie nella determinazione del preciso ammontare del danno medesimo (Cons. St., Sez. III, 12 maggio 2011, n. 2850).
Nella fattispecie l’onere probatorio non risulta assolto dall’originario ricorrente, che si è limitato ad enunciare le voci di danno (per mancata utilizzazione dell’area concessa, lievitare dei costi per la non tempestiva realizzazione dei loculi, utilizzazione onerosa medio tempore di altri loculi, spese ulteriori). Non risulta, infatti, provato né che tutte le voci di danno si siano effettivamente verificate, né quale sia il danno concreto subito dall’appellante.
2.4. Allo stesso modo non può essere condivisa la doglianza dell’appellante, che sostiene di aver adempiuto all’onere probatorio circa la dimostrazione del danno cagionato dal comportamento contrario a buona fede dell’amministrazione comunale, stimandolo in 20.000,00 euro.
La richiesta in questione nei termini proposti in primo grado e confermati in secondo cure, infatti, va respinta non solo per le condivisibili argomentazioni del primo Giudice, ma anche perché si presenta più che come una richiesta risarcitoria, come una richiesta sanzionatoria nei confronti dell’amministrazione e non può pertanto essere accolta.
2.5. Infine, anche le censure circa il mancato risarcimento del danno discendente dal ritardo nel dare esecuzione ai provvedimenti concessori e poi per la revoca intervenuta, non possono essere condivise, poiché come correttamente rilevato dal TAR sussisteva un’obiettiva situazione di incertezza sulla proprietà del terreno, che imponeva particolare cautela nella successiva attività amministrativa, tale da escludere un comportamento colpevole da parte dell’amministrazione.
3. Con un secondo ordine di doglianza l’odierno gravame contesta che il TAR non avrebbe potuto liquidare forfettariamente le spese in presenza di una nota riepilogativa e dettagliata delle stesse. Anche questa censura va disattesa, dovendosi, da un lato, rammentare che sull’assunto che la propria potestà discrezionale di determinare le spese sia talmente ampia da essere di fatto insindacabile, legittimamente il giudice amministrativo liquida spese e gli onorari in misura forfetaria, senza attenersi pedissequamente ai limiti minimi della tariffa professionale, in applicazione di criteri di equità neppure espressamente riportati nella sentenza.
Più che dal raffronto fra la tariffa professionale e il valore economico della causa, il giudice può tener conto di circostanze eterogenee, intrinseche all’intero giudizio, variabili di volta in volta, quali la maggiore o minore complessità delle questioni, l’applicazione di orientamenti giurisprudenziali consolidati, la natura della pretesa di cui si chiede l’affermazione, il comportamento tenuto dall’Amministrazione nel caso concreto.
Del resto, a tale prassi si è adeguata quella degli avvocati, che il più delle volte non allegano la nota degli onorari e delle spese con riferimento alla singole voci della tabella, previste dall’art. 59 comma 2 R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, in un sistema in cui la tassazione delle spese e dell’onorario è effettuata in base agli atti di causa.
Nella specie, inoltre, il giudizio di prime cure si è caratterizzato per una parziale soccombenza del ricorrente, il che ha comportato la sussistenza di un margine del TAR per una differente quantificazione delle spese del giudizio, non risultando vincolato alla nota spese presentata dal difensore.
In questo senso la stessa Corte di Cassazione, sostiene che l’onere di adeguata motivazione sussiste solo in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa (Cass. n. 6816/1999).
4. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
In mancanza di costituzione delle parti appellate, non deve farsi statuizione sulle spese del secondo grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 8455 del 2003, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Nulla per le spese del secondo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
Raffaele Prosperi, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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