Consiglio di Stato, Sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5354

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Consiglio di Stato, Sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5354
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 97 del 2014, proposto dal signor Paolo Aversa, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Giasi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luigi Napolitano in Roma, via Sicilia, n. 50;
contro
Il Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Maria Ferrari, Anna Pulcini e Bruno Crimaldi, con domicilio eletto presso lo studio soc. Grez e Associati, in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Campania – Napoli, Sezione VII, n. 4160/2013, resa tra le parti, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento: a) del provvedimento n. 42 del 19 ottobre 2012, con cui il Coordinatore dell’Unità di Progetto ex O. di S. del Direttore Generale n. 5 del 10 maggio 2012 – Direzione Generale del Comune di Napoli, ha disposto la “revoca decadenziale della concessione di suolo cimiteriale di cui alla disposizione dirigenziale servizi cimiteriali n. 23 del 16.5.2005” rilasciata in favore della signora Concetta De Caro, nonché l’acquisizione del manufatto funerario ivi realizzato;
b) del Regolamento Comunale di Polizia Mortuaria, approvato con delibera di Consiglio Comunale del 21 febbraio 2006 n. 11, nella parte in cui dispone il divieto di cessione tra privati dei manufatti funebri.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Vista la memoria prodotta dalla parte resistente a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2014 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti l’avvocato Soprano, per delega dell’avvocato Giasi, e l’avvocato Crimaldi;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1.- Il Comune di Napoli, con d.d. Servizi Cimiteriali n. 23 del 16 maggio 2005, ha concesso alla signora Concetta De Caro un suolo di mq. 4,75 (oltre mq. 2,38 di gaveta) per la realizzazione di un monumento funerario nel cimitero di Poggioreale, zona Accosto Pietà, giardinetti n. 32 e n. 34.
Con atto di compravendita a rogito notarile del 22 maggio 2009, il manufatto, nel frattempo realizzato, è stato venduto al signor Paolo Aversa, senza comunicazione della cessione alla Amministrazione concedente e senza previa sua autorizzazione.
Con nota del 26 giugno 2012 il Comune ha comunicato l’avvio del procedimento di revoca della concessione e poi ha adottato nei confronti della signora De Caro la d.d. n. 42 del 19 ottobre 2012, di revoca definitiva, sostanzialmente sulla base delle seguenti motivazioni: a) la concessione cimiteriale, ai sensi degli artt. 823 e 824 del codice civile, ha natura amministrativa e riguarda un bene demaniale non alienabile; b) l’art. 53 del regolamento comunale di polizia mortuaria di cui alla delibera consiliare n. 11 del 21 febbraio 2006 vieta la cessione tra privati di manufatti funebri, dunque l’atto di compravendita sarebbe nullo; c) il bene demaniale, prima di essere assegnato ad altri soggetti, deve essere sempre preceduto da gara ad evidenza pubblica; d) non è ammissibile la concessione cimiteriale in favore di soggetti che agiscono con fini di lucro.
2.- Il signor Paolo Aversa ha impugnato quindi i provvedimenti in epigrafe indicati presso il T.A.R. Campania, Napoli, che ha respinto il ricorso con sentenza n. 4160/2013.
3.- Con il ricorso in appello in esame il signor Aversa ha chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza deducendo, a sostegno del gravame, i seguenti motivi:
a) Error in iudicando, sulla errata ricostruzione del diritto superficiario del concessionario di area demaniale e sul divieto di integrazione postuma della motivazione.
Le deduzioni del Comune con riguardo alle indagini della Procura sulla stipula dei contratti di compravendita in violazione dell’art. 53, comma 1, del Regolamento di Polizia Mortuaria, si sono risolte in una inammissibile integrazione postuma della motivazione.
b) Error in iudicando sotto altro profilo.
L’improprio ricorso all’istituto della revoca decadenziale è indice di sviamento.
c) Error in iudicando, violazione e falsa applicazione dell’art. 53 del Regolamento.
L’interpretazione sistematica dell’art. 53 del Regolamento rende evidente che il primo comma non vieta la cessione dei diritti di superficie di aree su cui al momento del rilascio della concessione non insistevano già manufatti funebri acquisiti dal Comune per retrocessione. In assenza di tali vicende della concessione il Comune non acquisisce mai la piena disponibilità dei manufatti funerari.
Non è condivisibile la tesi del TAR che sarebbe stata irragionevole una regolamentazione differenziata tra i titolari di vecchie e nuove concessioni, né la tesi che il bilanciamento degli opposti interessi trovava equilibrio nella previsione di un regime transitorio.
d) Error in iudicando sotto un ulteriore profilo.
La sanzione comminata è illegittima sia per non essere stata prevista dal Regolamento, sia per non conoscere l’appellante le sue disposizioni che vietavano la cedibilità del diritto di superficie.
Non è stato comunicato l’avvio del procedimento di adozione del Regolamento, con indicazione dei motivi dell’intento di variare il regime giuridico delle concessioni.
Insufficiente è stata la pubblicazione del Regolamento sull’albo pretorio.
5.- Con atto depositato il 14 gennaio 2014 si è costituito in giudizio il Comune di Napoli, che ha chiesto la reiezione del gravame.
6.- Con memoria depositata il 29 maggio 2014 il costituito Comune ha eccepito l’inammissibilità dell’appello per difetto di legittimazione almeno nei confronti dell’atto di revoca, perché l’appellante non ha in corso alcun rapporto di concessione con il Comune di Napoli, a nulla valendo l’atto di compravendita, perché non può comportare la trasmissione della qualità di concessionario. Nel merito ha dedotto l’infondatezza del gravame.
7.- Alla pubblica udienza dell’8 luglio 2014 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.
8.- L’appello è infondato, potendo pertanto prescindersi dall’esame dell’eccezione di difetto di legittimazione attiva dell’appellante sollevata dalla difesa dell’appellato Comune.
9.- Occorre premettere che, come del resto puntualmente rilevato dai primi giudici, nella materia de qua questa Sezione (con sentenza 8 marzo 2010, n. 1330) ha avuto modo di rilevare che “…in coerenza con gli indirizzi consolidati del giudice ordinario…lo “ius sepulchri”, ossia il diritto, spettante al titolare di concessione cimiteriale, ad essere tumulato nel sepolcro, garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene e si atteggia come un diritto reale nei confronti dei terzi. Ciò significa che, nei rapporti interprivati, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di godimento. Tuttavia, laddove tale facoltà concerna un manufatto costruito su terreno demaniale, lo ius sepulchri costituisce, nei confronti della pubblica amministrazione concedente, un “diritto affievolito” in senso stretto, soggiacendo ai poteri regolativi e conformativi di stampo pubblicistico. In questa prospettiva, infatti, dalla demanialità del bene discende l’intrinseca “cedevolezza” del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su bene pubblico (Consiglio Stato, sez. V, 14 giugno 2000, n. 3313)”.
E’ stato sottolineato che “…come accade per ogni altro tipo di concessione amministrativa di beni o utilità, la posizione giuridica soggettiva del privato titolare della concessione tende a recedere dinnanzi ai poteri dell’amministrazione in ordine ad una diversa conformazione del rapporto”, trattandosi “…di una posizione soggettiva che trova fonte, se non esclusiva, quanto meno prevalente nel provvedimento di concessione”, così che “…a fronte di successive determinazioni del concedente”sussistono posizioni di interesse legittimo.
È stato precisato che il rapporto concessorio deve rispettare tutte le norme di legge e di regolamento emanate per la disciplina dei suoi specifici aspetti, osservando che “In particolare, lo “ius sepulchri” attiene ad una fase di utilizzo del bene che segue lo sfruttamento del suolo mediante edificazione della cappella e che soggiace all’applicazione del regolamento di polizia mortuaria. Questa disciplina si colloca ad un livello ancora più elevato di quello che contraddistingue l’interesse del concedente e soddisfa superiori interessi pubblici di ordine igienico-sanitario, oltre che edilizio e di ordine pubblico”.
E’ stata anche ritenuta non persuasiva la tesi “…secondo cui, una volta costituito il rapporto concessorio, questo non potrebbe essere più assoggettato alla normativa emanata successivamente, diretta a regolamentare le concrete modalità di esercizio del ius sepulchri, anche con riferimento alla determinazione dall’ambito soggettivo di utilizzazione del bene”, non essendo “…pertinente…il richiamo al principio dell’articolo 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall’amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti” (in termini anche Consiglio di Stato, sez. V, 27 agosto 2012, n. 4608).
E’ stato altresì evidenziato che il rapporto concessorio in questione è “…pienamente sottoposto alla disciplina contenuta nell’articolo 92, comma 4, del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, il quale, a sua volta, riprende, sostanzialmente, i principi cardine della regolamentazione contenuta nell’articolo 93, comma 4, del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, in vigore sin dal 10 febbraio 1976”, tra cui è ricompressa anche “…la nullità degli atti di cessione totale o parziale del diritto di uso dei sepolcri”.
In definitiva nel nostro ordinamento il diritto sul sepolcro già costituito nasce da una concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno (o di porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.) e tale concessione, di natura traslativa, crea a sua volta nel privato concessionario un diritto soggettivo perfetto di natura reale (suscettibile di trasmissione per atti inter vivos o mortis causa) e perciò opponibile iure privatorum agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che comporta posizioni di interesse legittimo qualora siano emanati atti per esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, che impongono o consigliano alla pubblica amministrazione il potere di esercitare la revoca della concessione (Cassazione Civile, sez. II, 30 maggio 2003, n. 8804; 7 ottobre 1994, n. 8197; 25 maggio 1983, n. 3607; Consiglio di Stato, sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294).
Deve poi aggiungersi che il Regolamento di Polizia Mortuaria e dei Servizi Funebri e Cimiteriali, approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 11 del 21 febbraio 2006, per quanto qui interessa, all’art. 44 ha fissato i principi generali del regime concessorio, prevedendo, tra l’altro, che “Ai sensi degli articoli 823 e 824 del Codice Civile, il Cimitero ha carattere demaniale. La concessione di sepoltura privata è concessione amministrativa di bene demaniale con diritto di uso non alienabile, data la natura demaniale dei beni cimiteriali, il diritto d’uso di una sepoltura lascia integro il diritto alla nuda proprietà dell’Amministrazione Comunale. I manufatti costruiti da privati su aree cimiteriali poste in concessione diventando di proprietà dell’Amministrazione Comunale, come previsto dall’art. 953 del C.C., allo scadere della concessione, se non rinnovata” (comma 1); che “non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone o enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione” (comma 5) e che “La concessione può essere soggetta: a. a revoca per esigenze di pubblico interesse, assegnando però fino alla scadenza della concessione originaria altra area e sistemazione equivalente; b. a decadenza, per inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere oppure per inadempienza agli obblighi del concessionario in fase di costruzione dei manufatti e di mantenimento degli stessi; c. a rinuncia da parte del concessione con retrocessione del bene” (comma 9).
L’articolo 49, disciplinando specialmente l’ipotesi della decadenza, dispone, al comma 4, che “il concessionario è tenuto a provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’area in concessione e del manufatto in diritto d’uso…In difetto dovrà essere dichiarata la decadenza della concessione del suolo e dal diritto d’uso del manufatto”, aggiungendo al comma 5 che “Il Dirigente del Servizio competente procederà alla determinazione della declaratoria della decadenza dalla concessione del suolo e contestuale incameramento del deposito cauzionale e del corrispettivo versato per la concessione del suolo ovvero degli importi a qualunque titolo versati e delle opere edilizie eventualmente realizzate”.
L’articolo 53 (“Cessione tra privati”) afferma che “E’ vietata qualunque cessione diretta tra privati”.
10.- Tanto premesso va osservato che con il primo motivo d’appello è stata dedotta l’errata ricostruzione del meccanismo di eventuale cessione dei diritti superficiari insistenti su aree demaniali date in concessione ai privati, effettuata dal T.A.R., che avrebbe anche errato ad accettare la ricostruzione dei fatti che avevano indotto il Comune di Napoli ad adottare i provvedimenti gravati, pur essendo essa stata operata per la prima volta in giudizio; infatti le deduzioni del Comune con riguardo alle indagini della Procura sulla stipula dei contratti di compravendita, in violazione dell’art. 53, comma 1, del Regolamento, si sarebbero risolte in una inammissibile integrazione postuma della motivazione, non solo perché proveniente da mere argomentazioni difensive e non da atto dell’Amministrazione competente, ma anche perché esse deduzioni costituirebbero motivazione nuova rispetto al provvedimento impugnato. Inoltre l’interesse pubblico che il T.A.R. ha ritenuto sussistente nel caso di specie non sarebbe quello assunto nell’ambito del procedimento.
10.1.- Ritiene il Collegio che non sia stata effettuata da parte del T.A.R. alcuna errata ricostruzione del meccanismo di cessione dei diritti superficiari insistenti su aree demaniali date in concessione ai privati, in quanto la legittimità dell’impugnato provvedimento di revoca è stata riconosciuta in ragione della violazione dell’articolo 53, comma 1, del Regolamento, che vieta la cessione diretta tra privati, violazione obiettivamente conseguita all’atto notarile di compravendita.
I primi giudici hanno al riguardo motivatamente osservato che quel divieto deve essere interpretato “…per la sua portata testuale che è quella di vietare che i privati, senza la partecipazione della amministrazione pubblica, possano liberamente disporre della concessione”, costituendo detto divieto ad un tempo “…specificazione ed estrinsecazione del divieto di subentro inautorizzato” e “…formula pienamente esemplificativa di quel venir meno ai propri obblighi di concessione che l’art. 44 sanziona per l’appunto con la decadenza”, obblighi cui il provvedimento impugnato ha fatto puntuale riferimento rilevando espressamente che “la vendita realizzata in violazione della normativa regolamentare citata si pone in contrasto con le procedure ad evidenza pubblica di assegnazione dei beni in concessione e deve, pertanto, considerarsi grave inadempimento da parte dell’alienante degli obblighi di conservazione e custodia del bene in concessione posti a suo carico”.
Neppure può ritenersi che sia stata accettata dal primo giudice l’integrazione della motivazione del provvedimento di revoca decadenziale effettuata con le deduzioni processuali della difesa del Comune, non essendo la circostanza delle indagini della Procura sulla stipula dei contratti di compravendita elemento posto esplicitamente da parte del T.A.R. a fondamento della assunta decisione, che ha fatto legittimamente riferimento a fatti storici emersi nel corso del giudizio, senza effettuare alcuna integrazione della motivazione del provvedimento impugnato, peraltro genericamente dedotta dall’appellante.
Quanto all’interesse pubblico, va rilevato che in sentenza è fatto ad esso riferimento solo nel senso che il provvedimento di decadenza non richiede specifiche valutazioni in ordine all’interesse pubblico e non è stato quindi valutato in riferimento alle produzioni e deduzioni effettuate dal Comune in giudizio, ma in via generale.
Le censure in esame non possono quindi essere condivise.
11.- Con il secondo motivo di gravame è stato lamentato che l’assenza di una causa di decadenza dalla concessione avrebbe indotto il Comune a fare improprio ricorso all’istituto della revoca decadenziale (in modo da introdurre il concetto di superiore interesse pubblico a rientrare nella disponibilità dell’area in questione e dei manufatti ivi realizzati), con comportamento che sarebbe, oltre che stato effettuato in violazione delle norme attributrici, indice di sviamento, avendo il Comune dapprima affermato di aver voluto proteggere il bene in base all’art. 44 ed all’art. 53 del Regolamento, recanti il divieto di cessione tra privati della concessione, e poi confessato che l’interesse pubblico sotteso al provvedimento era dato dalla opportunità di procedere alla riassegnazione dell’area.
11.1.- Osserva il Collegio che, a prescindere dalla definizione utilizzata, la decadenza dalla concessione va disposta senz’altro quando il soggetto si spoglia del bene concesso e che può inseririsi la decadenza pronunciata nell’ambito della violazione degli oneri di manutenzione della concessione di cui all’art. 44 del Regolamento di cui trattasi, il cui comma 9 prevede che la concessione può essere soggetta a decadenza per inadempienza degli obblighi del concessionario di mantenimento dei manufatti; ha quindi specificato il T.A.R., contrariamente a quanto assunto dall’appellante, che non si trattava di revoca per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, quanto di decadenza per inadempimento del concessionario.
Il provvedimento di ritiro era espressamente previsto dal Regolamento comunale di Polizia Mortuaria approvato con la delibera consiliare n. 11 del 21 febbraio 2006, che non è stato oggetto di apposita impugnazione, per quanto essa non ha neppure natura sanzionatoria in senso stretto, conseguendo piuttosto all’inadempimento degli obblighi discendenti dall’esatta osservanza della concessione, non limitati, secondo il comma 9, lett. b), dell’art. 44 del Regolamento, alla sola inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere, ma estesi altresì alla fase della costruzione dei manufatti e loro mantenimento, proprio a quest’ultimo profilo avendo fatto riferimento l’amministrazione comunale.
Quanto al dedotto sviamento di potere, va osservato che il vizio consiste nell’effettiva e comprovata divergenza fra l’atto e la sua funzione tipica, ovvero nell’esercizio del potere per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso; la censura di eccesso di potere per sviamento deve essere supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dar conto delle divergenze dell’atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non essendo a tal fine sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si traducano nella dimostrazione dell’illegittima finalità perseguita in concreto dall’organo amministrativo; né il vizio in questione è ravvisabile allorquando l’atto asseritamente viziato risulti comunque adottato nel rispetto delle norme che ne disciplinano la forma e il contenuto e sia in piena aderenza al fine pubblico al quale è istituzionalmente preordinato.
Poiché il provvedimento impugnato è stato legittimamente adottato nel rispetto degli artt. 44 e 53 del Regolamento e, una volta dichiarata la decadenza dalla concessione del suolo cimiteriale, del tutto coerentemente e correttamente, ed in ogni caso in puntuale applicazione del comma 1 dell’art. 44 del Regolamento stesso, sono state acquisiste alla proprietà dell’Amministrazione comunale le opere realizzate sul suolo demaniale ai sensi dell’art. 953 c.c., non può quindi ritenersi che costituisse sintomo di sviamento l’aver inteso riassegnare dette aree per la loro destinazione all’uso previsto, come del resto previsto dall’art. 51 del Regolamento.
Le censure esaminate non sono in conclusione suscettibili di positiva valutazione.
12.- Con il terzo motivo d’appello, è stato dedotto che l’interpretazione sistematica dell’art. 53 del Regolamento (secondo il quale quando un privato voglia recedere anticipatamente dalla concessione di un manufatto funebre o dalla concessione di un’area su cui insiste un manufatto dal medesimo realizzato si applica quanto previsto dal precedente art. 50), poiché si riferisce esclusivamente alla concessione di un manufatto funebre, renderebbe evidente che il suo primo comma, che vieta qualsiasi cessione diretta tra privati, non vieterebbe la cessione dei diritti di superficie di aree su cui, al momento del rilascio della concessione, non insistevano già manufatti funebri acquisiti dal Comune per retrocessione; ciò considerato anche quanto stabilito dal precedente art. 51 (secondo il quale i suoli retrocessi o rientrati a seguito di provvedimento di revoca delle concessioni saranno dati in concessione e, nel caso di suolo su cui insista un’opera già parzialmente realizzata ed acquisita dal Comune, esso sarà posto in concessione).
Il presupposto per l’estensione del divieto di cessione anche ai diretti beneficiari dell’area oggetto di concessione risiederebbe nella circostanza che la concessione abbia interessato sin dal suo rilascio anche i manufatti funebri, eventualità che non ricorrerebbe nel caso di specie, in cui le sepolture sono state realizzate dal concessionario in base a permesso di costruire.
In assenza di tali vicende della concessione il Comune non acquisirebbe mai la piena disponibilità dei manufatti funerari.
Il secondo comma di detto art. 53, con disposizione dal contenuto letterale non suscettibile di diverse interpretazioni, si riferirebbe esclusivamente alla retrocessione della concessione di un manufatto funebre e sarebbe inapplicabile al caso che occupa, in cui il manufatto non è stato concesso dal Comune.
Diversamente opinando, la disposizione avrebbe introdotto una disposizione sfavorevole con portata retroattiva e con irragionevolezza.
Sarebbe errata la tesi del TAR che detto art. 53 vieta che i privati dispongano della concessione senza la partecipazione dell’Amministrazione, perché la proprietà superficiaria di un manufatto realizzato su area demaniale concessa ad un privato all’interno di un cimitero è liberamente trasmissibile inter vivos; infatti, se è vero che sono configurabili posizioni di interesse legittimo nei rapporti con la P.A. concedente, sarebbe anche vero che la semplice cessione dei diritti superficiari non integrerebbe ex se una violazione del meccanismo, essendo necessario, perché la P.A. possa esercitare il suo potere di revoca della concessione, un quid pluris che giustifichi l’adozione del relativo provvedimento.
Del resto il previgente regolamento comunale consentiva la libera cessione delle aree demaniali concesse.
Come lo ius sepulcri soggiace alla normativa sopravvenuta che regoli il rapporto concessorio rispetto all’originario titolo, correlativamente le modalità di esercizio del potere di revoca sarebbero vincolate dalla normativa sopravvenuta, o da autolimitazioni che la P.A. si è posta, e, poiché oggetto dell’originaria concessione era esclusivamente il suolo e non anche l’edificio funebre (che è stato realizzato dal concessionario), la mera cessione della proprietà superficiaria oggetto dell’originaria concessione non sarebbe stata rilevante ai fini della irrogazione della sanzione della revoca, perché consentita, mentre il Comune avrebbe voluto vietare la cessione di manufatti funebri.
Non sarebbe condivisibile né la tesi del T.A.R. che sarebbe stata irragionevole una regolamentazione differenziata tra i titolari di vecchie e nuove concessioni (perché invece una disciplina differenziata sarebbe stata giustificata in ragione del legittimo affidamento ingenerato dal previgente Regolamento), né la tesi che il bilanciamento degli opposti interessi trovava equilibrio nella previsione di un regime transitorio (essendo questo agganciato alla entrata in vigore del nuovo regolamento, non portato a conoscenza dei concessionari, non tenuti a controllare l’albo pretorio).
12.1.- Osserva in proposito il Collegio che – fermo restando il rilievo che tali censure potevano essere prospettate soltanto dal legittimo concessionario e non dall’appellante – va ribadito in proposito che la revoca in questione è espressamente prevista dal Regolamento, che non è stato oggetto di apposita impugnazione, per quanto essa non ha neppure natura sanzionatoria in senso stretto, conseguendo piuttosto all’inadempimento degli obblighi discendenti dall’esatta osservanza della concessione, non limitati, secondo il comma 9, lett. b), dell’art. 44 del regolamento alla sola inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere, ma estesi altresì alla fase della costruzione dei manufatti e loro mantenimento, proprio a quest’ultimo profilo avendo fatto riferimento l’amministrazione comunale, come già rilevato in precedenza.
Peraltro la tesi che l’art. 53 del Regolamento consentirebbe solo la revoca della concessione e non anche della proprietà superficiaria non trova adeguato riscontro nelle disposizioni invocate dall’appellante ed è anzi smentita dalla circostanza che il diritto di superficie si estingue nel momento in cui la concessione è revocata, accedendo alla proprietà del suolo.
Va infatti ribadito che il diritto soggettivo perfetto di natura reale nel privato concessionario è assimilabile al diritto di superficie, che dà luogo alla tutela spettante all’interesse legittimo nei confronti degli atti della pubblica amministrazione nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero impongono o consigliano alla P.A. il potere di esercitare la revoca della concessione.
Quanto alla dedotta opportunità di una disciplina differenziata, va osservato che il principio di irretroattività postula invero l’inapplicabilità di una disposizione di legge ad un fatto avvenuto nel passato, prima della sua emanazione, fattispecie che tuttavia non si riscontra nel caso di specie in cui, stante la natura di durata del provvedimento concessorio, è ben possibile che i relativi rapporti, nel loro concreto ed effettivo dipanarsi nel tempo, possano essere sottoposti anche ad una disciplina diversa da quella esistente al momento dell’emanazione di detto provvedimento, riguardante vicende e situazioni non ancora verificatesi o i cui effetti non si siano ancora definitivamente consolidati (salva la tutela del legittimo affidamento, che tuttavia non viene minimamente in rilievo nel caso in esame).
Anche le esaminate censure vanno respinte.
13.- Con il quarto motivo di gravame è stato dedotto che la sanzione comminata sarebbe illegittima sia per non essere stata prevista dal Regolamento, sia per non conoscere l’appellante le disposizioni ivi contenute, che vietavano la cedibilità del diritto di superficie, non essendo stato comunicato a nessuno il contenuto del citato art. 53, tanto che l’atto notarile applicava l’art. 270 del precedente Regolamento.
Non sarebbe inoltre stato comunicato l’avvio del procedimento, prima della adozione del Regolamento, che avrebbe modificato in senso svantaggioso per ciascun concessionario il regime di trasferibilità del titolo, con indicazione dei motivi dell’intento di variare il regime giuridico delle concessioni.
Insufficiente a garantire tale conoscenza sarebbe stata la pubblicazione del Regolamento sull’albo pretorio, essendo stata obbligatoria la notifica individuale perché i concessionari delle aree cimiteriali costituivano un numero chiuso e la loro identità era ben nota al Comune; inoltre il notaio era tenuto a conoscere le leggi e non i regolamenti comunali.
13.1.- Osserva la Sezione che la pubblicazione dell’atto regolamentare comporta la presunzione di conoscenza del suo contenuto da parte degli interessati, senza che sia necessaria alcuna comunicazione individuale agli interessati.
Nel caso di specie il Regolamento di polizia mortuaria del Comune di Napoli è stato approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 11 del 21 febbraio 2006 e dalla sua pubblicazione sussisteva la presunzione di conoscenza del Regolamento nei confronti di tutti i destinatari, nessuno escluso.
Né può ritenersi che fosse obbligatoria la sua notifica individuale agli interessati, essendo essa dovuta, ai fini della piena conoscenza della disposizione regolamentare, solo nell’ipotesi, non ricorrente nel caso di specie, in cui essi siano nominativamente indicati in essa.
Quanto alla necessità di comunicazione dell’avvio del procedimento, non può il Collegio che concordare con il primo giudice che non era tenuto il Comune a comunicare agli interessati l’avvio del procedimento di adozione del Regolamento in questione, essendo il relativo obbligo escluso ex art 13, della l . n. 241 del 1990 dall’applicazione del precedente art. 7, nell’ipotesi di adozione, come nel caso del Regolamento stesso, di atti a contenuto generale.
Anche le esaminate censure non possono quindi essere accolte.
14.- In conclusione l’appello deve essere respinto.
15.- Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello proposto dal signor Paolo Aversa avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania n. 4160 del 2013, lo respinge.
Condanna l’appellante sig. Aversa Paolo al pagamento in favore del Comune di Napoli delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano complessivamente in €. 5.000,00 (cinquemila), oltre I.V.A., C.P.A. ed altri accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
Fulvio Rocco, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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