Consiglio di Stato, Sez. V, 24 gennaio 2013, n. 435

Norme correlate:
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Art 113 Decreto Legislativo n. 267 /2000
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Testo completo:
Consiglio di Stato. Sez. V, 24 gennaio 2013, n. 435
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2774 del 2011, proposto da: Epis Felice s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Maurizio Zoppolato ed Enzo Robaldo, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via del Mascherino, n. 72;
contro
Comune di Calolziocorte, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Liguori, con domicilio eletto presso lo Studio legale Ciabattini in Roma, Piazzale Clodio, n. 32; Ausum s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lombardia – Milano, Sezione I, n. 00450/2011, resa tra le parti, concernente la indizione di una nuova gara a seguito della scadenza della concessione del servizio di illuminazione votiva dei cimiteri comunali;
nonché per l’accertamento del diritto della appellante al mantenimento della concessione in essere, per lo meno sino alla sua naturale scadenza del 31.12.2031, nonché della perdurante vigenza ed efficacia del contratto di concessione stipulato il “20 agosto 1971 e successivamente integrato”;
per la condanna del Comune a dare esecuzione al contratto di concessione;
per la condanna al risarcimento del danno ingiusto patito dalla ricorrente in conseguenza della illegittimità dei provvedimenti impugnati, mediante reintegrazione in forma specifica ovvero per equivalente, con riserva di determinazione dell’ammontare in corso di giudizio;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Calolziocorte;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Vista la propria ordinanza 24 maggio 2011 n. 2269;
Visti gli atti tutti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2012 il Cons. Antonio Amicuzzi e udito per la parte appellante l’avvocato E. Robaldo;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Alla impresa Epis Felice s.r.l., a seguito di appalto concorso, è stato concesso dal Comune di Calolziocorte l’esercizio, previa costruzione dei relativi impianti, del servizio di illuminazione votiva in quattro cimiteri, con contratto di durata novennale del 28 agosto 1971, denominato “Atto di concessione del servizio di illuminazione elettrica votiva nei cimiteri comunali” ed avente ad oggetto “l’esercizio, con la costruzione dei relativi impianti, del servizio di illuminazione elettrica votiva nei quattro cimiteri comunali”.
Successivamente, con contratto del 16 aprile 1980, il termine finale di scadenza della concessione è stato fissato al 31 dicembre 1996; con contratto del 9 marzo 1990 detto termine è stato fissato al 31 dicembre 2006 ed infine è stata disposta la prosecuzione della gestione per ulteriori 25 anni, fino al 31 dicembre 2031, con contratto del 16 marzo 1999, con cui sono state rideterminate le condizioni contrattuali anche in considerazione del fatto che l’affidamento riguardava servizi e lavori diversi (ed ulteriori) dai precedenti.
Con provvedimento n. 42 del 2010 il Comune, richiamata la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1790/2010, ha disposto la cessazione del servizio, in applicazione dell’art. 113, comma 15bis, del TUEL e dell’art. 23 bis del D.L. n. 112/2008, convertito in L. n. 133/2008, stabilendo di procedere alla indizione di una nuova procedura di gara ad evidenza pubblica.
La Epis Felice s.r.l. ha quindi proposto ricorso giurisdizionale per l’annullamento di detta deliberazione n. 42 del 2010, che è stato respinto con la sentenza in epigrafe indicata.
Per l’annullamento o la riforma di detta sentenza ha proposto l’appello in esame detta società, deducendo i seguenti motivi:
1.- Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 1, 2, 3, 7, 10 e 10 bis della l. n. 241/1990, art. 97 della Costituzione, artt. 30, 142 e 143 del d. lgs. n. 163/2006, artt. 113 e 113 bis del d. lgs. n. 267/2000, artt. 2 e 19 della l. n. 109/1994 e art. 23 bis, comma 8, del d.l. n. 112/2008). Eccesso di potere per travisamento dei fatti, omessa istruttoria e difetto di motivazione. Eccesso di potere per contraddittorietà, irragionevolezza, perplessità e ingiustizia manifesta. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto, difetto di motivazione e di istruttoria.
La deliberazione impugnata è illegittima per aver il Comune ignorato le considerazioni svolte in sede endoprocedimentale dalla appellante, che ha sottoposto all’attenzione del Comune la sentenza n. 1790/2010 della V Sezione del C.d.S., che, in una situazione di fatto del tutto sovrapponibile a quella in vertenza, ha ritenuto inapplicabile la disciplina di cui all’articolo 113, comma 15 bis, del decreto legislativo n. 267 del 2000 e all’art. 23 bis del d.l. n. 112/2008.
Inoltre il Giudice di prime cure non ha delibato la censura di sviamento di potere ed erroneamente ha ritenuto che la attuale appellante non avesse interesse a dedurre una ulteriore censura.
2.- Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 1, 2, 3, 7, 10 e 10 bis della l. n. 241/1990, art. 97 della Costituzione, artt. 30, 142 e 143 del d. lgs. n. 163/2006, artt. 113 e 113 bis del d. lgs. n. 267/2000, artt. 2 e 19 della l. n. 109/1994 e art. 23 bis, comma 8, del d.l. n. 112/2008). Eccesso di potere per travisamento dei fatti, omessa istruttoria e difetto di motivazione. Eccesso di potere per contraddittorietà, irragionevolezza, perplessità e ingiustizia manifesta. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto, difetto di motivazione e di istruttoria.
Comunque il provvedimento impugnato è viziato perché il rapporto di cui si verte è sussumibile non nell’ambito delle concessioni di servizio pubblico locale, ma in quello delle concessioni di costruzione e gestione, cui sono applicabili unicamente le disposizioni di cui al d. lgs. n. 163/2006 e non le disposizioni di cui agli artt. 113, comma 15 bis, del d. lgs. n. 267/2000 e 23 bis, comma 8, del d.l. n. 112/2008.
3.- Violazione e falsa applicazione di legge (art. 30 del d. lgs. n. 163/2006, artt. 113 e 113 bis del d. lgs. n. 267/2000, art. 23 bis del d.l. n. 112/2008, artt. 1, 2 e 15 della l. r. Lombardia n. 26/2003). Eccesso di potere per contraddittorietà, irragionevolezza, disparità di trattamento e ingiustizia manifesta. Eccesso di potere per travisamento, difetto di motivazione e di istruttoria.
In via subordinata i provvedimenti impugnati sarebbero comunque illegittimi perché i servizi di illuminazione votiva non rientrano nel novero dei servizi pubblici di rilevanza economica di cui all’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000.
4.- E’ stato chiesto il risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, nella entità da determinare nel corso del giudizio.
Con atto depositato il 20.5.2011 si è costituito in giudizio il Comune di Calolziocorte, che ha dedotto la infondatezza di tutti i motivi di appello, concludendo per la reiezione.
Con ordinanza 24 maggio 2011 n. 2269 la Sezione ha dichiarato improcedibile il giudizio cautelare di appello per sopravvenuto difetto di interesse della parte appellante.
Con memoria depositata il 24.9.2012 parte appellante ha dedotto che gli artt. 23 bis del d.l. n. 112/2008 e 113 del d. lgs. n. 267/2000 sono stati abrogati o dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla Corte Costituzionale ed ha ribadito tesi e richieste.
Con memoria depositata il 24.9.2012 la parte resistente ha ribadito le già formulate deduzioni e domande e con memoria depositata il 5.10.2012 ha replicato alle avverse argomentazioni, in particolare deducendo che l’art. 23 bis del d.l. n. 112/2008 è stato abrogato in esito al referendum del maggio 2011 con il d.P.R. n. 113/2011, aggiungendo che tanto non ha comportato effetti retroattivi con effetto sui fatti di causa.
Alla pubblica udienza del 26.10.2012 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza dell’avvocato della parte appellante come da verbale di causa agli atti del giudizio.
DIRITTO
1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata da Epis Felice s.r.l., di annullamento o di riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale era stato respinto il ricorso da essa proposto per l’annullamento della deliberazione n. 42 del 2010 del Comune di Calolziocorte, di indizione di una nuova gara a seguito della dedotta scadenza della concessione del servizio di illuminazione votiva dei cimiteri comunali, nonché per l’accertamento del diritto della appellante al mantenimento della concessione in essere, per lo meno sino alla sua naturale scadenza del 31.12.2031, e della perdurante vigenza ed efficacia del contratto di concessione a suo tempo stipulato e per la condanna del Comune a dare esecuzione al contratto di concessione; infine per la condanna al risarcimento del danno ingiusto patito dalla ricorrente in conseguenza della illegittimità dei provvedimenti impugnati, mediante reintegrazione in forma specifica ovvero per equivalente, con riserva di determinazione dell’ammontare in corso di giudizio.
2.- Con il primo motivo di appello è stato dedotto che la deliberazione impugnata, con la quale è stata dichiarata la decadenza del rapporto concessorio in corso tra la Epis Felice s.r.l. ed il Comune di Calolziocorte, sarebbe illegittima per aver il Comune ignorato le considerazioni svolte in sede endoprocedimentale dalla appellante, che aveva sottoposto all’attenzione del Comune la sentenza n. 1790/2010 della V Sezione del C.d.S., che, in una situazione di fatto del tutto sovrapponibile a quella in vertenza, ha dichiarato la validità e l’efficacia di un rapporto concessorio sorto anni or sono a seguito di procedura ad evidenza pubblica (poi integrato adeguando le condizioni economiche ed i tempi di durata), considerando inapplicabile la disciplina di cui all’articolo 113, comma 15 bis, del decreto legislativo n. 267 del 2000 e all’art. 23 bis del d.l. n. 112/2008, nell’assunto che il contratto integrativo stipulato in costanza di concessione non fosse qualificabile quale proroga, ma come prosecuzione dell’originario rapporto, con conseguente inapplicabilità di detta normativa per aver avuto origine la concessione da una gara pubblica.
Anche nel caso di specie il Comune ha attribuito alla attuale appellante (quale controprestazione per la progettazione e la realizzazione dell’impianto, nonché per la realizzazione delle lavorazioni richieste dal Comune) il diritto di gestire l’impianto e le opere realizzate, che sarebbero rimaste di proprietà del concessionario sino alla scadenza della concessione, a seguito di appalto concorso e nel corso degli anni è stata di volta in volta disposta la prosecuzione dell’originario affidamento prima che il rapporto concessorio pervenisse alla sua naturale scadenza.
Inoltre il fine di assicurare il perseguimento dell’equilibrio economico finanziario degli investimenti del concessionario giustificava la maggiore durata del rapporto oltre il termine trentennale di durata massima della concessione di cui all’art. 142, comma 6, del d. lgs. n. 163/2006.
Sarebbe errata la sentenza appellata che ha ignorato la peculiarità di dette circostanze, limitandosi a richiamare precedenti giurisprudenziali che qualificano l’illuminazione votiva quale servizio pubblico.
Comunque sarebbe inconferente la sentenza del Consiglio di Stato n. 1790/2010 (perché riguardante un contratto affidato in assenza di procedura ad evidenza pubblica), come pure la sentenza di detto Consiglio n. 850/2010 (perché relativa a proroghe qualificabili tali solo se disposte alla scadenza del rapporto contrattuale e quindi equiparabili ad affidamenti senza gara). Inoltre la sentenza n. 9302/2010 riguarda un contratto di appalto e non di concessione.
In conclusione nel caso di specie non poteva essere legittimamente pronunciata la decadenza della concessione ai sensi degli artt. 113, comma 15 bis, del d. lgs. n. 267/2000 e 23 bis, comma 8, del d.l. n. 112/2008, essendo la concessione pacificamente sorta a seguito di gara ad evidenza pubblica, senza mai interrompersi o essere prorogata.
Inoltre il Giudice di prime cure non avrebbe delibato la censura con la quale era stato dedotto che la deliberazione n. 42/2010 era viziata per sviamento di potere, intendendo il Comune far partecipare ad una nuova gara una società multi servizi versante in grave stato di crisi, ed erroneamente avrebbe ritenuto che la attuale appellante non avesse interesse a censurare che detta deliberazione era viziata anche dall’aver unilateralmente fissato in ¬ 13.000 l’ammontare del residuo investimento non ammortizzato della appellante, avendo così definito l’Amministrazione il proprio orientamento al riguardo.
2.1.- Innanzi tutto la Sezione, con riguardo alla deduzione effettuata dalla parte appellante con memoria depositata il 24.9.2012, che gli artt. 23 bis del d.l. n. 112/2008 e 113 del d. lgs. n. 267/2000 sono stati abrogati o dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla Corte Costituzionale, osserva che l’art. 113, comma 13 bis, del d. lgs. n. 267/2000 è stato abrogato dall’articolo 12, comma 1, lettera a), del D.P.R. 7 settembre 2010, n. 168, e l’art. 23 bis del d.l. n. 112/2008 è stato abrogato, a decorrere dal 21 luglio 2011, dall’articolo 1, comma 1, del D.P.R. 18 luglio 2011, n. 113.
Essi erano quindi in vigore all’epoca dei fatti di causa e le successive abrogazioni sono inidonee ad influire sulla legittimità dei provvedimenti adottati in base ad essi.
2.2.- In secondo luogo va osservato che il rinnovo del contratto si distingue dalla mera proroga (consistente nel semplice spostamento in avanti del termine di durata del contratto), importando una rinegoziazione del contratto con lo stesso contraente, nel corso della quale siano accertate le ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione.
Il Collegio ritiene che nel caso di specie i contratti stipulati dopo il primo non appaiono essere assistititi da requisiti tali da poter far ritenere che siano stati meramente integrativi di esso, limitandosi a prorogarne la durata e quindi caratterizzati, come il primo, dall’essere stati stipulati all’esito di una procedura concorsuale ad evidenza pubblica.
Invero il contratto rep. n. 259 del 16.4.1980, con cui è stata disposta la proroga del contratto fino all’anno 1996, deve essere considerato una vera e propria rinegoziazione e rinnovo, prevedeva anche l’ampliamento della rete della illuminazione votiva dei cimiteri di cui trattasi, da cedere al Comune senza oneri alla scadenza.
Anche il contratto rep. n. 785 del 9.3.1990, di ulteriore proroga della durata del contratto in questione, prevedeva un ulteriore ampliamento della rete di illuminazione in questione e la variazione della forma di contribuzione su quanto percepito.
Il successivo contratto rep. n. 5 del 16.3.1999, di ulteriore proroga della scadenza, costituiva una vera e propria rinegoziazione, prevedendo, come da delibera n. 68 del 26.6.1998 con cui la prosecuzione è stata disposta, l’adeguamento a cura e spese della società appellante, l’adeguamento/rifacimento degli impianti elettrici dei servizi igienici, della casa mortuaria, del locale attrezzi, della cappella centrale, la fornitura di un microfono, l’automazione dei cancelli e di apparecchi sonori e luminosi.
Quindi detti tre ultimi contratti non possono comunque considerarsi come stipulati all’esito di una procedura concorsuale ad evidenza pubblica, con conseguente applicabilità della decadenza automatica prescritta dall’art. 23 bis, comma 8, del d.l. n. 112/2008, convertito in l. n. 133/2008.
2.3.- Quanto alla dedotta censura di mancato esame da parte del T.A.R. del motivo di ricorso con cui era stato dedotto che la deliberazione n. 42/2010 era viziata per sviamento di potere, intendendo il Comune far partecipare ad una nuova gara una società multi servizi versante in grave stato di crisi, essa è da ritenere inconferente ai fini della decisione, essendo comunque inammissibile per genericità, non risultando idonea la circostanza dedotta a prova del vizio, cioè il mero intento non trasfusosi in un vero e proprio provvedimento, a dimostrare il paventato sviamento; la deduzione di detto vizio, per essere favorevolmente apprezzata, deve infatti essere supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dar conto delle divergenze dell’atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non essendo a tal fine sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si traducano nella concreta dimostrazione dell’illegittima finalità perseguita in concreto dall’organo amministrativo.
2.4.- Quanto alla censura che il T.A.R. avrebbe erroneamente ritenuto che la attuale appellante non avesse interesse a dedurre il vizio consistente nell’aver unilateralmente fissato in ¬ 13.000 l’ammontare del residuo investimento non ammortizzato della appellante, la Sezione, considerato che nella parte dispositiva della deliberazione impugnata non è contenuta una tale determinazione, che costituiva solo il contenuto di una proposta in tal senso del Direttore Generale, ritiene la censura inammissibile per carenza di interesse.
Una mera proposta deve infatti ritenersi che sia inidonea a manifestare la volontà dell’Amministrazione e, comunque, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, non ha prodotto in via diretta una lesione attuale della posizione giuridica sostanziale dedotta in giudizio, sicché la censura è da valutare inammissibile.
Tra l’altro il primo giudice ha rilevato, al riguardo, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo trattandosi di questione di interpretazione del contratto; e su tale specifico rilievo non vi sono contestazioni nell’atto di appello.
3.- Con il secondo motivo di gravame è stato asserito che comunque il provvedimento impugnato sarebbe viziato perché il rapporto di cui si verte, contrariamente a quanto affermato in sentenza, sarebbe sussumibile non nell’ambito delle concessioni di servizio pubblico locale, ma in quello delle concessioni di costruzione e gestione, cui sono applicabili unicamente le disposizioni di cui al d. lgs. n. 163/2006 (che non prevedono l’automatica decadenza del rapporto) e non quelle di cui agli artt. 113, comma 15 bis, del d. lgs. n. 267/2000 e 23 bis, comma 8, del d.l. n. 112/2008, che prevedono l’automatica cessazione delle concessioni di servizi pubblici locali rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica.
Invero il “nomen iuris” utilizzato dal Comune sarebbe irrilevante ai fini della corretta qualificazione del rapporto, che va effettuata in virtù dell’accertamento degli effettivi contenuti sostanziali del rapporto.
In base ad una comunicazione interpretativa della Commissione UE del 12.4.2000 la linea di demarcazione tra i due istituti sopra citati andrebbe individuata considerando il nesso di strumentalità che lega la gestione del servizio e l’esecuzione dei lavori, sicché se la gestione dell’opera è strumentale alla sua costruzione (in quanto consente il reperimento dei mezzi finanziari necessari alla sua realizzazione) è configurabile la concessione di costruzione e gestione, mentre nel caso inverso è configurabile la gestione di servizi.
In caso di prestazioni eterogenee vanno individuate quali prestazioni siano prevalenti e quale sia il nesso direzionale che regola il rapporto di strumentalità tra le diverse componenti, stabilendo se la gestione delle opere e degli impianti sia funzionale e strumentale alla loro realizzazione o alla gestione del servizio. Tanto dimostrerebbe la erroneità della sentenza laddove ha affermato la accessorietà della componente lavori, perché di rilevanza economica non rilevante.
Nel caso che occupa l’affidamento sarebbe nato come concessione di costruzione e gestione perché il Comune non disponeva di impianto di illuminazione votiva cimiteriale ed ha attribuito al concessionario (quale controprestazione per la realizzazione e gestione dell’impianto e per l’esecuzione delle lavorazioni richieste), il diritto di gestire l’impianto e le opere realizzate, che sarebbero rimaste di proprietà del concessionario sino alla scadenza della concessione.
L’affidamento sarebbe stato quindi finalizzato principalmente a garantire al Comune la realizzazione dell’impianto ed il rapporto sarebbe stato qualificabile come concessione di lavori pubblici e non di servizi.
Erroneamente il Giudice di prime cure avrebbe asserito che la realizzazione dei nuovi impianti e la manutenzione di quelli già esistenti presentasse un rilevanza accessoria rispetto al servizio di illuminazione erogato; in particolare a far data dall’anno 1999, in cui è stato sottoscritto un nuovo contratto e prorogato l’affidamento per 25 anni, quando gli impianti realizzati nell’anno 1971 erano stati già completati ed analizzati.
Invero, come risulterebbe dai documenti contrattuali (4, 5, 6 e 8), analizzando le ulteriori attività effettuate nel corso degli anni dalla appellante, che sono nella maggior parte interventi di manutenzione delle opere e degli impianti (rientranti nella categoria dei lavori pubblici), non si ricaverebbero elementi idonei ad attribuire una diversa qualificazione al rapporto concessorio.
Anche dalla disamina delle diverse attività di cui consta l’illuminazione votiva (progettazione, realizzazione, manutenzione e servizio) si evincerebbe che la componente lavori, includente anche quella di progettazione, è più corposa e rilevante della componente servizi, sicché essa non potrebbe essere qualificata come servizio pubblico locale, che è disciplinato dall’art. 23 bis della l. n. 133/2008, anche se i proventi dell’attività vengono percepiti dal concessionario, perché questi consentono all’impresa di coprire i costi necessari per la realizzazione e manutenzione dell’impianto, che sono superiori a quelli necessari allo svolgimento del servizio (consistenti nella riscossione del canone e nelle eventuali correzioni di indirizzi).
Inoltre la appellante sarebbe stata soggetta ad una particolare alea connessa alla gestione dell’impianto, tipica delle concessioni di costruzione e gestione (consistente nella realizzazione di impianto tale da essere idoneo a collegare tutti i sepolcri presenti, prescindendo dal numero di utenti che effettivamente chiederanno il collegamento).
3.1.- Osserva la Sezione che nella giurisprudenza è ormai prevalente l’indirizzo che riconosce natura di servizio pubblico al servizio d’illuminazione votiva, differenziandolo nettamente dall’ipotesi di concessione e gestione di opera pubblica (cfr: Consiglio di Stato, sez. V, sent. 29 marzo 2010 n. 1790, in cui è affermato espressamente che il servizio di illuminazione votiva costituisce “concessione di pubblico servizio e non di opera pubblica”, nonché Consiglio di Stato, sez. V, sent. 11 agosto 2010, n. 5620 e Consiglio di Stato, sez. V, sent. 14 aprile 2008, n. 1600).
Normalmente, infatti, la realizzazione dell’impianto ha carattere strumentale rispetto alla primaria esigenza perseguita, che è quella di consentire il culto dei defunti anche mediante la gestione del servizio di illuminazione votiva.
Quindi l’illuminazione elettrica votiva di aree cimiteriali da parte del privato costituisce oggetto di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica perché richiede che il concessionario impegni capitali, mezzi, personale da destinare ad un’attività economicamente rilevante, in quanto suscettibile, almeno potenzialmente, di generare un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto concorrenziale del mercato di settore (Consiglio di Stato, sez. V, 24 marzo 2011, n. 1784). Tanto si evince dal d.m. 31 dicembre 1983, n. 15400 (che ricomprendeva tra i c.d. servizi pubblici a domanda individuale proprio quello di illuminazione votiva) e risulta oggi confermato dalla norma generale sancita dall’art. 172, comma 1, lett. e), t.u. 18 agosto 2000 n. 267, e successive modificazioni, che impone di allegare al bilancio di previsione, fra gli altri documenti, le deliberazioni con le quali sono determinati le tariffe per i servizi locali, nonché (per quelli a domanda individuale) i tassi di copertura in percentuale del costo di gestione dei servizi stessi (Consiglio Stato, sez. V, 11 agosto 2010, n. 5620)
Tanto premesso non può essere condivisa la tesi della parte appellante che erroneamente il Giudice di prime cure avrebbe asserito che la realizzazione dei nuovi impianti e la manutenzione di quelli già esistenti presentasse una rilevanza accessoria rispetto al servizio di illuminazione erogato.
Invero scopo principale della stipula del contratto di cui trattasi tra l’appellante e la stazione appaltante deve ritenersi che sia stato quello di mettere a disposizione della utenza la possibilità di esercitare il culto dei defunti anche mediante la fruizione del servizio di illuminazione votiva, per consentire il quale è stata necessaria la previa costruzione dell’impianto stesso da parte della società affidataria, che ha pertanto rilevanza accessoria e strumentale rispetto alla erogazione del servizio.
D’altronde alla affidataria è stato corrisposto il corrispettivo per l’erogazione del servizio e non per la costruzione della rete elettrica di illuminazione, che è quindi compresa tra i costi ammortizzabili con percezione dei corrispettivi per la gestione del servizio durante il corso dello stesso.
Anche la censura in esame non può quindi essere oggetto di positiva considerazione.
4.- Con il terzo motivo di appello è stato dedotto, in via subordinata (nell’ipotesi in cui si potesse ritenere che l’oggetto principale della concessione consistesse nello svolgimento di servizi e non nello svolgimento di lavori), che la appellante aveva formulato la censura che i provvedimenti impugnati sarebbero stati comunque illegittimi perché i servizi di illuminazione votiva non rientrano nel novero dei servizi pubblici di rilevanza economica di cui all’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000, al quale il Comune ha fatto richiamo solo con la deliberazione 11 aprile 2007, n. 24.
Secondo la appellante erroneamente e contraddittoriamente la sentenza da un lato nega la prevalenza della componente lavori e dall’altro afferma che la concessione rientrava nei servizi pubblici di rilevanza economica di cui all’art. 113 del d. lgs. n. 267/2000, che invece sarebbe da escludere perché lo svolgimento del servizio in questione richiede l’impegno periodico di una sola persona e la spesa di qualche migliaio di euro.
Quindi, se la concessione non viene considerata nel suo complesso valutando l’incidenza nel corso degli anni di tutte le sue componenti, con prevalenza della componente lavori, e viene valutata nella sola componente dei servizi, sarebbe priva di rilevanza economica, con non operatività della decadenza fissata dall’art. 23 bis del d.l. n. 112/2008.
Inoltre le attività qualificabili come servizi cimiteriali costituirebbero, ai fini della disciplina che ne regola l’affidamento, servizi, ai sensi della direttiva 92/50/CE, nella concessione dei quali viene trasferita al concessionario l’alea della gestione economica del servizio affidato, a differenza dell’appalto di servizi in cui l’alea rimane in capo al committente.
Contrariamente quindi a quanto asserito con la impugnata sentenza, l’affidamento dell’attività di illuminazione votiva ad un soggetto che si assume l’alea della gestione del servizio dovrebbe ritenersi che sia regolato dalla disciplina delle concessioni di servizi e non dalle specifiche regole riguardanti l’affidamento dei servizi pubblici locali (che è comunque soggetto all’art. 30 del d. lgs. n. 163/2006 ed alle norme fondamentali del Trattato CE, che, diversamente da quanto previsto dall’art. 113 del d. lgs. n. 267/2000, non prevedono l’automatica caducazione del rapporto concessorio in essere ad una certa data).
Inoltre la qualificazione dell’illuminazione votiva quale servizio pubblico a rilevanza economica non sarebbe contenuta nella l. r. Lombardia n. 26/2003, né potrebbe ricavarsi dal d.m. 31.12.1983, relativo alla illuminazione votiva tradizionale e non a quella elettrica.
4.1.- La Sezione deve al riguardo ribadire che il d.m. 31 dicembre 1983, n. 15400 ricomprendeva tra i servizi pubblici a domanda individuale proprio quello di illuminazione votiva ed è stato oggi confermato dalla norma generale di cui all’art. 172, comma 1, lett. e), t.u. 18 agosto 2000 n. 267, e successive modificazioni.
Lo svolgimento del servizio a domanda individuale in questione è comunque a rilevanza economica, atteso che il corrispettivo percepito dall’affidatario del servizio è di entità tale da consentire il recupero delle spese effettuate per gli investimenti, consistenti nella realizzazione dell’impianto di illuminazione e delle spese di gestione, nonché di conseguire un utile di impresa.
Quanto alla affermazione che la fattispecie sia regolata non dalle specifiche regole riguardanti l’affidamento dei servizi pubblici locali ma dalla disciplina delle concessioni di servizi, che sono comunque soggette all’art. 30 del d. lgs. n. 163/2006, la Sezione osserva che tale norma, nel delineare le modalità di concessione dei servizi, al comma 4 afferma che sono fatte salve discipline specifiche che prevedono forme più ampie di tutela della concorrenza.
Orbene, l’art. 113 del d. lgs. n. 267/2000, è stato emanato proprio allo scopo di disciplinare “&. le modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali” che “concernono la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle discipline di settore”; sicché era comunque applicabile alla fattispecie in esame il comma 15-bis di detto articolo che stabiliva che “Nel caso in cui le disposizioni previste per i singoli settori non stabiliscano un congruo periodo di transizione, ai fini dell’attuazione delle disposizioni previste nel presente articolo, le concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006”.
Poiché l’art. 15 bis del d.lgs. n. 267/2000 disciplina anche le concessioni di servizi ed era in vigore all’epoca dei fatti di causa, neppure la censura in esame è valutabile come idonea a comportare la riforma della impugnata sentenza.
5.- Quanto alla richiesta di risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, nella entità da determinare nel corso del giudizio, rileva la Sezione che la infondatezza dell’azione di annullamento non può che condurre alla reiezione della domanda, atteso che tanto impedisce che il danno stesso possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall’Amministrazione.
6.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.
7.- Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidati come in dispositivo. Nessuna determinazione può essere assunta in ordine alle spese di giudizio con riguardo alla Ausum s.p.a., non costituita in giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, respinge l’appello in esame.
Pone a carico della parte appellante Epis Felice s.r.l. le spese e gli onorari del presente grado, liquidate a favore del Comune di Calolziocorte nella misura di ¬ 3.000,00 (tremila/00), oltre ai dovuti accessori di legge (I.V.A. e C.P.A.). Nulla per le spese è dovuto alla Ausum s.p.a..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
Nicola Gaviano, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 24/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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