Il malaffare che si annida in camera mortuaria ospedaliera

Il malaffare che si annida in camera mortuaria ospedaliera

Lo scorso mese di gennaio, a Bologna, è scattata un’imponente operazione dei carabinieri contro il malaffare delle imprese funebri nelle camere mortuarie di alcuni ospedali. Sulla scorta delle prime risultanze delle indagini la Regione Emilia-Romagna, titolare di una delle più avanzate legislazioni sulla materia, ha istituito un Nucleo Ispettivo, con il compito di coordinare le aziende ospedaliere nelle attività di verifica (anche con controlli diretti e senza preavviso), revisione e valutazione delle procedure adottate. Si procederà poi alla regolamentazione informatizzata degli accessi degli addetti delle imprese di onoranze funebri alle strutture sanitarie e alle camere mortuarie e ad altre misure di contra-sto al lavoro irregolare. Il giudizio su quanto messo in campo non può che essere positivo: a volte oportet ut scandala eveniant.
Dubitiamo, però, che il contrasto a questi fenomeni possa esaurirsi, incidendo solamente sul lato dei controlli (sia pure auspicabili) e sulla spersonalizzazione delle procedure, come, ad esempio, quella che imporrebbe al personale sanitario di consegnare ai familiari, nel doloroso momento del decesso di un loro caro, un generico elenco delle impre-se funebri. Verremmo infatti meno alle nostre responsabilità di ‘frequentatori’ di cose funerarie se considerassimo l’accaduto un episodio increscioso, ma isolato, qualcosa imputabile a comportamenti di singoli sviati (nessuna benevolenza: si tratta di cose indegne e penalmente rilevanti).
Da anni le cronache registrano il ripetersi di fatti analoghi, secondo uno schema che vede le imprese funebri muoversi, con un certo successo, per corrompere personale di aziende sanitarie e non solo. Ci pare, quindi, che le ragioni profonde di questi fenomeni malavitosi vadano cercate nelle contraddizioni strutturali nel sistema funebre di questo Paese. Proviamo a segnalarne qualcuna.
1. Le regole. Manca una legislazione nazionale coerente per le oltre 6.000 imprese funebri e per l’indotto: marmisti, fabbricanti di feretri, fioristi e rivenditori di articoli per cimiteri. Secondo certe stime ‘campano’ sui morti in Italia oltre 34.000 imprese. Poche, facilmente aggirabili, le regole di ingresso nel settore; e i requisiti per l’esercizio dell’attività sono comodamente comprabili da altre imprese (cosa che viene rigorosa-mente occultata ai familiari). Abbiamo un quadro di soggetti economici fortemente polverizzato e in feroce competizione tra loro, che presenta altresì non pochi problemi nella trasparenza dei prezzi e nelle transazioni commerciali in genere.
Eppure le legislazioni regionali intervenute hanno fatto poco, operando invece all’insegna di un ideologico laissez-faire. Anzi da qualche tempo, il contesto è stato più complicato da privative a vantaggio dell’impresa funebre e appesantimenti burocratici sui controlli che i Comuni dovrebbero effettuare. Privative che si sono quasi mai tradotte in assunzione di responsabilità sociali e deontologiche da parte dell’imprenditoria beneficiaria e controlli che le amministrazioni comunali hanno oggi, e avranno in futuro, sempre maggiore difficoltà ad assicurare (peraltro su regole così allentate e ricche di scappatoie).
Da anni poi si invocano norme fiscali più stringenti, ma per miopi ostinazioni si mantiene una falsamente pietosa esenzione dall’IVA delle spese funebri assieme ad una altrettanto non veritiera soglia di deducibilità a valle (max 1.550 euro). Due falsità non fanno una cosa giusta e cambiare queste storture è necessario. Se le famiglie potessero dedur-re integralmente le spese sostenute per un funerale e per la sistemazione della tomba non sarebbero costrette ad umilianti ammiccamenti con operatori disonesti. D’altra parte si ridurrebbe fino a sparire quel ‘nero’ che questi ultimi impiegano per ottenere vantaggi e favori nella sale mortuarie (ad esempio) e far così concorrenza sleale alle imprese corrette.
2. La consapevolezza nella domanda. I servizi funebri sono attività volte alle persone in lutto. Nei paesi de Nord-Europa, da qualche decennio, contro la Solitudine del morente si opera con iniziative di accompagnamento alla morte e di sostegno a beneficio di quanti sono a lui vicini. Poco o nulla si fa in Italia, dove all’isolamento del morente si aggiunge quello della sua famiglia. Soggetto quest’ultimo eminente debole proprio a causa della perdita e che in quell’evenienza rimane solo in preda al cordoglio e ai laceranti fantasmi che questo comporta.
In gran parte si muore negli ospedali e negli hospice. Ma l’azienda sanitaria che volesse mettere in piedi un servizio disinteressato di ascolto delle famiglie e di orientamento su cosa fare nell’approssimarsi di un esito – che la scienza medica ha reso in gran parte infaustamente prevedibile – finirebbe per ottenere solo critiche e, alla peggio, denunce per invasione di campo.
Eppure siamo di fronte ad un problema sociale che, per pericoli analoghi, ha trovato meritori tentativi di soluzione: in molte realtà esistono gli ‘sportelli antitruffa’ a vantaggio degli anziani e dei soggetti deboli. Forse sarebbe opportuno, e basterebbe poco, allargare il loro campo di azione alla prevenzione delle truffe mortuarie, dando loro la possibilità di fornire un orientamento alle famiglie in lutto, dialogando con esse (sarebbe questo il servizio quello da pubblicizzare negli ospedali!). Questi centri di ascolto potrebbero a loro volta costituire degli interlocutori privilegiati per chi auspichi una sempre maggiore trasparenza del settore e dei punti di osservazione per la legalità, in grado di monitorare e non lasciar cadere denunce di misfatti piccoli e grandi.
3. La tutela degli operatori. Ogni volta non possiamo che associarci alla pubblica riprovazione dei comportamenti degradati e sordidi degli addetti, fatti che, sistematicamente, emergono a latere delle indagini sul malaffare nei funerali e nei cimiteri. Ma – dopo aver plaudito il licenziamento dei responsabili di tali condotte e l’arrivo di persone nuove – l’impressione che resta a chi osserva le cose funerarie da tempo è quella di non aver spostato di un millimetro un problema che inesorabilmente si ripresenterà alla successi-va tornata di indagini giudiziarie.
Viene invocata la rotazione del personale come rimedio elettivo di prevenzione. Ma siamo così certi che questo possa bastare? Peraltro, si tratta di una misura che riguarderebbe quelle amministrazioni pubbliche con organici sufficienti per attuarla (ormai pochissime) e del tutto inapplicabile in contesti privati puri o di affidatari di pubblici servizi (anche in considerazione di ovvie rivendicazioni di salvaguardia dei livelli occupazionali che scattano nei casi di subentro di un nuovo aggiudicatario).
Decine di migliaia sono gli addetti che in Italia hanno a che fare abitualmente con la morte di una persona ed entrano in rapporto con la sua famiglia. Eppure si tratta di la-vori che hanno ancora oggi un incerto statuto professionale. Solo da qualche tempo le regioni hanno iniziato a domandarsi se fosse necessaria una qualche formazione per svolgere le attività funebri e cimiteriali. Tuttavia, su pressione delle imprese esistenti, hanno previsto, ‘a sanatoria’, dispense più o meno estese dagli obblighi formativi per chi era già nel settore e divenuto, per così dire, esperto per decreto.
Leggendo i programmi poco o niente di questa formazione obbligatoria riguarda il carico emotivo relazionale connesso a dover operare ogni giorno con persone nella fase acuta del cordoglio e per combattere la disumanizzazione che questo comporta. Forse sarebbe opportuno domandarsi se lo stress lavoro correlato sia davvero un’eventualità remota per chi si occupa di morti. La risposta è lì davanti ai nostri occhi: l’estremo disagio e lo stress sono portati immanenti a queste attività.
Non è solo, quindi, una questione di procedure o di rotazione, un’efficace azione di contrasto della corruzione dovrebbe partire proprio dall’evitare più possibile che chi si prende professionalmente cura dei morti diventi preda di impulsi negativi di rifiuto della propria condizione lavorativa aprendo la strada alla ricerca di compensazioni seconda-rie. Rendere quindi obbligatorie azioni documentate di sostegno per gli addetti, coinvolgere istituzioni accademiche, strutture sanitarie, associazioni di categoria e aziende, attivare continui monitoraggi sullo stress lavoro correlato dell’attività funeraria, non devo-no essere considerati abbellimenti inutili, ma interventi necessari al pari di quelle messi in capo per quelle professioni “a rischio” che necessitano di una obbligatoria sorveglianza sanitaria. Sorveglianza e supporti che dovrebbero essere condotti in maniera più attenta in ragione della permanenza nella mansione – altro che sanatoria!
Un’ultima considerazione sul fatto che molti soggetti possiedono conoscenze che potrebbero essere di effettivo miglioramento del settore: imprenditori funebri, amministratori pubblici, inquirenti, associazioni consumeriste, esperti, ecc.; ma essi non hanno finora trovato uno spazio istituzionalizzato di scambio di esperienze e di condivisione di buone pratiche e di obiettivi. La sommessa speranza è che queste parzialissime note possano suscitare azioni utili a farci uscire dalla condanna all’eterna coazione a ripetere gli stessi errori.

Editoriale di Antonio Dieni, pubblicato su I Servizi Funerari 2/2019.
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