Il pensiero di Fulco Pratesi sull’uso dei cadaveri

Gironzolando nel web capita di leggerne di tutti i colori e in questi giorni ci è balzata agli occhi un commento su un libretto di Fulco Pratesi, presidente del Wwf italiano, stampato nel 1989 con il titolo Ecologia domestica e sponsorizzato dalla Coop (Lega delle Cooperative). Probabilmente pochi avrebbero pensato che a distanza di quasi vent’anni la cooperazione fosse in prima linea nella realizazzione di project financing cimiteriali. Ma il mercato è il mercato, anche per la cooperazione!
Di seguito si riporta uno stralcio dei commenti alla parte del libro di Pratesi sul che farne dei cadaveri.

Ma poiché il “verdismo” è una fede globale (lo stesso Pratesi si definisce «un verde credente e praticante, nonché leggermente fanatico») non manca nemmeno un capitolo sulla morte. Leggendolo noi non ci siamo stupiti, ben sapendo dove menano certe premesse ideologiche. Ma, forse, qualche credente, convertito al nuovo Verbo, potrà aprire un poco gli occhi leggendo ciò che viene definito «qualche consiglio utile per favorire un sereno trapasso e una corretta destinazione delle proprie spoglie».

Per Pratesi il cadavere (anzi, «la carcassa umana») non è che concime di cui si da la lista degli elementi, dal 66 per cento di ossigeno sino alla 0,04 di ferro, iodio e manganese. Si scaglia contro le casse da morto (occorre legno per costruirle), contro i cimiteri (terra iperfertilizzata in cui vegetano solo crisantemi e cipressi»), contro le lapidi (originano antiestetiche cave di pietra).

Una soluzione, secondo lui, potrebbe essere questa: «Una bella buca sotto una quercia in campagna, due palate di terra ed ecco che possiamo tornare al ciclo della natura». Ma questo in mancanza di meglio. L’ideale, secondo il Wwf, sarebbe la fondazione di una “Associazione per l’inumazione ecologica”. Il Presidente dà per questo alcune direttive che così, letteralmente, suonano: «Si potrebbero adoperare i carnai, gli appositi terreni recintati e sorvegliati, impiegati dalle associazioni naturalistiche come il Wwf e la Lipu per alimentare i rapaci (soprattutto gli avvoltoi in Sardegna e i capovaccai sulle colline a nord di Roma). In quei carnai i nostri resti mortali potrebbero servire da cibo agli ultimi grifoni. Il tempo medio di distruzione della salma è di poche ore. Restano le ossa, è vero. Ma a questo inconveniente si potrebbe ovviare se al festino partecipasse anche l’avvoltoio barbuto, che lancia le ossa sulle rocce per divorarne il midollo. In pochissimi giorni, delle nostre spoglie non resterebbero che escrementi mineralizzati». A questo proposito Pratesi cita con compiacimento una notizia del gennaio 1988: un ecologo inglese che, per nutrire i suoi amati avvoltoi sudafricani, si è portato sotto i loro nidi e si è sparato un colpo alla testa. L’italiano consiglia anche agli altri ecologi, «in vista del passo estremo, di portarsi in un luogo ricco di carnivori e lì attendere la morte in un luogo di difficile accesso».

Ma c’è di più. Ecco ancora testuale: «Una alternativa (come ha suggerito l’ecologa Laura Conti) potrebbe essere il creare scatolette di cibo per cani e gatti in cui la carne umana sostituisca quella di altri animali». Anche qui, esempio edificante, esso pure anglosassone: Lord Averbury, che siede alla Camera Alta di Londra per i liberali, ha stabilito che il suo cadavere sia distribuito come cibo tra gli ospiti del canile municipale di Battersea. Perché, ha detto, «ogni cosa biodegradabile deve essere riciclata e sepoltura e anche cremazione sono un terribile spreco». Polemizzando con il direttore del canile che pur ammettendo che «c’è molto valore nutritivo nella carcassa umana», non se la sente di accettare l’offerta.

Sempre per Pratesi, le ceneri di chi si facesse cremare dovrebbero «essere usate per concimare i propri vasi e le aiuole». E, alla barbarie cristiana che tributa rispetto per il cadavere, si contrappone la civile usanza «ancora in atto presso i Parsi, una setta zoroastriana, che depositano i loro cadaveri in cima ad un’alta torre e li fanno consumare dagli uccelli da preda».

Per la lettura integrale dell’articolo su www.loccidentale.it si clicchi quì

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