Femina accabbadora

Tratto da http://subarralliccu.wordpress.com e da www.web.mountain.net

In tempi passati, s’accabbadora era la figura, socialmente riconosciuta nella comunità del paese sardo, che poneva fine alle sofferenze del malato terminale, per cui non c’era più nulla da fare. Un lavoro ingrato, svolto con pietà e velocità; un atto che la comunità intera accettava come necessario per mettere fine a una vita già finita. ImageL’accabbadora non “uccideva”, semmai poneva fine all’agonia: chiamata dalla famiglia del malato arrivava nella notte e dopo avere fatto allontanare i parenti dalla stanza dell’infermo praticava l’eutanasia con un cuscino o tramite un colpo secco del “mazzolu”, martelletto dall’impugnatura in legno d’olivastro. La chiamavano sa morte durche, la morte dolce: l’accabbadora non veniva pagata, ma ricompensata dalla famiglia con cibo o simili.
La “buona morte” non era intesa come giusta o gradevole, ma come “utile”, che cioè poneva fine alle sofferenze del malato e all’impegno gravoso dei familiari. Lo strumento tangibile del mistero della vita e della morte in Gallura lo si può trovare nel Museo etnografico Galluras “frammenti della civiltà gallurese” del piccolo centro di Luras, in Gallura.
E’ un museo come tanti altri, con varietà di oggetti e “documenti”, recentemente premiato a livello internazionale, col suo bravo sito http://web.mountain.net/~rhott/museo/museo.html. Per rendersene conto non resta che visitarlo. Il giovane ideatore e direttore del museo, PierGiacomo Pala, non nasconde un certo orgoglio nel mostrare al turista questo misterioso strumento. E a buon diritto: perché, oggi come oggi, è l’unico esistente in Gallura. E’ un rustico martello di legno d’olivastro stagionato, reso lucido dall’uso e per essere passato negli anni in tante mani. Ma non è un martello normale costruito da un’artigiano: è un corto spezzone, lungo 42 centimetri e largo 24. Il manico, corto e robusto, consente una presa sicura per assestare un colpo pesante e deciso.

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